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L'acqua di Bennu

Mosaico composto da 12 immagini dell’asteroide Bennu ottenute dallo strumento PolyCam il giorno 2 dicembre quando la sonda OSIRIS-REx si trovava a circa 24 chilometri dal suo obiettivo. Crediti: NASA/Goddard/University of Arizona

Tempo di lettura: 5 mins

L’asteroide Bennu è un nostro vicino di casa. Scoperto dai telescopi del progetto LINEAR nel settembre 1999, l’asteroide percorre un’orbita che lo porta periodicamente a intercettare l’orbita terrestre. Tecnicamente parlando, appartiene alla classe Apollo e fin dalla sua scoperta è stato inserito nella lista dei PHAs (Potentially Hazardous Asteroids), l’elenco degli asteroidi potenzialmente pericolosi per il nostro pianeta. In uno studio pubblicato sulla rivista Icarus nel 2009, Andrea Milani e collaboratori hanno rilevato che tra il 2169 e il 2199 si potrebbero verificare otto possibilità di impatto con la Terra. Stiamo parlando di probabilità non superiori a una su 2700 – il che significa che al 99,96 per cento l’asteroide non ci colpirà – ma la cosa preoccupante è che le incertezze presenti nei calcoli sono legate al fatto che alcune caratteristiche fisiche di Bennu non ci sono note con la necessaria precisione.

L’effetto della radiazione solare sulla sua superficie, il suo riscaldamento e il conseguente irraggiamento nello spazio di questo calore è una di queste. Nota come effetto Yarkovsky, questa spinta supplementare fornita all’asteroide è in grado ogni anno di alterare la sua orbita di circa 284 metri in direzione del Sole. Una leggerissima spinta che si propaga nel tempo e che, senza un’adeguata conoscenza della morfologia e della composizione superficiale di Bennu, non è possibile calcolare con precisione, il che ci impedisce di determinare l’orbita dell’asteroide con l’accuratezza necessaria.

La missione di OSIRIS-REx

Proprio per studiare nei minimi dettagli questo scomodo vicino di casa, la NASA ha progettato la missione OSIRIS-REx (Origins, Spectral Interpretation, Resource Identification, Security-Regolith Explorer). Lanciata il giorno 8 settembre 2016 dalla base di Cape Canaveral, nei giorni scorsi la sonda ha felicemente raggiunto il suo obiettivo. Un inseguimento protrattosi per più di due anni e per oltre due miliardi di chilometri culminato il 3 dicembre con la manovra che ha trasformato la rotta di avvicinamento in quella che permetterà alla sonda il suo lungo e dettagliato studio dell’asteroide.

Le prime immagini giunte da Bennu mostrano una superficie sassosa e piuttosto tormentata sulla quale campeggiano numerosi massi, alcuni dei quali di dimensioni considerevoli. Davvero molto sconcertante, poi, che la forma e l’aspetto esteriore di Bennu richiamino molto da vicino quelli dell’asteroide Ryugu, obiettivo in questi stessi mesi dell’analoga missione Hayabusa-2 gestita dall’Agenzia spaziale giapponese.

Il semplice confronto tra Bennu e due celebri costruzioni dei nostri tempi illustra in modo molto chiaro le dimensioni di questo asteroide. Non si tratta di un oggetto gigantesco, dunque, ma comunque perfettamente in grado, se si schiantasse sulla Terra, di devastare un’intera regione lasciandosi alle spalle un cratere di oltre 5 chilometri di diametro. L’immagine dell’asteroide è un collage delle riprese raccolte dalla PolyCam di OSIRIS-REx (Crediti: NASA/Goddard/University of Arizona)

