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Buone università o morte etica, scientifica e culturale

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Le sei proposte di Franco Gabrielli di Quercita, già ordinario di biologia molecolare all'Università di Pisa, per l'università italiana: selezione del personale rigorosa; una progressione nella carriera che guardi ai risultati conseguiti; valutazione e finanziamento delle università, della ricerca e del personale da parte del Ministero competente; la regolamentazione dell'attività professionale extra-universitaria; la cura degli studenti meritevoli e una didattica di cui i docenti risultino collettivamente responsabili. Per fare una buona università, una buona ricerca e, in ultima analisi, contribuire a costruire una società migliore.
Crediti immagine: Gerd Altmann/Pixabay. Licenza: Pixabay License

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È mia convinzione che molte mancanze nella cultura, nelle competenze e nel comportamento civico riscontrabili in noi italiani trovino la loro origine nelle aule delle scuole e delle università statali. In conseguenza, tutto il sistema di insegnamento dovrebbe essere modificato per migliorarne qualità e finalità, e in ultima analisi, contribuire a costruire una società migliore.

A mio parere, le disposizioni che giocano un ruolo negativo nel sistema dell’insegnamento, in particolare universitario, sono riassumibili nei sei punti seguenti:

  1. L’inadeguatezza dei procedimenti per la selezione del personale
  2. L’inadeguatezza dei criteri per la progressione nella carriera
  3. L’inadeguatezza dei criteri per la valutazione e il finanziamento delle università, della ricerca e del personale
  4. L’inopportunità dell’attività professionale extra-universitaria
  5. L’insufficiente supporto offerto agli studenti meritevoli
  6. La scarsa attenzione data alla didattica

A questi devono aggiungersi fenomeni di carattere più ampio, come la deresponsabilizzazione dell’individuo e la scomparsa della regola etica che considera terminato il lavoro solo quando esso è completo e perfetto, e non quando termina l’orario di lavoro. Il mantra italiano, che attribuisce ogni malfunzionamento dello Stato ai politici democraticamente eletti, mi appare ipocrita. Il male sta nella maggioranza di un popolo male istruito. Ricordo una frase del senatore Cesare Merzagora: il vino nel bicchiere (i politici) non può essere migliore di quello nella botte (la popolazione che li vota). Pertanto si potrà cambiare l’etica, la cultura e la capacità dei politici solo cambiando il sistema educativo nazionale.

In Italia c’è una minoranza di individui che, per le loro personali etica e capacità, riescono a mantenersi efficienti e retti. Alcuni di essi emigrano per uscire da ambienti culturalmente mediocri ed eticamente scorretti, e non necessariamente per trovare un posto di lavoro che potrebbero avere anche in Italia. In paesi stranieri, come Stati Uniti, Germania e Svizzera, in cui ho svolto il mio lavoro di ricercatore, ho osservato che il comportamento civico nelle università, negli istituti di ricerca e nella società è migliore di quello che ho conosciuto in Italia. In quei paesi, come in Italia, ci sono individui che agiscono correttamente per ragioni di etica personale. La differenza è che il numero degli individui che nel complesso agiscono correttamente è superiore perché a chi trasgredisce sono automaticamente inflitte sanzioni che possono variare da semplici critiche verbali fino al licenziamento. Le giuste e pronte sanzioni hanno l’importante funzione di indurre la maggioranza di una popolazione ad avere un migliore senso civico, mentre da noi tutto viene perdonato o dimenticato.

Molti anni fa, leggendo la poesia “L’orco innammorato” di Trilussa, appresi che

Ar monno c’è un bellissimo paese dove nun se ricordeno le cose...- Qual è? L’Italia

La vita e il lavoro nell’università mi hanno confermato quasi quotidianamente che la scarsa memoria porta a una assurda tolleranza verso lo scarso senso civico.

Queste osservazioni mi hanno indotto a formulare sei proposte - sicuramente migliorabili – in tema di ordinamento delle università statali, allo scopo di rimuovere quelli che considero degli impedimenti a una migliore istruzione dei giovani e quindi un migliore futuro per la nostra società. Poiché nelle università sono formati gli insegnanti delle scuole elementari, medie e superiori, i possibili miglioramenti avranno ripercussioni su tutto il sistema educativo. Il mio sogno è che, migliorando le università, migliorino anche l’etica e l’efficienza della nostra società.

