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La pseudoscienza della psicoanalisi: una constatazione epistemologica

Una forma di bias negazionista sembra difendere la psicanalisi contro l’ipotesi che si tratti di una pseudoscienza. In quest'articolo, Gilberto Corbellini entra nel merito della questione, compiendo una disamina della letteratura in merito: la psicoanalisi, conclude, è fondata su una teoria della mente che non ha un senso biologico, è generica e non è confutabile. E dunque, al di là del giudizio morale e dei risvolti bioetici, rientra tra le pseudoscienze.
Crediti immagine: venetapublicidad/Pixabay. licenza: Pixabay License

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La questione se la psicoanalisi sia una scienza o una pseudoscienza, affrontata in una recente intervista, continua a far sobbalzare sulle loro sedie, oltre che gli psicoanalisti che hanno un interesse anche economico nella faccenda, persone che sarebbero del tutto disposte ad ammettere che l’agopuntura o l’omeopatia sono pseudoscienze. Una forma di bias negazionista (no la psicoanalisi no!) sembra difendere la psicanalisi contro l’ipotesi che si tratti di una pratica simil-shamanica. Che non è un giudizio ma un’ipotesi largamente discussa.

Per diversi motivi, verso la psicoanalisi c’è una sorta di soggezione intellettuale e gli psicoanalisti sono percepiti come raffinati studiosi o guaritori della sofferenza psichica, capaci di intercettare le vaghezze disfunzionali dei sentimenti o delle emozioni. Quindi, come potrebbero ingannare? A criticare la psicoanalisi si viene investiti da ondate di giudizi sprezzanti, che non entrano quasi mai nel merito delle critiche, ma mirano a delegittimare l’interlocutore. Ovvero, chi la difende chiama in causa ogni genere di argomenti: aneddoti (a me o a una persona che conosco ha fatto bene), principio di autorità (lo ha detto Freud o il tal dei tali), un millantato matrimonio con le neuroscienze (ci sono le prove FMR), una selezione mirata di presunti studi di efficacia, il fatto chi critica non è uno psicoanalista (cosa può saperne un professore di bioetica).

Proviamo a entrare un po’ nel merito della questione, non prima di aver premesso che per chiunque conosca la storia della psichiatria è chiaro che la psicoanalisi ha svolto una funzione culturale e morale importante per il miglioramento del rispetto dei malati e di conseguenza per l’approccio clinico alle malattie mentali.

Definire la pseudoscienza

Partiamo dalle differenze tra scienza e pseudoscienza per fornire la prime necessarie coordinate di un ragionamento. L’epistemologia di base dice che la scienza è un insieme di linguaggi formali (in ultima analisi, matematico-statistici) e di metodi empirici standardizzati per controllare criticamente teorie o ipotesi avanzate con lo scopo di spiegare qualche fenomenologia di interesse, in modo che i risultati dell’applicazione di tali metodi siano replicabili. Così funzionano tutte le scienze sperimentali. Se invece per scienza intendessimo una procedura empirica non definita, i cui risultati dipendono dalla persona che la applica e dove la teoria è formulata in modo così generico da non essere confutabile, cambiando a ogni occasione arbitrariamente per adattarsi alle situazioni o senza riferimenti a scienze esistenti o con spiegazioni che scaturiscono dal modo stesso in cui si applica la procedura, anche l’omeopatia o l’agopuntura sarebbero scienze.

E così la psicoanalisi. Qualcuno invoca per la psicoanalisi uno statuto “speciale”, ma allora tutte le pseudoscienze possono rivendicarlo (e difatti lo fanno). La psiconanalisi assume l’esistenza di componenti della mente (come l’inconscio quale luogo dove si accumulano pensieri, percezioni, paure, desideri, traumi) o di processi come le pulsioni, la rimozione o il trasfert e il controtrasfert che sono stati discussi e usati da migliaia di psicoanalisti in modi vaghi, dipendenti dalle dinamiche soggettive e in parte cambiandone il significato in diversi contesti anche storici. Nessuna prova che abbiano davvero un senso, al di là dei racconti di chi ci crede.

Diversi ricercatori hanno lavorato sul concetto psicoanalitico di rimozione concludendo che non esiste e che date le false memorie usarlo è rischioso. Per cui diverse correnti psicoanalitiche lo hanno abbandonato.

