Dall’insediamento il 2 marzo come direttore dell’Agenzia italiana del farmaco Nicola Magrini si è fatto notare con una serie di misure decisamente straordinarie legate anche alla epidemia da Coronavirus. Già la seconda settimana (11 marzo) istituisce l’Unità di crisi per sviluppare una riposta rapida e adeguata alle molte domande poste dall’epidemia montante sugli aspetti regolatori e di uso ottimale dei farmaci, e pubblica nuove schede informative sui farmaci usati off label per l’emergenza Covid-19. Dal 17 marzo col DPCM Cura Italia viene deciso che AIFA con la sua Commissione tecnico scientifica (CTS) valuta e approva tutti gli studi clinici sui nuovi farmaci che si svolgono sul territorio nazionale con un unico parere del comitato etico dello Spallanzani. Cerca inoltre di dare maggiore impulso alla funzione congiunta della CTS e del Comitato prezzi e rimborsi (CPR), le due commissioni AIFA che lavorano congiuntamente alla valutazione e approvazione dei nuovi farmaci da immettere sul mercato, alla loro rimborsabilità e prezzi, nonché alla definizione dei loro usi ottimali nel nostro SSN. Colpito da Covid, ha continuato a lavorare allo Spallanzani dove è stato ricoverato per 12 giorni ed ora eccolo qui seppur in quarantena pronto per l’intervista.
Il virus ha travolto un po’ tutti, compreso la tua famiglia, ma ha anche innescato reazioni inaspettate in tante persone. L’AIFA si è imposta in questi due mesi come una fonte informativa importante per medici e pubblico. E mi sembra abbia fatto un buon lavoro. Come vi siete mossi?
Beh, intanto grazie del riconoscimento visti gli sforzi profusi sia per quantità sia per qualità. L’Unità di crisi Covid-19 istituita su iniziativa mia e del presidente Domenico Mantoan è partita subito dopo pochi giorni dal mio arrivo e si è occupata di temi caldi e difficili come l’uso dei farmaci per il trattamento o la prevenzione della infezione Covid-19, l’informazione sugli usi ottimali, le carenze di farmaci e soprattutto le sperimentazioni cliniche.
Poi col decreto “Curitalia” la Commissione tecnico scientifica (CTS) di AIFA ha iniziato a valutare - dal 17 Marzo - tutti gli studi clinici sui nuovi farmaci o su vecchi farmaci repurposed riunendosi tutti i giorni sabato e domenica compresi. Un lavoro incredibile e straordinario a un tempo, gestito senza esitazioni dalla CTS AIFA e per il quale devo ringraziare tutti i membri e la sua presidente Patrizia Popoli. Anche col Comitato etico dell’Istituto Spallanzani, che dava il suo parere in poche ore o in pochissimi giorni si è stabilita una collaborazione davvero virtuosa.
Una corsa contro il tempo. Di quanti studi stiamo parlando?
93.
E approvati?
19. Un rejection rate alto di oltre l’80% per garantire la massima qualità e una buona prioritarizzazione.
Quali sono stati i passaggi cruciali di questo lavoro?
In un primo tempo abbiamo dovuto gestire l’emergenza. C’è stato per esempio il caso del farmaco Tocilizumab, un anti-interleuchina-6 usato normalmente contro l’artrite reumatoide, che all’inizio, sull’onda dell’emozione, sembrava un farmaco miracoloso e in pochi giorni 600 pazienti sono stati trattati col farmaco donato dalla ditta produttrice. Ma il problema vero era ed è sapere ancora se questo farmaco funziona e quanto funziona. Abbiamo rapidamente allestito uno studio di fase due a braccio singolo (come si fece con la sperimentazione Di Bella dopo gli annunci ai telegiornali che funzionava), anche perché nessuno avrebbe accettato di essere randomizzato con gli acuti dopo le affermazioni fatte da alcuni, e quindi rinunciare alla cura. In un solo giorno 330 pazienti sono entrati nello studio, che ha affiancato un altro studio osservazionale con oltre 1.200 pazienti che si era creato nel frattempo a mo’ di registro.
Ecco, questo è stato un momento non facile durato una o due settimane, passato il quale ci si è trovati ad approvare anche studi randomizzati con un migliore disegno e una metodologia più affidabile e rigorosa, perché quello che abbiamo imparato durante la recente epidemia di Ebola (molto più grave ma per certi aspetti simile) è proprio che servono studi randomizzati per capire se le terapie funzionano e che si possono, anzi si devono fare anche durante le emergenze. Ma gestire le emergenze è chiaramente difficile e problematico, perché si moltiplicano domande e aspetti inattesi e ignoti.