Ho corredato i miei suggerimenti con una nota in cui ho descritto eventi cui ho personalmente assistito e che mi hanno mostrato la sommatoria dei grossolani difetti del nostro sistema universitario.

1 Selezione del personale

Le commissioni che devono valutare gli aspiranti a un posto di ricercatore o di docente presso una università devono essere costituite solo da personale della stessa università. Le decisioni delle commissioni dovrebbero essere approvate dal rettore, dai membri del senato accademico, dai direttori di dipartimento e da tutti i docenti di una data disciplina, rimanendo in ultima analisi essi, nel loro insieme, responsabili dell’assunzione del nuovo personale. L’assunzione che si riveli in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo non soddisfacente le attese deve essere immediatamente rivalutata. E, se ritenuto necessario, deve poter essere deciso l’allontanamento del nuovo assunto. I possibili errori commessi nella procedura di valutazione del personale, se non rimediati in tempi brevi, entreranno nella valutazione professionale ed economica di tutti coloro che, con il loro giudizio o con la loro approvazione, hanno contribuito all’assunzione. La finalità di questa proposta è che tutti i membri dell’università coinvolti si sentano materialmente e moralmente responsabili delle nuove assunzioni nell’università stessa.

Nota alla proposta 1. Le attuali commissioni responsabili dei concorsi includono anche membri esterni (appartenenti ad altre università), e quindi soggetti che non rischiano niente nel caso in cui, in buona o mala fede, abbiano fatto valutazioni errate. Includere membri esterni dovrebbe in principio garantire una valutazione obiettiva dei candidati; tuttavia esistono inchieste della magistratura, libri e articoli di giornali che dimostrano che i membri esterni non sono sempre stati una valida garanzia di obiettività. Inoltre, l’assumere una persona conosciuta ha finito per trovare una buona ragione nel fatto che assumere con un concorso una persona non conosciuta, anche se con buoni titoli, è un rischio, perché se poi si dimostra poco valida o scarsamente volenterosa, bisogna tenerla fino al pensionamento, data la difficoltà ad effettuarne il licenziamento. Il meccanismo del concorso universitario italiano è inadeguato, non solo perché è deresponsabilizzante per la commissione, ma anche perché permette l’assunzione di personale di scarsa qualità e l’esclusione di concorrenti molto validi. Anni fa, un illustre scienziato italiano, full professor in una prestigiosa università statunitense, risultò non idoneo nell’ambito di un concorso per una nostra università, fatto che motivò la dura protesta di eminenti scienziati stranieri. Altri bravi scienziati italiani hanno avuto difficoltà a trovare lavoro nelle nostre università. Non a caso è stata approvata una legge per agevolare il ritorno in Italia dei “cervelli” emigrati all’estero.

2 Progressione nella carriera

Dopo aver acquisito il dottorato di ricerca, il primo livello di impiego nella ricerca in istituzioni dello Stato dovrebbe essere quello di ricercatore a tempo determinato, posizione che deve essere aperta a titolari di dottorato e a laureati che abbiano acquisito importanti risultati scientifici nello svolgimento della loro tesi di laurea. Chi concorre per un posto di ricercatore universitario a tempo determinato deve presentare insieme ai suoi titoli il progetto di ricerca, che dovrà essere svolto autonomamente e, in caso di necessità, con fondi assegnati dall’università solo per il primo anno; in seguito, il ricercatore deve ottenere i fondi da agenzie nazionali o internazionali, pubbliche o private. Ogni anno il ricercatore deve presentare, in un seminario e con un rapporto scritto, il lavoro di ricerca da lui svolto. Questo lavoro sarà valutato dal direttore di dipartimento e dai membri del consiglio di dipartimento. Il giudizio, se positivo, permetterà di accedere all’anno successivo. Al termine di cinque anni, la ricerca, documentata da pubblicazioni su riviste internazionali, è valutata dal consiglio di dipartimento al fine di poter attribuire la posizione di ricercatore a tempo indeterminato.

