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Epidemiologia di campo: la nostra risorsa per la fase due

Mappa dei punti di contagio del colera a Londra, John Snow (1862).

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Il dibattito in corso su come prepararsi alla prossima fase due sta perdendo di vista la necessità di rafforzare la prima linea di difesa sul territorio, che sono quei dipartimenti di prevenzione, presenti in tutte le Asl, che attraverso la sorveglianza, l’individuazione precoce delle infezioni e il trasferimento di flussi informativi certi potranno consentire, volta per volta, l’adozione di misure tempestive per interrompere il contagio 

Il motivo della diminuzione dei contagi, ad ora, è l'isolamento fisico generalizzato, applicato a tutta la popolazione, ma quando il lockdown terminerà, l'isolamento selettivo dei casi individuati sarà il nodo cruciale per spezzare le catene di trasmissione virale e impedire l’insorgenza di nuovi focolai. Questo è prioritario soprattutto nelle regioni del Sud dove ancora l’incidenza dei contagi è relativamente bassa. Lo strumento per supportare questa modalità di controllo dell’epidemia è l’epidemiologia di campo.

Nell’attuale fase dell’epidemia si registrano livelli di diffusione del virus molto differenti tra le diverse aree del Paese e dove si sono rilevati i picchi più elevati, una volta usciti dalla fase più critica, la guardia dovrà essere mantenuta molto alta. Accanto a ciò, si osservano regioni largamente al di sotto dell’incidenza media nazionale di 184 casi ogni 100.000 abitanti, come la Calabria che ne conta 37,8, la Sicilia 38,6, la Basilicata 45,6, la Campania 49, la Sardegna 53,3, la Puglia 52, 2, il Molise 65,7, il Lazio 68,3. In tutte queste regioni, quando il lock-down terminerà, l’isolamento selettivo dei casi individuati dalla sorveglianza e dei contatti scovati mediante il contact tracing sarà il nodo cruciale per spezzare le catene di trasmissione virale e impedire l’insorgenza di nuovi focolai.  

L’associazione italiana di epidemiologia (AIE) ha raccolto ieri nel corso di un webinar, molto affollato, le esperienze di chi nell’attuale fase della pandemia ha retto la forza d’urto della necessità di osservare e descrivere quello che stava succedendo. Ora un gruppo tutto sommato esiguo di epidemiologi si prepara ad affrontare le esigenze legate alla tanto attesa diminuzione dell’ondata epidemica.

Nei momenti in cui la circolazione del virus si attenua, è indispensabile passare rapidamente da interventi generalizzati di distanziamento e contenimento sociale come quelli adottati finora (che, come sappiamo, sono molto onerosi in termini di costi socio-economici), a interventi individualizzati di sorveglianza epidemiologica, che oltre a essere meno costosi, consentano la tempestiva individuazione dei nuovi casi, l’esaustivo tracciamento dei contatti ed il loro isolamento. Nella fase due sarà necessario disporre anche di dati diversi da quelli raccolti finora.

Al di là della trincea dell’ospedale

Quest’azione, richiede, però, di superare una visione parziale che guarda prevalente al versante assistenziale. Occorre recuperare un corretto approccio epidemiologico, soprattutto per quelle regioni dove, per fortuna, siamo ancora in tempo a virare; questo se non si continua a perdere di vista il luogo dove il contrasto all’onda epidemica si sarebbe dovuto giocare già ieri: la comunità o, per meglio dire, le comunità. Come ci ricorda anche l’articolo firmato da Paolo D’Argenio. L’approccio epidemiologico pragmatico è caratterizzato dalla capacità di risposta rapida di indagine quando si presentano emergenze di salute pubblica e dalla proposta di soluzioni adatte alle specifiche esigenze. Nel caso di una pandemia, qual è Covid19, significa poterla affrontare sul territorio, affinché l’emergenza sanitaria non gravi sul versante assistenziale e perché si possano rintracciare i contatti, il loro monitoraggio e avviare, così, la precoce interruzione della catena di trasmissione, che è proprio quello che ci consentirà di uscire fuori di casa, regione per regione.  

Buone pratiche da generalizzare

In queste settimane i servizi territoriali hanno fatto fronte alle richieste, talvolta con fatica, ma a volte anche impostando le attività in modo di prepararsi alle esigenze del futuro. Rimane indispensabile, però, potenziare i servizi territoriali di prevenzione, soprattutto attraverso il ricorso all’epidemiologia di campo, ovvero ai “Dipartimenti di Prevenzione” dislocati sui territori regionali e alle loro capacità di sorveglianza delle nuove infezioni. 

Il primo compito è utilizzare i sistemi di sorveglianza già esistenti per individuare i casi sospetti, e confermarli con il test, Il passo successivo è individuare i contatti, cioè tutte le persone che sono entrate in contatto con i contagiati e metterli sotto sorveglianza. Anche i contatti vanno confermati con il test, infine occorre isolare tutti i positivi e i guariti, eventualmente in strutture dedicate, se le condizioni domiciliari non risultano idonee. Un lavoro immenso, come si vede, che richiede disponibilità strutturali e di personale, a rischio altrimenti di risultare efficace a macchia di leopardo, quindi in modo disomogeneo per aree geografiche

Ecco perché vanno coinvolte persone esperte, epidemiologi addestrati a reagire rapidamente e che possano dirigere personale anche non necessariamente esperto, ma motivato, dopo un breve addestramento. 

L’informazione epidemiologica che ci serve adesso è capire chi sono le persone che ancora continuano ad ammalarsi. Il contagio avviene per lo più all’interno delle famiglie? o attraverso le persone che, per diversi motivi, ne incontrano altre portatrici del virus? 

Efficaci misure di sanità pubblica appropriate a reagire rapidamente per la tutela della salute collettiva contro minacce a livello planetario sono strumenti irrinunciabili per il Servizio sanitario nazionale. E quindi per tutti noi. 

 


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