Qualcuno ha cautamente criticato l’AIFA per questi studi “alla Di Bella”, con riferimento soprattuto all’antifluenzale Avigan, insinuando di correr dietro alla fake news…
Sono situazioni che sarebbe irresponsabile non gestire, pur con il dovuto rigore. Avigan è un antinfluenzale di cui si fa ampio uso in Giappone, quindi un farmaco sicuro anche se poco efficace. Già era stato testato da uno studio francese su Ebola e non aveva funzionato. Un paio di piccoli studi cinesi (con vari difetti) avevano suggerito un modesto effetto e così abbiamo inserito anche Avigan in uno studio su pazienti a domicilio che confronta questo farmaco con clorochina, Kaletra (un antivirale), e altro ancora.
Quindi dopo la prima fiammata del Tocilizumab, che altri studi sono seguiti?
Nelll’arco di 2-3 settimane sono stato approvati diversi studi randomizzati su diversi nuovi farmaci (inibitori della IL6, IL1 e altri meccanismi alla base della cosidetta “tempesta di citochine” convolta nelle polmoniti da Coronavirus) e poi si sono approvati studi per indagare gli anticoagulanti come l’eparina, di cui si è molto parlato anche sui giornali. Ora sta partendo un nuovo studio a sette braccia di tipo adattativo e pragmatico, vale a dire che confronta rispetto alle cure standard (a base di sola Clorochina) i vari nuovi anticorpi e il cortisone stesso, che rappresenta una terapia di cui vanno studiati dosaggi e durate. Questi studi, così come quello della Organizzazione mondiale della sanità (WHO SOlidarity trial) rappresentano una modalità davvero nuova e intelligente di affrontare lo studio di nuovi e vecchi farmaci per questa emergenza
Questo studio che si è appena avviato come sta andando?
C’è un problema, per fortuna…
Quale?
Che fatichiamo ad arruolare pazienti gravi perché non ce ne sono più come qualche settimana fa. Segno evidente che le misure di distanziamento fisico e contenimento a domicilio hanno funzionato. Nel senso che pazienti che arrivano gravissimi, con una imponente cascata infiammatoria, con l’interleuchina alle stelle, con il D-dimero alto, oggi, anche nei grandi centri se ne vedono molti meno, e l’infezione non sembra più essere come prima. Forse questo bisognerebbe cominciare a dirlo, per dare fiducia e il senso che siamo andati nella giusta direzione. Di fatto, l’isolamento sociale ha portato a una frenata dei casi e a qualche contagio familiare, che di solito evolve in una infezione moderata. E infatti le terapie intensive si stanno via via liberando.
Una buona notizia finalmente. Parliamo allora del cortisone e di altri antinfiammatori. All’inizio sembravano veleno per Covid. Cosa è successo?
Andrebbe fatta chiarezza su alcuni messaggi terrorizzanti su farmaci comunemente usati come i FANS e nella fattispecie l’ibuprofene, che sembrava favorire l’insorgenza di un’infezione virale - cosa che poi si è rivelata infondata. Poi c’è stato l’allarme per chi prendeva ACE inibitori e Sartani, ottimi farmaci antiipertensivi che sembravano peggiorare la prognosi dell’infezione agendo sugli stessi recettori (ACE2) usati dal virus per entrare nelle cellule. E anche questa è stata smentita da studi condotti in Regione Lombardia dal gruppo di Giovanni Corrao e Giuseppe Mancia. Il cortisone invece è un farmaco importante per Covid-19. È stato sconsigliato dall’OMS sia nella prima SARS sia nella MERS per trattamenti prolungati, per i noti effetti come l’insorgenza del diabete o l’aumento della pressione arteriosa. Ora però l’approccio è completamente diverso perché prevede un trattamento in boli ad alte dosi per pochi giorni. Alcuni degli studi clinici in corso (fra cui quello che compara diversi farmaci) ci diranno la reale efficacia di questo farmaco su Covid.
Cosa mi dici della colchicina, fra le ultime new entry per Covid?
È un altro farmaco che agisce almeno in parte sulla interleuchina 6 ed è un farmaco di cui è nota la sicurezza. Attualmente è oggetto di un paio di studi.
Il vero battage internazionale, con l’iniziativa dello studio francese e l’entusiasmo di Trump, subito spento da Anthony Fauci, ha riguardato la clorochina, in particolare l’idrossiclorochina. Di fatto questo è il farmaco che i medici di medicina generale danno ai pazienti con sintomi a casa, con o senza antibiotico. È un protocollo corretto dal punto di vista di AIFA?