La qualità della carriera scientifica di chi ha conseguito il titolo di ricercatore a tempo indeterminato avrà voce in capitolo nella valutazione professionale ed economica dei membri del consiglio di dipartimento. II ricercatore a tempo indeterminato può avere solo piccoli obblighi di insegnamento, riguardanti solo l’argomento della sua ricerca, e quando concorre per il posto di professore associato o ordinario deve aver pubblicato una monografia relativa ai risultati della sua ricerca scientifica. Il ricercatore a tempo indeterminato, che non mantiene lo standard di ricerca che gli ha permesso di ottenere la sua posizione, dopo cinque anni la perde. Il ricercatore, che non ha ottenuto la posizione a tempo indeterminato o che l’ha persa, può chiedere di accedere, senza concorso, come docente a tempo indeterminato nella scuola media superiore o come tecnico in una delle università statali o in altre istituzioni dello Stato. L’istituzione che riceve la domanda del ricercatore universitario valuta la possibilità di accoglierlo in base alle proprie disponibilità e alla preparazione culturale e tecnica dello stesso.

Nota alla proposta 2. L’attuale forma del concorso universitario per ricercatore ha molti difetti: valuta i candidati in pochi giorni e principalmente sulla base dei titoli presentati, mentre occorrerebbero contatti ripetuti nel tempo al fine di avere una chiara visione della cultura, della volontà e capacità di ricerca, dell’attitudine ad inserirsi in un gruppo di lavoro e, in generale, del comportamento del candidato. Ciò porta a preferire candidati ben conosciuti in precedenza o presentati da stimati colleghi. Anche perché, nel caso che il candidato si riveli mediocre nel lavoro o di comportamento disdicevole, non c’è poi una reale possibilità di licenziamento, neanche in caso di gravi mancanze. Si può solo evitare di affidargli una ricerca seria.
Questi stipendiati pseudo-ricercatori con il loro comportamento possono causare gravi danni all’educazione degli studenti che frequentano gli stessi dipartimenti. Attualmente al ricercatore è permesso di insegnare interi corsi, che sottraggono tempo alla sua ricerca e alla sua formazione scientifica. Pochissimi ricercatori rifiutano di insegnare al fine di dedicarsi solo alla ricerca. In università estere ho visto valutare per un periodo di vari mesi le candidature a un posto di assistant professor. I candidati presentavano in seminari la propria ricerca, che era valutata per la sua qualità e coerenza con le finalità di ricerca del dipartimento che offriva il posto. Lo scopo era anche quello di assumere un ricercatore che con le sue capacità di ricerca potesse migliorare o completare lo spettro delle ricerche del dipartimento e, se richiesto, iniziare un filone di ricerca assente nel dipartimento stesso. Procedura non sempre attuata in Italia, dove può essere assunto un ricercatore che ha competenza in un campo di ricerca che non ha nessuna relazione con quello dei suoi futuri colleghi. Analoghe considerazioni possono essere fatte per i concorsi indetti per assumere i professori associati e ordinari.
La modalità degli attuali concorsi per accedere all’insegnamento può anche danneggiare la qualità dell’insegnamento stesso, perché può portare all’esclusione di candidati di alto livello, ma impreparati ad affrontare le formalità dei concorsi nazionali. Di questo mi sono convinto ascoltando una breve intervista alla giovane scrittrice Silvia Avallone, che aveva appena vinto il Premio Campiello Opera Prima per il suo romanzo “Acciaio”. Le era stato chiesto cosa pensasse di fare nel suo immediato futuro. Rispose che le sarebbe piaciuto insegnare e, apparentemente un po’ sgomenta, aggiunse: “ma c’è il concorso”. Ecco, il concorso, con i suoi pignoli riti, escludeva una persona valida che sarebbe stata molto utile ad allievi e colleghi. Questo anche perché un preside o un rettore, seriamente interessati al bene della propria istituzione, non avrebbero potuto assegnare alla dottoressa Avallone un posto di insegnamento. Per il sistema educativo nazionale aver vinto giovanissima un importante premio letterario non è un merito sufficiente per essere assunta come insegnante, mentre può esserlo, e a tempo indeterminato, l’aver saputo comprendere i bizantinismi di un concorso nazionale.