Psicoanalisi e terapia psicodinamica

Un’altra premessa. Esistono centinaia di forme di psicoterapia, o terapie della parola, ma qui stiamo parlando di psicoanalisi e terapia psicodinamica. Che non sono sinonimi. La psicoanalisi, che alcuni sostengono che già in quanto tale non esisterebbe o che ne esisterebbero migliaia di forme, è sia una teoria della mente sia una psicoterapia, che implica un trattamento intensivo da parte di un terapista qualificato per diverse volte a settimana, per anni, col paziente sdraiato su lettino, usando la teoria freudiana come guida, etc. La terapia psicodinamica si fonda solo in parte sulla teoria e pratica psicoanalitica e anche altri modelli , ma usa tecniche diverse: è breve (12-40 sedute), è frontale (niente lettino), e fa un uso eclettico delle teorie psicondinamiche (otto principi), etc.

La maggior parte degli studi clinici di solito citati a sostegno dell’efficacia della psicoanalisi riguardano, nei fatti, la terapia psicodinamica; ma questa è la stessa confusione che si fa quando si vuole difendere l’agricoltura biodinamica dietro il metodo biologico. Senza dimenticare che anche per la terapia psicodinamica gli studi non sono univoci.

Psicoanalisi e scienza: due piani su cui riflettere

Ora entriamo nel merito. La questione se la psicoanalisi sia una scienza si pone a due livelli. Il primo: la dottrina psicoanalitica, cioè la teoria della mente fondata sulla dinamica inconscio/coscienza, la rimozione, i meccanismi di difesa, le pulsioni, le proiezioni, il transfert e il controtransfert, etc. ha o non ha trovato una verifica empirica? Chi scrive, come molti che hanno consultato la letteratura, pensa di no, e che si tratti di vaghe speculazioni psicofilosofiche, affastellate da Freud e rimodulate da diversi studiosi, che non hanno trovato riscontri empirici.

Il secondo: la terapia della parola, in generale, è di aiuto e quindi efficace per aiutare a gestire alcuni disagi mentali? Forse sì, i risultati degli studi non sono però fuori discussione e verosimilmente gli effetti osservati sono dovuti a risposte placebo (effetto shamano?); comunque non è possibile stabilire l’efficacia della psicoterapia psicoanalitica (non della psicoterapia psicodinamica che invece si prova a controllare) in quanto non si possono fare trial clinici randomizzati in doppio cieco stante la tipologia di trattamento.

I due piani possono essere tenuti separati. Si può avere una teoria falsa o non provata, che suggerisce interventi relativamente efficaci per motivi che non si conoscono da subito. Faccio un esempio dal mio campo: la teoria umorale degli ippocratici era completamente falsa e prescriveva soprattutto diete e salassi. Da mezzo secolo si sa che i salassi, che sono citati come esempio di cattivissima medicina, erano relativamente migliorativi nei casi di infezioni batteriche o per la malaria, in quanto sottraevano emoglobina usata dai microrganismi per replicarsi.

La storia della medicina abbonda di questo genere di esempi. Anche l’omeopatia, quando fu introdotta, salvava delle vite, non perché abbia senso ma perché evitava a molti pazienti di finire nelle mani dei medici “eroici”. La psicoanalisi ha migliorato il trattamento dei pazienti da parte degli psichiatri, ma per motivi diversi dalla sua fondatezza scientifica. Né certo, a riprova di quest’ultima, basta dire che la psicoanalisi è compatibile con le neuroscienze. Le decine di libri e centinaia di articoli che si trovano in merito sono speculativi, e ognuno vede la relazione in modo diverso: nella scienza, invece, di solito c’è convergenza anche teorica se ci sono prove solide come argomenti a favore di una certa teoria.

L’impressione è che la “neuropsicoanalisi” sia un confusivo ircocervo nato in una fase, gli anni Novanta ovvero il Decennio del Cervello, nella quale le neuroscienze cercavano di accreditarsi intellettualmente nel mondo umanistico e alcuni psicoanalisti riscoprivano il Freud neurologo. È in questo contesto che si inseriscono gli scritti di Eric Kandel, che dovrebbero essere letti, invece di citarli a sproposito.

