Hans Hartung. Musée d'Art Moderne de Paris. "P1973-B21" / "P1973-B73" / "P1973-B71" / "P1974-A49" / "P1974-A40" / "P1974-A37" / "P40-1975-H2" / "P40-1981-H12" / "P40-1971-H9" - Acryliques sur carton baryté (Foto di Renata Tinini).
Gli dei conoscono il futuro, gli uomini ciò che accade, i saggi ciò che si avvicina (Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, VIII, 7)
I modelli epidemici sono rappresentazioni matematiche delle dinamiche ecologiche che regolano l’interazione tra un agente infettivo e le popolazioni bersaglio. Non si tratta quindi di elaborazioni di pura matematica ma di formalizzazioni matematiche di fenomeni biologici. La teorizzazione di tali modelli si è progressivamente sviluppata dai primi anni del ‘900 (1) fino ai giorni nostri (2, 3) soprattutto al fine di chiarire i meccanismi che regolano l’interazione tra gli agenti infettivi e le popolazioni infettate. Nel corso degli ultimi anni, anche in virtù dell’eccezionale potere di calcolo di cui disponiamo, i modelli sono stati utilizzati per fornire predizioni epidemiche e per prevedere l’impatto di misure di prevenzione o contenimento. Tuttavia, questo approccio è ancora nella sua fase iniziale, le metodologie sono in corso di definizione e le fonti di incertezza delle stime ancora da identificare e quantificare (4).
Nel suo intervento su Scienza in rete Donato Greco solleva tre critiche fondamentali nei confronti dello sviluppo e dell’utilizzo dei modelli matematici dell’epidemia di COVID-19, con specifico riferimento a quelli dell’Imperial College. In particolare egli ha correttamente sottolineato che alcune predizioni hanno sovrastimato largamente i dati osservati, e che parte degli scenari non sono stati sviluppati e interpretati avendo un’adeguata conoscenza critica del contesto a cui venivano applicati.
È importante tenere in dovuta considerazione queste osservazioni nella pianificazione e gestione della Fase 2 dell’epidemia (5), dal momento che le proiezioni d’impatto non hanno solamente fini di ricerca, ma sono piuttosto strumenti per pianificare e valutare politiche sanitarie. Il loro fine è medico e il loro bersaglio è l’intera popolazione. Pertanto chi produce e utilizza tali stime si deve confrontare con i principi etici prima facie della medicina: beneficenza, non-maleficenza; giustizia e autonomia. Dal momento che decisioni di vasta portata si basano sui risultati su questo tipo di proiezioni, la trasparenza e la validità dei loro risultati devono essere valutate indipendentemente e il loro possibile impatto deve essere contestualizzato.
I limiti dei primi modelli
Il fatto che le predizioni, soprattutto in fase iniziale di un’epidemia, non siano accurate non sorprende, dal momento che i valori dei parametri necessari a caratterizzare i modelli predittivi non sono disponibili oppure sono molto imprecisi. Quindi le predizioni si basano su assunzioni che, se falsificate, invalidano i risultati ottenuti. In effetti le prime proiezioni prodotte erano basate su stime provenienti dalla Cina, ancora molto incerte. Per minimizzare i rischi associati all’incertezza intrinseca alle prime stime, è importante che la struttura, gli algoritmi, i valori e le assunzioni dei modelli siano espliciti e ispezionabili, in modo tale da ottenere risultati riproducibili (e se necessario diversi in funzione di assunzioni alternative e nuove conoscenze). È importante analizzare l’incertezza dei diversi parametri del modello (sia quelli che regolano la storia naturale dell’infezione, sia quelli relativi all’impatto delle misure di contenimento) e testare la sensibilità delle proiezioni a tale incertezza, vedere cioè come le stime cambiano cambiando i valori dei parametri del modello. La possibilità di ottenere stime da modelli di diversa complessità ma indipendenti e confrontabili, consente di calibrare meglio la risposta all’epidemia e rispondere più rapidamente a scenari inattesi.
Fatte queste premesse, è innegabile che i primi modelli pubblicati hanno consentito un controllo efficace del picco epidemico e di conquistare tempo prezioso per organizzare la Fase 2 di controllo dell’epidemia. Attualmente, in Italia sono disponibili diversi modelli predittivi capaci di incorporare stime di impatto delle misure di controllo adottate e di fornire informazioni utili a pilotare le decisioni di sanità pubblica per governare la fase 2 (6-11). L’approccio generale consistente nell’utilizzare e confrontare diversi modelli, meglio se alcuni già validati da esperienze di epidemie simili precedenti, è attualmente seguito ad esempio dal CDC negli Stati Uniti (vedi figura).
Le due figure mostrano le morti cumulative per Covid osservate da febbraio (linea e punti neri), e le morti previste dagli scenari per le successive quatto settimane negli Stati Uniti. A sinistra, le curve dei 14 modelli presi separatamente, a destra i 14 modelli combinati.
