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Epidemie vere e romanzate

Quello delle epidemia è un tema ricorrente in letteratura. E anche se non si può fare un confronto realistico con l'attuale epidemia di Covid-19, due libri offrono lo spunto per qualche considerazione: “Il morbo bianco” di Herbert e “Stazione 11” di St. John Mandel.
 Crediti immagine: Eli Digital Creative/Pixabay. Licenza: Pixabay License

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Le epidemie sono un tema ricorrente nella letteratura mondiale, affrontate in modo più o meno realistico dagli autori dei vari Paesi. Ho letto da poco due libri che trattano di epidemie: Il morbo bianco, di Frank Herbert (Urania,1982), e Stazione undici, di Emily St. John Mandel (Bompiani, 2014). Allo scoppio dell’epidemia di SARS-CoV-2 mi sono ricordato di questi libri, e delle perplessità che le epidemie lì descritte mi avevano suscitato alla lettura. Ovviamente non si può fare un confronto scientifico tra patologie create in romanzi di narrativa e la realtà, per questo ne parlerò in modo generale, cercando di spiegare se potrebbero essere plausibili.

Stazione undici

Purtroppo nel romanzo di Mandel non c’è una descrizione specifica del virus, a parte qualche caratteristica di contagiosità, virulenza e mortalità. Nel libro il virus è stato chiamato “febbre georgiana”, un virus influenzale o para-influenzale (non ben specificato) che ha una caratteristica di altissima contagiosità e alta mortalità. Come esempio prenderei la descrizione di un volo Londra-New York che in media dura circa otto ore, più altre due tra check-in e imbarco. Mandel descrive che, durante questo volo, una persona infetta non solo contagia il 99% degli altri passeggeri, ma anche che questi, all’arrivo, esprimono sintomi variabili dal “molto grave” al “lieve”. Mentre il paziente 1 è in condizioni critiche e morirà dopo poco.

Analizziamo questa situazione, ricordi di lezioni tenute dai miei professori Massimo Galli e Maria Rita Gismondo, alla lettura di quel pezzo mi hanno fatto sostenere la sua impossibilità, ricordando perfettamente il bello schema che ci avevano proposto: a una più alta mortalità di un patogeno corrisponde solitamente una più bassa contagiosità, per diverse ragioni. In primis, nel caso della “febbre georgiana”, uccidendo subito (in poco meno di 12 ore) l’ospite, il virus non fa in tempo a contagiare un numero sufficiente di persone per poter sopravvivere e creare un’epidemia su larga scala, andando a creare dei piccoli focolai epidemici abbastanza facilmente circoscrivibili.

Per di più, nel mondo moderno considerato dalla Mandel, ci sono una serie di meccanismi di autodifesa che abbiamo visto in azione contro il coronavirus: quarantene, controlli agli aeroporti e molto altro. Immaginate che arrivi un aereo con una persona quasi in stato comatoso e le altre in situazioni per lo più gravi, fareste scendere tutti e raggiungere gli ospedali con i propri mezzi? Oppure organizzereste dei trasporti controllati?

Ovviamente, nel caso di SARS-CoV-2 tutto ciò non è stato possibile: il virus odierno e reale infatti rispetta abbastanza la caratteristica di “alta contagiosità” e “bassa mortalità” di cui parlavano i professori, per cui circa l’80% degli infetti presenta sintomi lievi o è addirittura asintomatico. In una situazione del genere è possibile sfuggire ai controlli e viviamo tutt’ora la pandemia risultato di questa sua caratteristica.

L’unica corrispondenza con una patologia “reale” per la “febbre georgiana”, con le dovute differenziazioni, può essere fatta con l’Ebola: bassa contagiosità (solo a contatto con fluidi corporei), ma alta virulenza (facilità a contrarre la malattia in caso di contatto con fluidi infetti e mucose) e alta mortalità (picchi del 60% nell’epidemia di Ebola del 2014, fonte dati di Emergency).

Il morbo bianco

Analizzare “Il morbo bianco” invece è molto più difficile. Si sa molto di più sulla patologia inventata da Herbert ma, allo stesso tempo, non si sa abbastanza. Iniziamo dal definire che è una patologia creata in laboratorio da un unico uomo, senza basarsi su microrganismi già esistenti quindi, ancora al giorno d’oggi, quasi impossibile. Mentre è già stato dimostrato che il SARS-CoV-2 non è stato creato in laboratorio.

Per di più, il morbo creato in laboratorio era “targettizzato” più di moderne terapie: colpirebbe infatti solo il sesso femminile restando asintomatica nel sesso maschile. Tralasciando la quasi impossibilità (in medicina non esiste certezza) di questa situazione, questo potrebbe aiutare a spiegare ai profani come il coronavirus sia riuscito a diffondersi. Nel mondo reale il numero dei contagiati continua a salire, eppure i sintomi si conoscono e le persone che li mostrano cercano di proteggere se stesse e gli altri non uscendo di casa, ma il virus non si ferma. Perché ci sono anche gli asintomatici, portatori del virus di cui però non mostrano segni e sintomi, che continuano a vivere le loro vite normalmente. Così è stato nel libro di Herbert: tutti gli uomini sono diventati veicolo del morbo ma non c’era modo di riconoscere chi lo portasse o meno e, così facendo, il “morbo bianco” è riuscito a diffondersi in quasi tutta la popolazione.

I libri trattati non sono scientificamente plausibili e hanno poco a che fare con l’epidemia attuale. In ogni caso li consiglio per due motivi diversi: “Stazione 11” ha una scrittura altamente poetica, evocativa, con intrecci molto interessanti. "Il morbo bianco” invece ci fa immergere nella realtà e diversità della psiche umana dando adito a diversi spunti etici, morali e personali.

 


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