La pratica psicoanalitica confutata dalla ricerca empirica

Nel secondo dei due articoli su psicoanalisi e neuroscienze, pubblicati a fine anni Novanta sull’American Journal of Psychiatry, scritto perché al primo intervento gli psicoanalisti lo avevano accusato di riduzionismo, il premio Nobel di lì a poco svolgeva un’impietosa requisitoria in cui smontava le idee che guidano la pratica psicoanalitica, mostrando come siano state irrimediabilmente confutate dalla ricerca empirica. Va ricordato che Kandel diceva che la psicoanalisi potrebbe avere senso se si collegasse ad una teoria biologica della mente che prevedesse la modificabilità delle sinapsi neurali attraverso un percorso di analisi che riorganizzi le connessioni disfunzionali che producono la sofferenza psichica. Allo stesso tempo, invocava un “rapporto Flexner” per gli istituti di psicoanalisi, che consentisse di ridefinire sulla base delle nuove acquisizioni della neurobiologia i livelli formativi e i profili professionali per la pratica psicoterapeutica.

Poiché gli auspici di Kandel non si sono per il momento realizzati, e visto che le sue indicazioni sono andate largamente disattese, che la teoria psicoanalitica sia irrilevante nella psichiatria di oggi, ovvero che l’enfasi sia solo sulla “pratica” volta a studiare come intervenire terapeuticamente sulla dinamica disfunzionale di presunte forze psichiche, è ormai palese. Un articolo famoso su American Psychology di Jonathan Shedler del 2010, che propaganda l’efficacia della psicoterapia psicodinamica (non psicoanalitica), non dice una parola sulla teoria psicoanalitica della mente, ma elenca solo studi clinici che ne dimostrerebbero l’efficacia.

Peraltro, chi volesse aggiornarsi sulla questione dell’efficacia può leggere “An Evidence Based Critics of Contemporary Psychoanalysis” (2019), dello psichiatra canadese Joel Paris, per il quale la psicoanalisi è declinata come disciplina indipendente, anche se continua a svolgere un ruolo importante nel pensiero clinico. Non esistono prove solide, spiega Paris, di una efficacia per il trattamento a lungo termine, mentre la terapia psicoanalitica breve (alcuni mesi) è relativamente utile per i più comuni disturbi mentali. Anche lui pensa che con la teoria siamo in alto mare: c’è stata una transizione da un approccio basato in gran parte su meccanismi intrapsichici a uno più interpersonale, che ha visto integrarsi nella dottrina la teoria dell’attaccamento.

Va però ricordato, aggiungo io, che le idee Bowlby, che era un neodarwiniano mentre Freud era lamarckiano, pur avendo trovato spunto nella psicoanalisi (soprattutto di Anna Freud), erano distanti da quelle di Freud e degli psicoanalisti su diverse questioni e vicine all’etologia. Insomma, la psicoanalisi non si può neppure appropriare della teoria dell’attaccamento, anche se ne ha guadagnato in credibilità dati i presunti apparentamenti.

In un testo precedente, “Is psychoanalysis still relevant to neuroscience?” (2017), Paris scriveva che le moderne teorie psicoanalitiche non rispondono in modo coerente ai critici e non vede come una qualsiasi delle attuali risposte alle critiche possa salvare la psicoanalisi da un costante declino.

Valutare l'efficacia

Sempre per rimanere nel concreto citerò due psicoanalisti. In primo luogo, il celeberrimo Peter Fonagy, molto tradotto in italiano e che guidò il Tavistock Study on Adult Depression, ritenuto da molti la prova che la psicoterapia psicodinamica è efficace. In una discussione svoltasi dieci anni fa sul British Journal of Psychiatry circa l'opportunità o meno che la rivista pubblicasse casi clinici di impianto psicoanalitico, si confrontò con il biologo Lewis Wolpert (già presidente della Royal Society) il quale sosteneva che andavano esclusi in quanto non scientifici. Fonagy ammetteva le critiche dell’avversario, ma difendeva la psicoanalisi affermando che la ricerca è possibile e che si cominciava a farla. Si cominciava! Fonagy si è impegnato a trovare metodi controllati per stabilire l’efficacia dei trattamenti psicoanalitici. Ma se si va a leggere il Tavistock Study, descrizione e risultati, si fa fatica a pensare che con quella metodologia si sia davvero dimostrato quel che si dichiara. Anche ammesso, i difensori dell’efficacia della psicoanalisi potrebbero fare una passeggiata nei boschi delle meta analisi pubblicate sul sito Cochrane: troverebbero poche meta analisi che riportano una relativa efficacia per le psicoterapie psicodinamiche (non per la psiconalisi) e si parla sempre di risultati che richiedono ulteriori studi, di campionamenti non casuali, di mancanza di controlli, di protocolli non trasparenti, etc.