OSIRIS-REx ronzerà per quasi un anno attorno a Bennu analizzandone accuratamente la superficie sia con OCAMS (OSIRIS-REx Camera Suite), la complessa apparecchiatura di ripresa composta da tre separate telecamere, sia con la batteria dei cinque strumenti scientifici che equipaggiano la sonda. L’accurata mappatura di Bennu servirà non solo a mostrarci nei minimi dettagli la morfologia della superficie e la sua composizione, ma anche a scegliere la località più adatta per portare a compimento l’obiettivo di gran lunga più ambizioso della missione. Individuato il punto più idoneo, infatti, il 4 luglio 2020 la sonda si abbasserà in prossimità della superficie di Bennu e raccoglierà un campione di terreno destinato a essere portato sulla Terra per uno studio dettagliato. Della raccolta se ne occuperà il sistema TAGSAM (Touch-And-Go Sample Acquisition Mechanism) sviluppato dalla Lockheed Martin e progettato per recuperare non meno di 60 grammi di polvere di Bennu. L’arrivo della capsula con il campione sul nostro pianeta è previsto per il 24 settembre 2023 nel deserto dello Utah.

Strada facendo…

Nella sua marcia di avvicinamento a Bennu, però, la sonda non è stata con le mani in mano. Nei giorni immediatamente seguenti al suo arrivo a destinazione, in occasione del Congresso autunnale 2018 dell’American Geophysical Union tenutosi a Washington D.C. dal 10 al 14 dicembre, il team di OSIRIS-REx ha annunciato un'importante scoperta effettuata proprio mentre la sonda era ancora in viaggio. Osservazioni condotte tra agosto e dicembre con gli spettrometri OVIRIS (OSIRIS-REx Visible and Infrared Spectrometer) e OTES (OSIRIS-REx Thermal Emission Spectrometer) hanno messo in luce la presenza di idrossili, molecole che contengono atomi di ossigeno e idrogeno legati insieme.

Secondo i ricercatori, tali molecole sarebbero bloccate in minerali argillosi, segno che nel lontano passato di Bennu le sue rocce abbiano sperimentato una presenza di acqua liquida così abbondante da inzupparle. Poiché le dimensioni attuali dell’asteroide sono troppo esigue perché possa mai essere stato in grado di ospitare acqua liquida, si sospetta che Bennu possa essere in realtà un grosso frammento di un oggetto molto più grande frantumatosi in un remoto passato (eventualità piuttosto frequente nelle tormentate fasi iniziali del Sistema solare). Questo farebbe di Bennu un importante residuo delle prime fasi della formazione del nostro sistema planetario, offrendo così alla missione OSIRIS-REx la ghiotta occasione di poter studiare la composizione di quei primitivi materiali organici e volatili.

Acquista dunque grande importanza lo studio pubblicato su MNRAS lo scorso agosto dal team di ricerca coordinato da Alberto Cellino (INAF - Osservatorio Astrofisico di Torino). In esso si suggerisce che, basandosi sull’analisi polarimetrica della luce che riceviamo dall’asteroide, Bennu ha tutte le carte in regola per essere collocato a metà strada tra un asteroide e una cometa.

In un’intervista concessa a Media INAF, Cellino precisa che lo studio non suggerisce esplicitamente che Bennu sia una cometa, ma che potrebbe essere un oggetto che si è formato in una zona del Sistema solare ricca di elementi volatili. Spiega Cellino: «Avvicinandosi alle regioni interne, dove si trova attualmente, è chiaro che il contenuto in materiali volatili deve essere sublimato, fino a lasciare Bennu nello stato in cui lo vediamo ora. Il meccanismo di sublimazione deve avere provocato in passato qualche episodio di attività cometaria, espulsioni di elementi volatili che potrebbero aver influenzato la morfologia della sua superficie. In particolare, la superficie potrebbe essere il risultato di fenomeni vistosi di erosione e questo potrebbe influenzare l’interpretazione delle proprietà superficiali, compresi i cosiddetti boulders.» Un motivo di più per attendere con impazienza lo studio ravvicinato di Bennu che nei prossimi mesi terrà occupata OSIRIS-REx.


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