Pesci fossilizzati accatastati l'uno sopra l'altro rinvenuti a Tanis, nel Dakota del Nord. La loro disposizione suggerisce l’azione di una violenta ondata in grado di travolgerli e gettarli a riva. La presenza di sferule da impatto (alcune rinvenute anche nelle loro branchie) indica che questa morte collettiva avvenne meno di un’ora dopo l’impatto dello Yucatan. Crediti: Robert DePalma
Scoperto nel Dakota del Nord un ricco giacimento di fossili che risalgono a 66 milioni di anni fa. Alcune sue particolarità lo rendono unico al mondo e suggeriscono nuovi e importanti indizi sugli eventi che, al termine del Cretaceo, portarono alla scomparsa dei tre quarti delle specie animali e vegetali che popolavano il nostro pianeta. Le vittime più illustri di quell’estinzione di massa furono senza dubbio i grandi sauri: per essi si concludeva in modo drammatico il dominio incontrastato della fauna terrestre che aveva avuto inizio nel Triassico superiore e che si era protratto per oltre 150 milioni di anni.
L’origine dell’ecatombe viene ricondotta all’impatto di un grosso asteroide, grande una decina di chilometri, capace di lasciare ai bordi della penisola dello Yucatan un cratere di circa 200 chilometri di diametro. Le prime conclusioni provenienti dallo studio di quei fossili sono state pubblicate in questi giorni sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), organo ufficiale della Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti.
Un giacimento inquietante
Tutto iniziò nel 2013, quando Robert DePalma, curatore dei reperti di paleontologia del Museo di scienze naturali di Palm Beach (Wellington – Florida), dottorando all’Università del Kansas e primo autore dello studio apparso su PNAS, scavando dalle parti di Bowman, nel Dakota del Nord, si imbatté in un giacimento di fossili davvero insolito. La particolarità più evidente di Tanis – questo il nome con il quale viene indicato il sito, mantenendone segreta la localizzazione per preservarlo il più possibile – era il fatto che, ammassati alla rinfusa e mescolati con tronchi d’albero e rami di conifere anch’essi fossilizzati, si potevano vedere i resti fossili di mammiferi e di mosasauri, di pesci e microorganismi marini, di insetti e parti della carcassa di un triceratopo. Un’autentica ecatombe che la presenza di uno strato di iridio permette di collocare proprio in prossimità del cosiddetto limite K-Pg (Cretaceous-Paleogene boundary).
Come sottolinea lo stesso DePalma, quello rinvenuto a Tanis «è in assoluto il primo massiccio ritrovamento di grandi organismi fossilizzati associati al limite K-Pg; in nessun’altra sezione della Terra risalente a quel periodo è possibile ritrovare una collezione così ricca, formata da un gran numero di specie e di organismi fossilizzati in differenti stadi della loro vita, tutti accomunati dall’aver concluso insieme le loro esistenze, tutti quanti nel medesimo giorno».
Su alcuni aspetti del rinvenimento di Tanis non c’erano dubbi. Al termine del Cretaceo, un’ampia distesa marina – il Mare interno occidentale – si incuneava nel continente Nordamericano fino all’attuale Dakota del Nord, dunque non stupiva la presenza contemporanea di fossili di alberi, animali terrestri e animali marini. Allo stesso tempo, l’esistenza di uno strato di iridio appena al di sopra di quei fossili, quasi a sigillare quel giacimento, non lasciava dubbi sul loro collegamento all’impatto dell’asteroide. Collegamento confermato appieno dalla massiccia presenza di tectiti, minuscole sferule vetrificate formatesi con la ricaduta balistica dei detriti espulsi nella creazione del cratere, che avevano lasciato tracce evidenti della loro caduta scavando piccoli buchi nel fondo fangoso di quel mare.
Altri aspetti, però, erano piuttosto problematici, primo fra tutti stabilire a cosa imputare l’estrema violenza che traspariva da quel caotico miscuglio di vegetali, mammiferi, pesci e ammoniti. In secondo luogo, le tracce lasciate dalle tectiti nel fango indicavano che il fondale marino doveva essere sicuramente già esposto quando quella tempesta di piccole sfere vetrose cadde dal cielo.