Uno studio pubblicato su Acta Psychiatrica Scandinavica nel 2017 mostrava che a fronte dell’80% di meta analisi che riscontrerebbero un’efficacia della psicoterapia e che sono state esaminate, sono poche (solo 16, cioè il 7%) quelle che portano prove convincenti in qualche ambito molto circoscritto. E un articolo pubblicato nel 2015 su PLOS One mostrava che l'efficacia della psicoterapica per la depressione in particolare è stata sopravvalutata nella letteratura pubblicata, soprattutto a causa del bias di pubblicazione – sono pubblicati solo i risultati positivi. Sono state rivolte critiche al processo di revisione di questi studi, che quasi sempre concludono che il trattamento è efficace, per cui entrerebbe in gioco un bias di fedeltà alla professione o alla dottrina nel giudicare la qualità dello studio.

Gli psicoanalisti si appellano spesso al Process Q-set, che è una tecnica per seguire empiricamente e usando il punto di vista soggettivo del paziente come e se una psicoterapia porta a determinati risultati: è una procedura teoricamente neutrale e che consente agli psicoterapeuti di non sbandare troppo. Ben venga dato che in tanti si rivolgono agli psicoterapeuti! Se non c'è una scelta teorica, siamo nel campo dei modi empirici di procedere. Che non sono in senso proprio scienza, ma modi di decidere facendosi guidare da procedure validate. Io non ho trovato in nessuno dei testi che ho letto su Q-set una difesa della psicoanalisi.

Ancora, l’anno scorso un’influente psicoanalista freudiana britannica, Jessica Yakeley, scriveva un’ampia rassegna sulla rivista The Lancet - Psychiatry: “Psychoanalysis in modern mental health practice”. Nella sezione sulle prove di efficacia, zeppa di bibliografia, ammette il famoso effetto Dodo (da “Alice nel paese delle meraviglie”), per cui tutte le psicoterapie sembrano efficaci allo stesso modo, prescindendo dalla dottrina a cui si riferiscono. Ancora una volta, gli studi che cita riguardano quasi tutti la psicoterapia psicodinamica, non la psicoanalisi. Ovvero quello che emerge dalle rassegne indipendenti è che l’efficacia della psicoterapia non dipende da quale si usa, ma dal livello di convinzione del terapeuta nella validità della sua tecnica, dalla personalità del terapeuta stesso e dal livello di alleanza che si stabilisce tra paziente e analista.

Un possibile aiuto alla sofferenza psichica, ma comunque una pseudoscienza

La Yakeley afferma che se anche le teorie e i concetti della psicoanalisi non sono validati, aiutano tuttavia il terapeuta e il paziente a condividere una ricostruzione delle dinamiche causali e a trovare un piano comune di dialogo. “Anche se non sono validati…” mi sembra un’ammissione non da poco. Lo psicologo, metodologo e studioso di pseudoscienza Scott Lilienfied ha probabilmente ragione quando dice he è ridicolo tutto questo andare in soccorso della psicoanalisi, quando in realtà la maggior parte delle idee spacciate per psicoanalisi sono state raccolte in giro e innestate per convenienza.

Chi scrive non nega che parlare con qualcuno in modo strutturato e nel contesto di una relazione in cui il paziente riesce ad affidarsi completamente al terapeuta, possa essere di aiuto per alleviare la sofferenza psichica, efficacia che varierà comunque a seconda della gravità del disturbo.

Riassumendo. La psicoanalisi è una pseudoscienza perché fondata su una teoria della mente che non ha un senso biologico, è generica e non è confutabile. È una conclusione che discende logicamente dalle contraddizioni che caratterizzano gli argomenti e gli studi. Quanto al problema la terapia psicoanalitica sia efficace è difficile dirlo alla luce dei dati e delle meta-analisi in quanto pochi di questo studi clinici risultano inattaccabili metodologicamente e significativi statisticamente. Non è un giudizio morale. È una constatazione epistemologica. Il risvolto bioetico è un’altra questione.

 


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