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Lo sbadiglio del leone marino

Così quotidiano che di rado ci interroghiamo su di esso, lo sbadiglio in realtà ha ancora molti misteri per scienziati: tutto ciò che sappiamo, almeno per quanto riguarda lo sbadiglio spontaneo, è che nell'essere umano e negli altri primati è associato al ritmo sonno-veglia e agli stati di ansia; nelle specie con dimorfismo nella dimensione dei canini, inoltre, è indice di un arousal aggressivo. E ora, un nuovo studio evidenzia come lo sbadiglio spontaneo si presenti nelle stesse condizioni anche in un gruppo completamente diverso, quello dei leoni marini.
Crediti immagine: Reinhard Jahn/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 2.0 Germany

Tempo di lettura: 4 mins

Sbadigliare non è certo solo umano. Sbadigliano, anzi, quasi tutti i vertebrati, pesci compresi. Di questo comportamento così ampiamente diffuso in natura e così apparentemente banale non conosciamo i meccanismi: alcune teorie suggeriscono che possa, ad esempio, abbassare la temperatura cerebrale, ma non c'è nulla di dimostrato. Vale la pena, allora, andare a indagare lo sbadiglio negli animali non umani, per capire se i contesti in cui si presenta siano simili tra le diverse specie: vari lavori hanno indagato questo comportamento nell'essere umano e nei nostri parenti prossimi, i primati non umani.

Ma che dire di un gruppo completamente diverso, come quello dei mammiferi marini? Un nuovo studio, recentemente pubblicato su Scientific Reports, indaga lo sbadiglio spontaneo nel leone marino sudamericano, rivelando che si presenta proprio negli stessi contesti già osservati nei primati e suggerendo quindi un'origine simile. Elisabetta Palagi, etologa dell'Università di Pisa, e i suoi colleghi dell'Universidad Cardenal Herrera hanno iniziato a studiare la colonia di leoni marini sudamericani (Otaria flavescens) di Oceanogràfic, il parco marino di Valencia, per indagarne le dinamiche di gioco. Ma dall'analisi dei video condotta per questi studi, si sono accorti di un altro interessante spunto di ricerca: questa specie sbadiglia moltissimo. Perché non cercare di capire, allora, quando e in quali circostanze?

Tre ipotesi per uno sbadiglio

I ricercatori sono partiti dai contesti in cui lo sbadiglio spontaneo (ben diverso da quello frutto di contagio, correlato all'empatia) è maggiormente espresso nell'uomo e nei primati non umani e, nell'ipotesi che la funzione possa essere omologa, li hanno confrontati con quanto osservato nel leone marino. «Dello sbadiglio spontaneo dei primati sappiamo che è innanzitutto correlato al ritmo sonno/veglia: come primo step abbiamo quindi cercato di capire se questo valesse anche per un mammifero marino come Otaria flavescens», spiega Elisabetta Palagi, prima autrice dello studio. «E in effetti abbiamo trovato un picco di frequenze nei periodi in cui gli animali si riposavano». L'aumento di sbadigli nei periodi di riposo dell'animale è coerente con quanto osservato anche nell'essere umano e in altri primati, nei quali l'aumento si registra nei periodi di "sonnolenza" o, più precisamente, nelle fasi di transizione tra il sonno e la veglia.

Dagli studi condotti in precedenza sui primati è inoltre emerso che lo sbadiglio è associato agli stati d'ansia. Ad esempio studi precedenti hanno individuato una maggior frequenza di sbadigli nei lemuri a fronte di eventi stressogeni. Secondo la Social Distress Hypothesis, quindi, gli sbadigli dovrebbero aumentare in seguito a un evento stressante come un conflitto tra due individui. I ricercatori hanno quindi analizzato la presenza di sbadigli nei 30 secondi immediatamente successivi a un conflitto, sia nell'aggressore sia nella vittima. «Ci siamo così accorti che in quest'arco temporale era presente un picco di sbadigli rispetto al gruppo di controllo. Questa variazione di frequenza di sbadigli correva parallela con l'incremento dello self-scratching (il grattarsi), anch'esso un comportamento correlato all'ansia nell'uomo e nei primati non umani», spiega Palagi. «La perfetta co-varianza osservata tra sbadiglio e scratching fornisce una chiava di lettura indiretta del ruolo dello sbadiglio negli stati di ansia, che potrebbe essere simile nell'uomo».

Infine, una terza ipotesi sugli sbadigli prevede che questi possano rappresentare un segnale di minaccia o comunque indice di un arousal aggressivo quando la specie presenta dimorfismo sessuale nella dimensione dei canini. In altre parole: se i maschi hanno i canini grandi e minacciosi, saranno più propensi a sfoggiarli con uno sbadiglio. «Questa differenza tra gli sbadigli di maschi e femmine è stata infatti osservata in alcuni macachie nei gelada, specie nelle quali i canini maschili sono assai più pronunciati di quelli femminili. Al contrario, non si osserva negli animali in cui il dimorfismo non è presente», spiega Palagi. «E, poiché i canini del leone marino sudamericano non differiscono tra maschi e femmine, la nostra ipotesi prevedeva che tra i due generi non vi fosse differenza nella frequenza di sbadiglio: ipotesi poi confermata dall'analisi dei dati».

Sbadigli multifunzionali

Lo studio di Palagi e dei suoi colleghi, che si aggiunge a una crescente ricerca etologica a tema sbadiglio, consolida quindi una prima informazione su un comportamento tanto quotidiano quanto ancora sconosciuto per molti aspetti: «C'è sbadiglio e sbadiglio, e non sono tutti uguali tra loro», commenta la professoressa.

Essendo condiviso fra tutti i gruppi di vertebrati, si ritiene che lo sbadiglio spontaneo sia un comportamento antico. Poco però è noto delle circostanze in cui si manifesta nelle diverse specie. Ed ecco perché risulta così interessante il risultato del lavoro condotto su Otaria flavescens: il comportamento di sbadiglio spontaneo dei mammiferi marini è risultato perfettamente sovrapponibile a quello dei primati, umani e non. La sua funzione sembra quindi condivisa tra gruppi filogenetici molto distanti tra loro, a suggerire che lo sbadiglio rappresenti un tratto plesiomorfico, antico e mantenutosi nei diversi taxon.

«Un comportamento apparentemente così semplice, che fanno perfino i bambini quando sono ancora nella pancia della mamma, in realtà si rivela estremamente complesso quando lo si studia dal punto di vista etologico e lo si mette in connessione con la morfo-anatomia dell'animale», conclude Palagi.

 


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