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È il momento di Cheops

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Il 18 dicembre è iniziata l'avventura spaziale del satellite Cheops, frutto di un progetto congiunto ESA-Svizzera e con un importante contributi italiano. Scopo della missione è determinare le caratteristiche dei pianeti extrasolari già noti, fornendo ad esempio indicazioni sull'inclinazione dell'orbita planetaria e in alcuni casi anche sulla loro atmosfera. Claudio Elidoro ne parla con Isabella Pagano dell'INAF – Osservatorio Astrofisico di Catania, responsabile scientifico nazionale per la partecipazione italiana al progetto Cheops.

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Con 24 ore di ritardo sulla tabella di marcia dovute a un problema al vettore Soyuz-Fregat, alle 9:54 (ora italiana) del 18 dicembre è iniziata l’avventura spaziale del satellite Cheops. Lanciato dalla base spaziale europea di Kourou nella Guyana Francese, nei prossimi tre anni e mezzo Cheops sarà impegnato a raccogliere informazioni su pianeti di piccola massa già noti che orbitano stelle vicine e brillanti. Dovrà osservare con altissima precisione i passaggi di quei pianeti dinanzi alla loro stella fornendo i dati necessari per indagare a fondo sulla loro natura e sulle caratteristiche fisiche e orbitali.

Ne parliamo con Isabella Pagano (INAF – Osservatorio Astrofisico di Catania), responsabile scientifico nazionale per la partecipazione italiana al progetto Cheops.

Lancio con brivido

Inevitabile l’apprensione tra gli addetti ai lavori quando, il 17 dicembre, la sequenza di lancio era stata interrotta un’ora e 25 minuti prima del liftoff per la rilevazione di un malfunzionamento del lanciatore. Apprensione che è svanita solamente quando, il giorno successivo, il conto alla rovescia non ha avuto interruzioni e, poco prima delle 10 (ora italiana), il Soyuz-Fregat ha acceso i motori e si è staccato con il suo prezioso carico dalla base di Kourou. Alle 12:19 Cheops veniva collocato nella sua orbita a circa 700 chilometri di quota e, 40 minuti più tardi, la ricezione del segnale trasmesso dal satellite confermava che tutto era andato per il verso giusto.

Il satellite è progettato per operare su un’orbita solare sincrona, volgendo dunque costantemente le spalle e i suoi pannelli solari al Sole; a proteggere dalla radiazione solare la sua strumentazione ci pensa un efficace scudo termico. Si tratta della situazione ottimale per ridurre al minimo gli sbalzi termici che potrebbero arrecare disturbo durante le lunghe osservazioni che il satellite dovrà effettuare.

Il delicato momento del liftoff del lanciatore Soyuz-Fregat dalla base spaziale europea di Kourou, nella Guyana francese. Con questo lancio, oltre a Cheops sono stati messi in orbita anche il satellite di seconda generazione Cosmo-SkyMed dell'Agenzia Spaziale Italiana e tre CubeSat, incluso OPS-SAT dell'ESA. Crediti: Arianespace 

Cheops è la prima delle missioni di classe Small del programma Cosmic Vision 2015-2025 dell’Agenzia Spaziale Europea e il nome che la contraddistingue è un acronimo che sta per CHaracterizing ExOPlanet Satellite. Si tratta dunque di un osservatorio spaziale a basso costo (100 milioni complessivi di cui la metà a carico dell’ESA) pensato per determinare le caratteristiche di pianeti extrasolari già conosciuti.

La missione è un progetto congiunto ESA-Svizzera e viene gestita da un Consorzio a guida svizzera (Università di Berna) che vede la partecipazione di 11 Paesi europei e un importante contributo italiano. Sono infatti italiane le ottiche del telescopio da 32 centimetri, l’occhio con cui Cheops effettuerà le sue osservazioni. Progettate dai ricercatori INAF di Padova e Catania, sono state realizzate da Leonardo s.r.l. in collaborazione con Thales Alenia Space e Media Lario e con il supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Responsabile delle ottiche del telescopio è Roberto Ragazzoni, direttore dell'Osservatorio Astronomico di Padova.

Anche nella scelta delle stelle da osservare, elemento chiave perché Cheops dia il meglio di sé, si è parlato italiano. La lista dei bersagli della missione, infatti, è il risultato di 5 anni di stretta collaborazione tra gruppi di ricerca europei con, in prima linea, i team scientifici di INAF Catania e Padova e il team guidato da Giampaolo Piotto (Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università di Padova). Nel team scientifico anche Davide Gandolfi dell’Università di Torino.

