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Libertà d'espressione e salute pubblica in fumo

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Lo scorso 22 giugno, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha ratificato il Family Smoking Prevention and Tobacco Control Act, che attribuisce alla FDA (Food and Drugs Administration) ampi poteri nel regolare il mercato delle sigarette. Allo scopo di arginare questo preoccupante fenomeno, la legge prevede, infatti, ampie restrizioni in campo pubblicitario per le multinazionali del tabacco. In linea con le politiche europee, infatti, non saranno più ammesse per le sigarette denominazioni quali “light”, “mild” o qualsiasi altro termine possa richiamare a un effettiva riduzione del rischio collegato al fumo. Inoltre, il mandato prevede che, entro il 2012, tutti i pacchi di sigarette siano ricoperti per il 50 % della loro superficie da avvertimenti circa i pericoli connessi al fumo. Infine, non sarà più possibile pubblicizzare sigarette e simili nelle vicinanze delle scuole, né sponsorizzare eventi sportivi. Come riporta l’ultimo numero del New England Journal of Medicine, la legge ratificata lo scorso giugno, ha riacceso un dibattito negli Stati Uniti circa la costituzionalità di tali decisioni. Infatti, i sostenitori delle libertà civili, i cosiddetti civil libertarians, leggono in questa decisione un attacco alla libertà d’espressione sancita dal Primo Emendamento della Costituzione Americana. In particolare, in una lettera ai senatori, i membri dell’American Civil Liberties Union affermano che limitare la libertà di espressione commerciale per un prodotto legale – come del resto sono le sigarette – costituisce un pericoloso precedente per l’approvazione in futuro di leggi simili che vogliano bandire la pubblicizzazione di altri prodotti solo in quanto non graditi da una maggioranza. Secondo gli oppositori di tale legge, la lotta al fumo dovrebbe limitarsi alla normale dialettica democratica senza alcun intervento dello stato. D’altra parte, la loro posizione sembra essere confortata da una decisione della Corte Suprema del 2001 quando, nel caso Lorillard Tobacco Company v. Reilly, furono dichiarate incostituzionali una serie di misure anti-tabacco approvate in Massachusetts per arginare la promozione di sigarette ai minori.

Presumibilmente, la Corte dovrà pronunciarsi di nuovo per decidere se, e come, la nuova legge violi alcuni assunti costituzionali fondamentali. Ad ogni modo, tra i maggiori sostenitori della legge vi è lo stesso Presidente Obama che, come riporta il NEJM, nel commentare questa legge ha affermato preoccupato: “I ragazzini oggi, non iniziano a fumare per caso, ma a causa di un’aggressiva esposizione pubblicitaria”.

Sebbene, le leggi contro la pubblicizzazione di prodotti nocivi quali le sigarette siano in attto da tanti anni in Italia, il caso americano offre alcuni piccoli spunti di riflessione. Infatti, se da un lato le tesi dei sostenitori del Primo Emendamento circa l’inviolabilità del dibattito pubblico quale ultimo arbitro della forza di un argomento siano senz’altro affascinanti, dall’altro, bisogna chiedersi fino a che punto sia sensato applicare la categoria ‘libertà d’espressione’ all’ambito della comunicazione commerciale piuttosto che a quello, probabilmente più pertinente, della comunicazione di idee a sfondo culturale, politico o sociale. Più precisamente, a contrastare il diritto di espressione alle compagnie del tabacco sembra esserci il dovere, da parte dell’autorità pubblica, di salvaguardare la salute dei propri cittadini.

Il problema, dal punto di vista dell’etica pubblica, sembra essere più sottile. Fino a che punto, lo stato può scoraggiare i cittadini dall’intraprendere attività dannose per la salute, che risultano poi anche in un aumento della spesa sanitaria, senza interferire con le libertà individuali? Se l’obiettivo fosse solo quello di arginare la spesa pubblica, allora una strada da intraprendere potrebbe consistere nell’aumentare le tasse sull’utilizzo di tali prodotti. In questo modo, all’individuo verrebbe consentita la libertà di intraprendere questa scelta, senza interferenze dello stato e senza oneri per la comunità. Ma può l’autorità pubblica scoraggiare l’utilizzo di sostanze nocive per la salute individuale senza incorrere in atteggiamenti paternalistici? Anche in questo caso, la creazione di un ambiente in cui non siano incentivate direttamente tali attività, sembra non pregiudicare in alcun modo il diritto individuale alla scelta.  Di ben altro rilievo sarebbe invece lo scenario, piuttosto remoto per fortuna, di negare o, considerare meno prioritario, il diritto alla cura a coloro che hanno sviluppato malattie correlate causalmente al fumo di sigaretta. Quest’ultimo accenno, non è però del tutto fuor di luogo se si considerano alcuni recenti dibattiti sull’eticità di escludere gli alcolisti dalle liste prioritarie per i trapianti di fegato.

Ritornando, in conclusione al caso americano, sembra strando, per un osservatore europeo, notare come una stretta adesione alla lettera costituzionale possa far considerare minacciosa per la libertà di espressione, una norma che inibisce la promozione di un prodotto altamente tossico. Forse, però, questa norma può fornire l’occasione per una riflessione sul rapporto tra obiettivi di salute pubblica e i fondamenti regolatori di una democrazia.


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