Secondo l’AIFA no, perché seguendo l’avviso degli infettivologi non è appropriato aggiungere di norma l’antibiotico (di solito Azitromicina) alla clorochina. Come è noto la clorochina, può avere come effetto collaterale, ancorché raro, l’arresto cardiaco (come documentato in Francia dove questo farmaco è stato usato di più, proprio in associazione ad Azitromicina, che ha a sua volta una tossicità cardiaca minima). Come ricordato anche da New England Journal of Medicine, la clorochina va ancora testata sia per l’efficacia sia per la sicurezza, e quindi è importante non abbassare gli standard metodologici.
Ma ci sono alle viste farmaci più efficaci di quelli attuali che nel seguito di Covid possano controllare meglio la situazione?
Il mio messaggio è, di nuovo, di grande prudenza. I segnali che abbiamo visto finora è che i primi farmaci che abbiamo approvato, come il Remdesivir, se hanno un effetto è minore dell’atteso. Non a caso gli studi della casa produttrice (Gilead) sono stati aumentati come campioni di quattro volte (da 6-800 pazienti a 2.400) perché evidentemente si aspettano un effetto più piccolo dell’atteso, e che in meno pazienti poteva non emergere. Peraltro, questo come altri studi non sono stati fermati per eccesso di beneficio e hanno ricevuto una serie di aggiustamenti per i motivi che ti ho detto. Lo studio randomizzato sul Kaletra (pubblicato dal NEJM) è andato male e si è visto che sui pazienti gravi non fa molto. Vedremo sui pazienti lievi se può fare qualcosa, gli studi sono in corso.
Poi si è “scoperta” l’Eparina.
Di certo l’Eparina, che per i pazienti allettati già si faceva a basse dosi e che ora si somministra a dosi terapeutiche, si sta rivelando importante per le complicazioni della coagulopatia che interessa una parte dei malati gravi. Ma anche in questo caso è necessario studiarla in modo rigoroso per spiegare quanto si era già cominciato a fare nella clinica.
Allora dimmi qual è il farmaco che promuoveresti a pieni voti.
Se c’è una cosa che ha veramente funzionato fino ad ora, come ha sostenuto più volte l’intensivista Luciano Gattinoni, sono le nostre ottime terapie intensive, e quindi in primis l’ossigeno ma soprattutto i team e gli operatori sanitari ben preparati e attrezzati.
E lo studio al momento più solido e importante?
La cosa positiva è che sono nati studi comparativi importanti e ben fatti, come lo studio dell’OMS Solidarity, dove è presente anche l’Italia, con l’idea di confrontare clorochina, Kaletra, Interferone beta e Remdesivir. L’Italia è stata fra i più aperti e innovatori nell’indagare i vari farmaci attivi sulla cascata infiammatoria (es. Tocilizumab), che potrebbero essere utili non per tutti ma per qualche sottogruppo di pazienti. Di nuovo, non stiamo parlando di farmaci risolutivi, ma che forse possono aiutare.
Tempi per avere un po’ più di certezze su questi farmaci e loro combinazioni?
Sono studi che entro tre-quattro settimane verranno chiusi come reclutamento e quindi si potrà essere più netti e chiari sulla loro reale efficacia.
Mi sembra comunque un ottimo segno che AIFA stia coordinando questi studi.
Questa è una conseguenza sicuramente positiva del decreto “Curaitalia” che ha obbligato tutti i nuovi studi per Covid a essere vagliati da AIFA e da un solo Comitato etico, quello dello Spallanzani. L’agenzia ha spinto inoltre per avere solo studi randomizzati per dare più forza alla sperimentazione. E devo dire che i due studi più interessanti - ARCO e Ammuravid - quello che citavo prima a sette bracci - sono stati disegnati in uno sforzo congiunto con i ricercatori. Così facendo siamo passati dall’essere un semplice ente regolatore a soggetto capace di sviluppare e sostenere i nuovi trial disegnati da gruppi di ricerca indipendenti.
Nelle prime settimane, quando eravamo nella fornace dell’epidemia, si sono levate voci che hanno reclamato studi più rapidi e l’uso “di guerra” di farmaci anche se non ancora perfettamente testati. Tu cosa ne pensi?
Per fortuna siamo rinsaviti, i miracoli son finiti, e anche grandi riviste internazionali come JAMA e New England Journal of Medicine hanno insistito sul fatto che anche in emergenza vanno fatti studi rigorosi, possibilmente randomizzati e di maggior leggibilità. Peraltro, Ebola docet, quando la fretta aveva spinto a fare i cosiddetti studi adattativi (cioè studi che si adattano a seconda dei risultati che si ottengono via via continuando a reclutare pazienti, e privilegiando bracci più promettenti e chiudendo quelli deludenti, ndr.), ma fino a quando non ci si è messi a fare studi randomizzati classici non si veniva a capo di niente.
Direi però che - come mostra l’accelerazione su vaccino e farmaci in corso ora negli Stati Uniti su iniziativa dello stesso Fauci - Covid impone un cambio di marcia, no?