Prima di dare il via alla sua attività scientifica, il cui inizio è previsto all’inizio di marzo, Cheops dovrà affrontare un periodo di meticolose verifiche strumentali. Subito dopo l’Epifania si controllerà la strumentazione scientifica e a fine gennaio si procederà all’apertura dello sportello di protezione del telescopio: solamente allora sapremo se questo strumento ha superato indenne lo stress del lancio ed è perfettamente funzionante.

Esopianeti sotto osservazione

A differenza di altri satelliti che hanno operato o stanno operando nel campo degli esopianeti (per esempio Kepler e TESS), l’obiettivo principale di Cheops non è quello di scoprire altri pianeti, ma di permettere agli astronomi di svelare le caratteristiche di pianeti già noti che orbitano intorno a stelle vicine e che sono caratterizzati da dimensioni maggiori di quelle della Terra e inferiori a quelle di Nettuno.

Lo studio degli esopianeti è diventato un ambito sempre più importante della moderna astronomia. Inizialmente era affidato a osservazioni da terra, ma col passare degli anni sono stati progettati e lanciati osservatori orbitanti dedicati esclusivamente alla scoperta di pianeti extrasolari. Con Cheops inizia una nuova fase, quella della caratterizzazione di questi esopianeti. Crediti: ESA

Grazie alla sua strumentazione, Cheops è in grado di registrare con altissima precisione le variazioni di luce della stella quando il pianeta passa davanti alla stella (transito) oppure quando scompare dietro di essa (occultazione). Si tratta di variazioni davvero minuscole, dell’ordine di poche decine di parti per milione, che devono essere rilevate con grande frequenza – anche una volta al minuto – perché il tracciato della luminosità sia il più dettagliato possibile.

A tal proposito, sono particolarmente importanti le misurazioni effettuate all’inizio e al termine del transito: non solo ci danno i tempi esatti del fenomeno, ma racchiudono anche informazioni chiave sull’inclinazione di quell’orbita planetaria. L’analisi di queste piccole variazioni luminose – si parla di fotometria di transito di altissima precisione – permette agli astronomi di risalire alle dimensioni dei pianeti e, potendo disporre di informazioni sulla loro massa, calcolare la loro densità stabilendo così se si tratta di un pianeta roccioso o gassoso.

È per tale motivo che Cheops analizzerà per lo più sistemi planetari le cui masse ci sono note grazie alle osservazioni che i grandi telescopi sulla Terra riescono a compiere con gli strumenti oggi a loro disposizione.

Per alcuni pianeti, però, le informazioni che ci si attende da Cheops potranno essere ancora più dettagliate. Lo studio della luce riflessa dal pianeta mentre orbita attorno alla sua stella (curva di fase) permetterà di misurare la differenza di temperatura fra l’emisfero in luce e quello in ombra fornendo indicazioni sui processi fisici che regolano il trasporto di calore dall'emisfero più caldo a quello più fresco, in ombra. L’analisi della curva di fase, inoltre, può fornire informazioni sull’atmosfera del pianeta, compresa la presenza di nuvole, ed eventualmente anche sulla loro composizione.

Cheops è in grado di rilevare le variazioni luminose di alcuni pianeti nel corso delle loro orbite, un fenomeno simile a quello a noi ben famigliare delle fasi lunari. Lo studio della curva di fase permette di misurare la differenza di temperatura fra l’emisfero in luce e quello in ombra. Crediti: ESA 

Cosa è lecito attendersi da Cheops?

Per avere qualche dettaglio in più su questa importante e innovativa missione – la prima di questo tipo – abbiamo chiesto l’aiuto di Isabella Pagano, direttrice dell’Osservatorio di Catania, eesponsabile scientifico nazionale per la partecipazione italiana al progetto Cheops e project manager del telescopio.

Con qualche apprensione Cheops ha finalmente iniziato la sua avventura spaziale. Quali sono le aspettative per questa missione? Quanti sistemi planetari si prevede possa analizzare nel corso della sua campagna osservativa? Con quale criterio sono stati scelti tali sistemi planetari?

Dal 1995 abbiamo scoperto e classificato alcune migliaia di pianeti attorno ad altre stelle e quello che ci ha più stupito è l’enorme diversità riscontrata; per esempio le cosiddette superterre, pianeti di massa intermedia tra quella della Terra e quella di Nettuno, che non sono presenti nel sistema solare. Cheops ha l’importante compito di determinare quali tra le superterre già scoperte siano rocciose o gassose, se ci sia atmosfera e se sia possibile studiarne la composizione chimica e la struttura termica e pressoria con altri strumenti.

Sono alcune centinaia i sistemi planetari che saranno studiati da Cheops; per alcuni di essi sarà anche cercata la presenza di altri pianeti oltre quelli già noti. Con Cheops ci attendiamo anche di essere in grado di identificare la presenza di satelliti (lune) o la presenza di anelli, come quelli che circondano Saturno. Abbiamo scelto di osservare con Cheops le stelle, con pianeti già scoperti, tra le più brillanti in cielo. Alcuni di questi sistemi planetari sono stati individuati con osservazioni condotte a terra, altri con osservazioni del satellite TESS della NASA che dalla primavera 2018 sta scansionando il cielo alla ricerca di pianeti in orbite strette attorno alle stelle più luminose.