3 Valutazione e finanziamento delle università, della ricerca e del personale

Ogni università dovrebbe essere valutata dal competente Ministero sulla base: a) dell’ammontare dei finanziamenti per la ricerca ottenuti dai suoi docenti e ricercatori da parte di agenzie pubbliche e private nazionali e/o estere, e donazioni private; b) del livello dei risultati delle ricerche, pubblicati su riviste internazionali e dell’assegnazione di premi per l’eccellenza raggiunta; c) dei livelli scientifici o professionali raggiunti dai suoi laureati e dottori di ricerca. Il Ministero competente dovrebbe finanziare le spese generali delle università (stipendi, edilizia, altre spese correnti, etc.) in proporzione al livello delle valutazioni sopra indicate. Parallelamente, lo stipendio retribuito dalle università ai ricercatori a tempo indeterminato, professori associati e professori ordinari dovrebbe avere due quote, una fissa uguale per tutti gli appartenenti a uno stesso ruolo universitario e una variabile in proporzione ai criteri summenzionati. I progetti di ricerca dovrebbero essere sostenuti attraverso finanziamenti ottenuti da agenzie pubbliche e/o private, e mai dalla stessa università. Le richieste di finanziamento per i progetti di ricerca, oltre alle spese per i materiali e gli strumenti, dovrebbero includere gli stipendi per i laureati e tecnici partecipanti al progetto di ricerca, assunti con contratti a tempo determinato. L’università, al fine di permettere un rapido inizio dell’attività dei ricercatori e professori neoassunti, dovrebbe fornire loro uno studio, un idoneo ambiente di lavoro, e un finanziamento iniziale.

Nota alla proposta 3. L’università non dovrebbe erogare lo stesso stipendio a chi quotidianamente svolge un minimo e/o mediocre lavoro e a chi invece è capace di svolgere un’ottima ricerca o un insegnamento di alto livello, di introdurre nuove tecnologie o modi di pensare e di laureare persone altamente qualificate che trovano facilmente lavoro nell’università o nel settore privato.
Ho conosciuto ricercatori e tecnici che, appena assunti per concorso, hanno smesso di essere attivi nel proprio lavoro e ricercatori a tempo indeterminato che lavoravano come tecnici, senza interesse a progredire scientificamente. Al contrario, ho conosciuto ricercatori e professori, vincitori di concorso in un'università o dipartimento diversi da quelli di provenienza, afflitti da un lentissimo inizio di lavoro a causa della scarsa o nulla assistenza offerta dall’università. Nel mio caso, per non perdere tempo, ho spostato parte dell’attrezzatura con la mia auto, aiutato da un figlio; ho comprato e montato io stesso le scaffalature per il reagentario e l’alloggio degli strumenti.

4 Attività professionale extra-universitaria

Ai soli professori ordinari dovrebbe essere concesso di svolgere attività professionale extra-universitaria (ad esempio per società private), e solo se il lavoro è di alto livello scientifico e porta benefici culturali ed economici all’università e/o allo Stato. Solo una frazione della remunerazione derivante da attività professionale extra-universitaria dovrebbe essere versata a chi ha svolto il lavoro. Il rimanente dovrebbe contribuire al bilancio della ricerca del dipartimento di appartenenza dell’esecutore del lavoro stesso.

Nota alla proposta 4. A ricercatori e professori universitari dovrebbero essere assicurate la convenienza e la comodità di svolgere il proprio lavoro di studio e ricerca esclusivamente per il bene dell’università. Conviene all’università avere ricercatori e docenti unicamente dedicati al mantenimento e al miglioramento dello standard dell’università stessa, in termini di ricerca e insegnamento. A maggior ragione, quando un ricercatore o un professore svolgono nell’università un lavoro con bassi standard di impegno e/o qualità, non ha senso che venga loro permesso un lavoro extrauniversitario che li allontana ulteriormente dai compiti istituzionali. Il personale universitario seriamente interessato al proprio studio, alla propria ricerca e al proprio insegnamento non dovrebbe pensare al lavoro in conto terzi, soprattutto se è remunerato in relazione alla qualità del suo lavoro nell’università. Se ha perso quegli stimoli o è diventato pigro, non conviene che l’università stessa gli conceda di avere altre attività. Inoltre, a chi riceve lo stipendio o la pensione per un’attività sostenuta dalle tasse pagate dai cittadini, non dovrebbe essere permesso di svolgere un ulteriore lavoro come libero professionista, perché lo sottrae a chi è in cerca di occupazione.