Il cambio di marcia c’è stato data l’emergenza, ma senza deflettere dal rigore. Si può essere al contempo rapidi e corretti e mantenere gli standard etici prima di tutto. D’altra parte, già negli anni passati era invalsa l’idea di accelerare nella sperimentazione farmacologica, sostenuta da diversi portatori di interesse, e adottare dati preliminari e parametri surrogati. Quindi c’è stata anche la tendenza a spingere sui cosiddetti studi osservazioni su dati reali, che non si è fortunatamente ripresentata in questa emergenza. Ma soprattutto questa linea non è passata anche grazie all’opposizione dell’Agenzia europea del farmaco (EMA), che si è spesa per avere studi randomizzati comparativi anche a fini registrativi. Questa ritengo sia una nota di merito che intendo sottolineare.
Eppure, ancora oggi vengono pubblicati su riviste prestigiose studi che non hanno questo rigore, alla fine dei quali non si può dimostrare una chiara efficacia, come è successo recentemente per il Remdesivir, che per fortuna è - quanto meno – risultato ben tollerato dai pazienti, ma non sappiamo ancora quanto e se funzioni. Anche qui i due studi randomizzati sono in corso e vi partecipa anche l’Italia con diversi centri. Speriamo di vederne presto i risultati.
Molti anni fa AIFA si era distinta per aver creato un fondo per finanziare la ricerca indipendente con una quota delle spese di marketing delle farmaceutiche. Poi questo fondo è andato via via scemando. Ora che si fa?
Aumenteremo il fondo per la ricerca indipendente per riportarlo ai livelli storici. È stato istituito anche un fondo specifico per le emergenze nazionali, come l’antibiotico-resistenza, di cui sarebbe meglio non dimenticarsi, visto lo stato assolutamente critico nel quale ci troviamo in Italia.
Molti apprezzano le nuove schede informative, tecniche ma comprensibili, sui farmaci Covid che AIFA ha pubblicato sul suo sito. Che programma avete sull’informazione indipendente?
L’Informazione chiara, semplice e breve deve diventare una delle peculiarità di AIFA. Abbiamo comunicato con schede informative, molto consultate e non solo da medici. E come sai, essere brevi e chiari è più difficile che essere lunghi e magari noiosi. Così come riavvieremo prodotti informativi più complessi per i medici per aiutarli nelle scelte terapeutiche più appropriate.
Un’altra novità importante è che faremo lavorare insieme la Commissione tecnico scientifica e il Comitato prezzi e rimborsi: diventeranno di fatto una funzione unica dell’Agenzia per lavorare in modo integrato. Più in generale stiamo ridisegnando l’agenzia per farla diventare un tassello del sistema sanitario e al servizio delle Regioni.
Bilancio finale di questi due mesi di passione?
Sono solo poche settimane… Mi sembra quindi che siamo in una fase di buona governance e di efficace nudging (opportune spintarelle nella giusta direzione) per avere studi clinici di buona qualità e ai livelli più alti della ricerca internazionale. L’Italia ha prodotto una ventina di studi di buona qualità in tempi rapidi. E se a questo associ lo straordinario lavoro fatto dalla scuola della terapia intensiva lombarda, che con Antonio Pesenti e Luciano Gattinoni è stata portata ai vertici mondiali, devo dire che nella tragedia di questo periodo credo abbiamo dato il contributo migliore che potevamo dare, vista l’emergenza che ci ha colpito. E insegnare a tanti nuovi professionisti a fare questo lavoro è stato un vero esperimento naturale e un grande investimento per il nostro SSN.
Come pensi che usciremo da Covid come Paese?
Ne usciremo spero con un grande senso di ancoraggio e di affetto per il nostro sistema sanitario pubblico, soprattutto con la convinzione che l’SSN è un bene comune che va preservato e rafforzato. Il fatto che la gente abbia capito che non servivano tanto e solo i posti letto ma soprattutto medici competenti e infermieri specializzati la trovo una cosa importante, che mi tocca particolarmente, avendo sperimentato in prima persona le competenze e le qualità umane presenti in questo campo, come coloro che mi hanno seguito nei miei 12 giorni di degenza all’Istituto Spallanzani di Roma. Operatori sanitari e professionisti umanamente e professionalmente di grande levatura. Il vero patrimonio del paese, come ripete sempre Beppe Ippolito.
Se posso permettermi, nelle dirette televisive che facevi da casa nel periodo della convalescenza ti vedevo un po’ giallino…
Ittero da clorochina. Ho una deficienza eterozigote dell’enzima G6PD che mi deriva dal ramo famigliare proveniente dalla zona del ferrarese, dove la malaria era endemica. Non così infrequente in Italia visto che siamo il 3-5% della popolazione.