La Relazione sulla ricerca pubblicato dal CNR il 15 ottobre 2019 contiene un'analisi dettagliata delle prestazioni del sitema italiano in relazione agli obiettivi fissati dai programmi di finanziamento europeo alla ricerca. Perché portiamo a casa meno degli altri paesi? Perché soffriamo la competizione nell'eccellenza? Perché invece il CNR è forte in Europa? L'Italia arranca ma avanza e Brexit ci può aiutare ma non basta: bisogna attuare le misure necessarie se non si vuole perdere il treno del prossimo programma quadro in partenza nel 2021.
I programmi europei che si sono succeduti dal 2004 a oggi sono stati per l’Italia -oltre che un benefico flusso di euro- un’occasione per creare connessioni e dotarsi di infrastrutture più efficienti. L'Italia è cresciuta sia in termini di partecipazione sia di quantità di finanziamenti ma resta fanalino di coda rispetto agli altri grandi paesi dell'Unione. Il report presentato dal CNR fa emergere tutti i pregi e difetti del nostro sistema ricerca e tenta di individuare gli ostacoli maggiori al suo pieno sviluppo.
Il segnale di debolezza più allarmante: l’Italia presenta molti più progetti rispetto a quanti riesca a conquistarne. Ogni 100 tentativi di partecipazione se ne realizzano 12. Meglio fa la Spagna (quasi 14%), molto meglio Francia e Gran Bretagna. Il tasso di successo è considerato lo specchio della salute del sistema: i progetti vincono se convincono per qualità della ricerca, risorse a disposizione, tradizione e network.
Una delle ragioni di questo svantaggio può essere individuata nella dimensione del nostro sistema: l’Italia ha meno ricercatori e spende meno in R&S rispetto ad altri paesi. Infatti normalizzando i dati secondo questi parametri, come fatto da ANVUR nel rapporto biennale del 2018, l’Italia scala qualche posizione ma resta dietro a Spagna e Olanda (tabella II.6.2.3.6).
Se poi si analizzano nel dettaglio i vari programmi si scopre che parte di questo distacco è causato dalla scarsa propensione ad attrarre la ricerca di eccellenza (i programmi ERC e i Marie-Sklodowska-Curie Actions). Infatti oltre al basso numero di progetti vinti (si veda ERC starting grant 2019: bene italiani, male Italia), in questo ambito le istituzioni italiane presentano un tasso di successo del 7% (le altre nazioni stanno al 13%, ANVUR 2018). Ciò determina un doppio danno: spreco delle risorse impiegate per presentare progetti che hanno bassa probabilità di accedere ai fondi; perdita di una parte cospicua del budget a cui l'Italia pure contribuisce.
Un altro fattore che abbassa la performance complessiva dell’Italia è la debolezza della ricerca al Sud. In valore assoluto nel Nord (più popoloso e con più strutture di ricerca) si concentra la maggior parte dei progetti presentati e vinti, ma anche normalizzando i dati per il numero di ricercatori si nota che le regioni del Sud Italia faticano di più ad accedere ai finanziamenti europei (figura 1.2).
Il rapporto del CNR, individua tra le possibili cause di questa disparità la scarsa capacità delle istituzioni (pubbliche o private) del Sud di connettersi alla rete della ricerca europea. I programmi quadro hanno sempre privilegiato chi riesce a stare al centro dei network collaborativi. Negli anni qeusta tendenza si è rafforzata, penalizzando chi non è riuscito fin da subito a stringere alleanze.
Un esempio virtuoso, per capacità di attrarre finanziamenti e di inserirsi nella rete di ricerca europea, è proprio il Consiglio nazionale delle ricerca, come emerge dalla accurata social network analysis esposta nel report.
Il CNR ha ottimi valori di centralità (importanza) nella rete delle collaborazioni. Un successo spiegato con “la particolare focalizzazione della ricerca svolta nel CNR su temi centrali nella programmazione europea, e la sua strutturale vocazione alla ricerca a carattere interdisciplinare problem-driven”.
Caratteristiche che anche gli altri protagonisti della ricerca dovrebbero fare proprie per consentire finalmente all’Italia di aumentare il proprio ritorno di investimento nell’impresa europea. Come è noto, al momento (Tabella II.6.2.3.4) l’Italia è terza per contribuiti all'UE ma è sesta per quantità di finanziamenti ricevuti.
L'Italia da FP6 a H200 è riuscita ad aumentare il numero di partecipazioni e ottenere più finanziamenti. Quindi avanza, ma lentamente. Mentre potrebbe persino approfittare della Brexit per essere protagonista in Europa se attuasse le misure che il mondo della ricerca invoca da anni. Quali? Dal report ne emergono tre, molto semplici:
- aumentare gli investimenti in R&S, più risorse economiche ma anche più risorse umane;
- adottare misure per la stimolare la mobilità internazionale;
- dotare il sistema di strumenti specifici per aiutare i giovani ricercatori che concorrono agli ERC.
Possibilmente entro il 2021, quando partirà il prossimo programma quadro.
Bibliografia
CNR. Relazione sulla Ricerca e l’innovazione in italia. Roma, 2019.
ANVUR. Rapporto biennale sullo stato del sistema universitario e della ricerca. Roma, 2018.