5 Cura degli studenti meritevoli

Così come l’ammontare del finanziamento per la didattica dato dallo Stato alle università (vedere proposta 3), anche quello delle tasse pagate dagli studenti per accedere ai corsi universitari dovrebbe essere in proporzione alla qualità della ricerca e dell’insegnamento svolti nell’università in oggetto. Questo finanziamento dovrebbe specificamente contribuire al numero e alla qualità dei servizi offerti agli stessi studenti (pensionati, mense, biblioteche, sale di studio, campi sportivi, palestre, etc.) e a un fondo destinato alle borse di studio da assegnare a tutti gli studenti appartenenti a famiglie che non possono sostenere le spese per le tasse universitarie, e soprattutto le spese di vitto e alloggio nella città sede dell’università. La borsa di studio, elargita mensilmente, sarà mantenuta se il borsista supera gli esami nei rispettivi appelli dell’anno accademico frequentato con una media soddisfacente o come meglio stabilito dall’università stessa.

Nota alla proposta 5. Tutte le università statali dovrebbero essere dotate dei servizi sopra indicati in numero sufficiente a poter ospitare nel modo migliore tutti gli studenti che ne hanno necessità. Se le università statali non offrono la possibilità di studiare a giovani meritevoli provenienti da famiglie disagiate, il danno economico e culturale causato a questi giovani, alle loro famiglie e al nostro paese è grave. Così facendo non si permette a chi lo merita l’accesso alla migliore via per una progressione sociale, cioè attraverso la cultura, e ci si carica della grossa colpa di non venire incontro alle aspirazioni di chi ha desiderio di conoscenza. L’accesso a posti di responsabilità è ancora oggi prevalentemente limitato a coloro che provengono da famiglie che hanno potuto mantenerli agli studi. Le scuole di eccellenza, come la Scuola Normale Superiore, la Scuola S. Anna, la Sissa e il sistema dei collegi pavesi, che sostengono le spese per le tasse, il vitto e l’alloggio, sono degne di merito, ma offrono un limitato numero di posti.
Mantenere basse le tasse universitarie fa solo il bene di chi non ha difficoltà a pagarle, mentre non apporta un valido aiuto agli studenti appartenenti a famiglie con basso reddito, perché la maggior parte degli oneri finanziari sono legati a spese di vitto e alloggio. Sono queste che sbarrano la strada a chi risiede in luoghi distanti anche solo un’ora di viaggio dalla sede universitaria.
Tra questi giovani ho conosciuto dei veri eroi. Un mio studente si recava alle cinque di mattina ai mercati generali a scaricare le cassette di verdura per potersi mantenere agli studi e arrivare in aula puntuale alle nove per seguire le lezioni. Una studentessa, per mantenersi agli studi e frequentare le lezioni, si era licenziata dal lavoro di hostess sugli aerei e faceva la telefonista nel turno di notte per seguire le lezioni, studiando nei ritagli di tempo. Questi due studenti si sono laureati bene e senza ricorrere al fuori corso. Un mio studente del corso per tecnico di laboratorio biomedico, eccezionalmente bravo, al quale avevo suggerito di passare al corso di laurea in medicina, rispose che non poteva chiedere ai suoi genitori di mantenerlo per sei anni.

6 Didattica

L’insegnamento universitario deve essere di alto livello, aggiornato ai quotidiani progressi della ricerca e coerente con le finalità del corso di laurea. La sua responsabilità non dovrebbe essere lasciata alla sola discrezione del docente, il cui grado di libertà, in generale, è oggi eccessivamente elevato. Infatti un docente può senza chiedere alcuna autorizzazione, cambiare completamente indirizzo di ricerca e temi da trattare nel suo corso, anche se questi possono non coincidere con gli interessi generali del corso di laurea, del dipartimento o dell'università stessa. Si dovrebbe invece curare l’integrazione di ogni materia di insegnamento con le altre dello stesso corso di laurea, evitando ripetizioni di argomenti già svolti in altri corsi, o lacune nel curriculum di studio. L’ordine propedeutico delle materie dei corsi di laurea deve essere rispettato, controllato e non lasciato alla decisione dello studente. La qualità dell’insegnamento, e l’organicità dello stesso nell’ambito del corso di laurea, dovrebbero essere controllate da tutti i docenti dello stesso corso di laurea, che dovrebbero rimanerne in ultima analisi collettivamente responsabili, con dure sanzioni fino all’allontanamento dall’insegnamento per chi non rispetta quanto deliberato.