Dal punto di vista strettamente tecnologico, quali sono i punti di forza di questo osservatorio spaziale dedicato allo studio dei pianeti extrasolari? In cosa si differenzia dai “cacciatori” di pianeti quali Kepler o TESS?

Kepler e TESS sono stati pensati per trovare nuovi sistemi planetari, mentre Cheops è dedicato alla loro caratterizzazione fisica. Kepler ha scoperto oltre 2000 pianeti, ma molti di essi sono in sistemi planetari molto lontani e quindi difficili da studiare in dettaglio perché il segnale luminoso proveniente da quei mondi, pur essendo stato sufficientemente forte perché Kepler li scoprisse, è troppo debole per fare misure attendibili sulla struttura del pianeta e sulla presenza di atmosfera. TESS sta cercando pianeti attorno alla stessa tipologia di stelle che saranno osservate da Cheops, ma con una sensibilità minore; quindi Cheops ha la sensibilità adatta a perfezionare le misure di TESS, sia ottenendo misure dei transiti più precise e affidabili, sia confermando transiti di cui TESS potrebbe aver dato solo un indizio, sia infine individuando nuovi pianeti in sistemi planetari scoperti da TESS.

Cheops ha un pregio unico tra i telescopi spaziali fino a oggi dedicati alla ricerca di pianeti extrasolari: una grande flessibilità di puntamento e la possibilità di modificare il programma osservativo in base alle esigenze scientifiche che sono in continua evoluzione.

Quali altri dati, oltre a quelli raccolti da Cheops, occorreranno ai ricercatori per delineare le caratteristiche fisiche e orbitali di quei pianeti? Quali collaborazioni sono previste per integrare in tal senso i dati ottenuti con Cheops?

I dati che servono a Cheops per completare il proprio lavoro sono per lo più già acquisiti, in quanto Cheops è proprio configurata come missione di follow-up, fatta cioè per completare con misure diverse e nuove informazioni quelle precedentemente raccolte. Ciò non di meno ci saranno alcuni casi per cui sarà importante fare anche nuove misure da terra e sicuramente avranno un ruolo in questo gli spettrografi ad altissima risoluzione HARPS, all’ESO in Cile per l’emisfero Sud, HARPS-N al Telescopio Nazionale Galileo che abbiamo nell’isola di La Palma in Spagna per l’emisfero Nord e lo spettrografo Espresso al VLT in Cile (ESO).

Cheops è una missione che vede un’importante partecipazione italiana. Quali sono stati i momenti più impegnativi e quelli più gratificanti che lei, come responsabile di questa partecipazione italiana, ha dovuto affrontare?

Cheops è nata come missione piccola, da progettare e costruire in breve tempo. Inizialmente ci era stato chiesto di farla volare nel 2018, a soli cinque anni dall’inizio dei lavori. In effetti siamo stati pronti a volare già nella primavera di quest’anno e abbiamo atteso che Arianespace ci desse l’opportunità di volo conciliando le esigenze di tutti i passeggeri.

Fare una missione spaziale in così poco tempo ha richiesto di sviluppare diversi modelli di qualifica in parallelo. Questo è stato un aspetto difficile da gestire, anche perché il progetto iniziale di sviluppo è stato arricchito in corso d’opera con alcuni test inizialmente non previsti. Le prestazioni del satellite e, soprattutto, l’entità delle sollecitazioni che lo strumento scientifico avrebbe subito al lancio non erano ben note all’inizio del progetto, perché Cheops è stata la prima missione Small del programma scientifico dell’ESA e il piccolo satellite utilizzato per Cheops è stato sviluppato in parallelo alla strumentazione scientifica. Anche questo ha reso complicata la fase progettuale, richiedendo prove di qualifica molto rilevanti.

La consegna del telescopio all’Università di Berna a inizio estate 2017 è stato certamente un gran momento di arrivo. Il lancio, oltre che emozionante, è stato anche un nuovo momento di partenza perché adesso per noi astrofisici comincia l’avventura dell’analisi dei dati e della loro interpretazione. A metà gennaio prossimo avremo la prima riunione del gruppo scientifico che coordina il programma di Cheops, di cui faccio parte. Coordinati da Didier Queloz, uno dei tre scienziati che quest’anno hanno ricevuto il Nobel per la Fisica, prima brinderemo a Cheops e poi cominceremo a programmare in dettaglio i prossimi quattro anni di lavoro.

 

Per approfondire: brochure ESA su Cheops 

 


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