Nel nostro paese sarebbe importante selezionare con cura un numero ristretto di modelli da condividere a livello nazionale e locale per interpretare l’andamento dell’epidemia e per informare le future scelte di salute pubblica. Ottenere un gruppo ristretto di stime predittive da gruppi di lavoro indipendenti ma in collaborazione tra loro consentirebbe anche di controllare un altro problema identificato da Donato Greco. Infatti, se le predizioni dei modelli convergono le decisioni politiche da prendere sono facilitate, al contrario in caso di predizioni divergenti o di rilevanti incertezze nelle stime le decisioni politiche possono essere prese valutando esplicitamente i pro ed i contro dei diversi scenari proposti. I decisori potrebbero anche porre domande specifiche di scenari da valutare attraverso i modelli. È importante che le domande siano esplicitate, altrimenti la scelta degli scenari può diventare un esercizio accademicamente rilevante ma non applicabile. Ciò è importante anche per tutelare i risultati dei modelli e i loro autori che possono essere oggetto di forti pressioni di natura ideologica come nel caso di Neil Ferguson (12).
L’esperienza del Piemonte
In ultima analisi la condivisione di competenze potrebbe agevolare l’aggiornamento costante delle predizioni e l’interpretazione dei loro risultati. I modelli dovrebbero essere realistici: per esempio, considerare le concrete misure (e riaperture) messe in atto a partire da una certa data (come 4 e 18 maggio); considerare le reali modalità di contenimento, e possibilmente monitorarle nel corso del tempo. In Piemonte è stata importante nelle ultime settimane la disponibilità di ben quattro modelli predittivi: (a) Dorigatti (ben noto, pubblicato sul sito dell’Imperial College), che aveva il limite di prescindere da qualunque misura sia di protezione individuale sia di tracciamento dei contatti (11), modellando invece diversi scenari di aumento della mobilità; (b) due modelli di epidemiologi piemontesi, non ancora pubblicati: quello del Dipartimento di Informatica e del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino (9), su cui torniamo in seguito; e quello di Francesco Barone Adesi (10), che ha scritto un rapporto sul fabbisogno di terapie intensive in caso di una nuova ondata epidemica dovuta al rilassamento del lock-down. Infine (c) il rapporto di Baussano-Rosso, pubblicato su Scienza in rete (8), che esaminava diversi scenari di riapertura inclusi i metodi di contenimento.
Nella loro diversità tutti questi rapporti contenevano un messaggio univoco che ha aiutato nella pianificazione della Fase 2. La pluralità ma anche la convergenza dei modelli (dove quello più estremo era il modello dell’Imperial College) ha consentito di convincere la Regione a prendere molto sul serio la Fase 2 e preparare un Decreto Regionale incentrato sul tracciamento dei contatti. Accanto ai modelli abbiamo anche cercato di mettere in piedi un sistema quotidiano di monitoraggio della curva epidemica, di Rt e dei focolai (con geo-localizzazione) per consentire non solo di rispondere agli indicatori ministeriali ma anche di riconoscere precocemente recrudescenze dell’epidemia (con un contributo decisivo di Carla Gaveglio, Chiara Pasqualini, Carlo Di Pietrantonj, Giovenale Moirano, Lorenzo Richiardi, Moreno De Maria e delle reta epidemiologica regionale).
Sulla base degli indicatori abbiamo sviluppato un sistema di soglie (dovuto a Di Pietrantonj, grazie alla sua esperienza di realizzazione della sorveglianza sindromica per Giubileo 2016, Expo 2015 e Olimpiadi Invernali 2006), che a loro volta dettano la severità delle azioni da intraprendere (da quelle attuali che comprendono il tracciamento dei contatti, fino alla soglia di allarme massimo che include il lock-down di zone rosse). Conta molto anche la disponibilità a rivedere i modelli, in particolare quello dell’Università di Torino, rispondendo tempestivamente e con flessibilità alle domande del gruppo di lavoro regionale, sulla base delle condizioni locali dell’epidemia e delle misure concrete di contenimento. Pertanto i risultati dei modelli hanno potuto essere usati per scelte politiche.
Per concludere
La disponibilità di un panel di modelli e un loro impiego coordinato da una clearing house può fornire indicazioni preziose e guidare i politici nelle scelte da prendere per la Fase 2. Schematicamente, le condizioni oggettive che massimizzano l'utilità dei modelli ai fini decisionali includono: (1) la chiara e dettagliata leggibilità delle procedure e algoritmi impiegati nella costruzione di tutte le parti del modello e nella sua applicazione per produrre le stime predittive; (2) la molteplicità di modelli dotati di queste caratteristiche; (3) il loro confronto entro un processo collaborativo inteso non tanto a raggiungere un risultato comune o un “compromesso” tra diverse stime, quanto a reciprocamente discutere e verificare la validità e i limiti di ciascun modello; (4) una garanzia, ottenibile attraverso la pratica dei tre punti precedenti, che modelli e stime vengano valutati per i loro meriti e non con argomenti spesso denigratori “ad personam” nei riguardi dei loro autori (si veda anche 13).