Nota alla proposta 6. L’introduzione in un corso di laurea di nuove discipline e l’eliminazione di quelle divenute obsolete dovrebbe essere coerente e simultaneo con il progresso della scienza. Ricordo la lentezza con cui la biologia molecolare è entrata nelle facoltà di medicina e nelle sue scuole di specializzazione. Al contempo, nello stesso corso di laurea è ancora mantenuto l’insegnamento di alcuni aspetti della biologia tradizionale, ormai definitivamente superati dall’evoluzione della conoscenza. Tre, quattro esami al termine di un semestre banalizzano la sessione di esame sia che gli esami interessino materie diverse sia che interessino argomenti distinti di una stessa materia.
Studiare e poi sostenere in esami diversi argomenti facenti parte di una stessa materia abitua gli studenti a memorizzare nozioni apparentemente non collegate invece che ragionare per comprendere le relazioni esistenti tra argomenti omogenei o complementari di una stessa materia. I docenti universitari sono liberi di insegnare ciò che preferiscono, il che potrebbe essere giusto se i loro livelli scientifici e i risultati del loro insegnamento fossero monitorati. Ma non esistono efficienti valutazioni, né controlli sull’operato del singolo docente, e non ci sono sanzioni, come ben rilevato da Marco Capovilla nel suo articolo, pubblicato su Scienza in rete, “L’università italiana scopre la didattica”.
Alla scarsa qualità della didattica nel suo complesso contribuisce purtroppo anche la scarsa preparazione degli studenti. L’analfabetismo funzionale è un fenomeno diffuso, che ho potuto riscontrare anche tra i miei studenti, ai quali non riuscivo a dare sufficienti spiegazioni circa passaggi del testo d’esame consigliato che non riuscivano a comprendere. Alcuni colleghi ne attribuivano la responsabilità alla mediocrità intellettuale degli studenti piuttosto che a quella dei loro insegnanti, responsabili della loro istruzione e della loro promozione attraverso tutti i cicli dell’insegnamento pre-universitario e universitario.

Conclusione

La gestione delle università dovrebbe includere non solo l’amministrazione, come è oggi il caso prevalente, ma anche e soprattutto la ricerca e la didattica. L’azione del management universitario dovrebbe essere capillare e imporre regole all’interno di singoli dipartimenti, gruppi di lavoro e materie di insegnamento, con lo scopo di assicurare che le università funzionino come un’entità armoniosa e organica. Le università dovrebbero essere gestite come imprese di alto livello tecnologico o come società sportive di alto livello agonistico. In questi contesti, i risultati conseguiti dai singoli collaboratori, quale che sia il livello della funzione svolta, fanno ottenere il posto di lavoro e il miglioramento del suo livello qualitativo, professionale ed economico, così come comportano il dover accettare consapevolmente e responsabilmente una posizione subordinata e anche perdere il posto di lavoro meritatamente ottenuto in precedenza. Questa disposizione può apparire eccessivamente dura, ma la posta in gioco è troppo alta. E si deve scegliere tra l’avvenire degli insegnanti e quello dei giovani, cioè del paese.
Il lavoro svolto da ricercatori e docenti ha un ruolo fondamentale nel progresso scientifico, economico e sociale dell’umanità. Ogni docente, che non svolga perfettamente il proprio lavoro, può condizionare negativamente l’avvenire dei suoi studenti. E i giovani danneggiati possono essere numerosi considerando trenta/quaranta anni di insegnamento, la ricerca scientifica e la trasmissione della conoscenza, data l’importanza, vastità e profondità dei loro campi di interesse, costituiscono l’impresa umana più competitiva e più utile agli esseri viventi.
Fare una buona ricerca è molto difficile, e occorrono molte e complesse capacità: confidenza in se stessi, passione, volontà, talvolta ingenuità intellettiva e costanza fino a una apparente stupidità, ma tutto ciò può non bastare se non si è stati allievi di un buon insegnante.

 


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