Ondate devastanti
Indiziato numero uno per un simile sconvolgimento poteva certamente essere lo tsunami che, inevitabilmente, si innescò con l’impatto diffondendosi tutt’intorno. DePalma e collaboratori, però, hanno subito escluso l’azione di uno tsunami per almeno tre ottimi motivi. Anzitutto, l’esistenza di un collegamento marino tra il Mare interno occidentale e il Golfo del Messico all’epoca dell’impatto non è affatto confermata, lasciando dunque il lecito dubbio che lo tsunami da impatto possa essere giunto nel Dakota. Secondariamente, quel mare interno era comunque caratterizzato da bassi fondali, il che avrebbe notevolmente ridotto l’altezza delle onde di tsunami e, di conseguenza, il loro potenziale distruttivo. In terzo luogo, i tempi necessari a un’onda di tsunami per percorrere i 3000 chilometri che separano Chicxulub da Tanis (stimati in almeno 18 ore) mal si adattano ai tempi molto più brevi (intorno al quarto d’ora) impiegati dalle prime sferule eiettate dal cratere d’impatto a percorrere le loro traiettorie balistiche e piovere su Tanis.
Esemplari di tectiti, minuscole sferule vetrose grandi circa un millimetro, recuperate dal giacimento di fossili a Tanis. L’analisi dettagliata dei pesci fossilizzati (storioni e pesci spatola) ha mostrato la presenza di numerose sferule nelle loro branchie, probabilmente aspirate dai pesci prima di essere drammaticamente spiaggiati dalle ondate. Crediti: Robert DePalma
Vi è però un altro fenomeno altrettanto potente che si può innescare in un bacino: noto in idrologia con il nome di seiche (in italiano, onda di sessa), è un moto oscillatorio generato dalle perturbazioni dell’acqua a seguito di sollecitazioni esterne quali, per esempio, le variazioni di pressione atmosferica o i terremoti. Il suo innesco e l’intensità che può raggiungere sono stati rilevati anche in occasione di recenti eventi sismici. Il terremoto di magnitudo 9.2 che si verificò nel marzo 2011 al largo della costa della regione di Tōhoku, nel Giappone settentrionale, innescò onde di sessa alte più di un metro e mezzo nei fiordi norvegesi solamente mezz’ora dopo il sisma, e questo a una distanza di 8000 chilometri dall’epicentro.
Poiché l’innesco del fenomeno dell’onda di sessa dipende dai tempi di arrivo delle onde sismiche, nel caso del terremoto innescato dalla caduta dell’asteroide nello Yucatan (magnitudo stimata tra 10 e 11.5) bastò solamente una decina di minuti perché le onde si propagassero da Chicxulub fino al Dakota del Nord. Lì, secondo i ricercatori, l’energia della perturbazione fu in grado di generare onde alte tra i 10 e i 100 metri, altezza che bene si adatta alle valutazioni suggerite dall’analisi dei depositi osservati a Tanis. Inoltre, l’intervallo di tempo risulta perfettamente compatibile con i tempi di arrivo della pioggia di microsferule vetrose.
Una sequenza devastante
Mettendo assieme i tasselli di questo complesso mosaico, dallo studio di DePalma e collaboratori si può dunque ipotizzare la possibile sequenza temporale dei terribili avvenimenti che, neppure un’ora dopo l’evento e a 3000 chilometri dal luogo dell’impatto, avevano sconquassato il Mare interno occidentale perpetrando il massacro venuto alla luce nel Dakota del Nord. All’inizio vi fu un terribile terremoto, in grado di innescare nelle tranquille acque di quel mare interno un violento moto ondoso. Poi cominciò a piovere dal cielo una fitta grandinata di minuscole palline vetrose, talmente intensa e calda da innescare incendi nella vegetazione circostante. Per i pesci che, fino a pochi istanti prima, nuotavano tranquillamente, iniziano grosse difficoltà respiratorie: quelle microsferule intasano le loro branchie e a poco serve spalancare di più la bocca alla ricerca disperata di acque pulite.
Il moto ondoso cresce a dismisura e si trasforma in un muro d’acqua alto una trentina di metri che scaraventa centinaia o forse migliaia di pesci sulla riva sabbiosa. Al ritirarsi dell’onda, le carcasse dei pesci e degli altri animali travolti dal muro d’acqua vengono brutalmente scorticate e sepolte dall’infittirsi di quella pioggia di detriti vetrosi e di fine sabbiolina. Il colpo di grazia venne, una ventina di minuti più tardi, da una seconda ondata che si abbatté sulla scena di quell’ecatombe, ricoprendo ogni cosa con ghiaia, sabbia e sedimenti e sigillando il tutto per 66 milioni di anni. L’ultimo a depositarsi, nei giorni e nei mesi seguenti, sarebbe stato lo strato ricco di iridio che, in tutto il mondo, ricorda la drammatica estinzione di massa tra la fine del Cretaceo e l’inizio del Paleogene.