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Anche l'immunità risente dell'età

Salvo rare eccezioni, i bambini rispondono meglio degli adulti all'infezione da SARS-CoV-2. Quest'osservazione ha dei precedenti nei casi di SARS e MERS; ma da cosa potrebbe dipendere la diversa risposta dei bambini? In che modo l'età influenza il nostro sistema immunitario?
Crediti immagine: Myo Min Kyaw/Pixabay. Licenza: Pixabay License

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Si è visto che anche in Italia, come nel resto del mondo, i bambini, salvo rare eccezioni, rispondono all’infezione da virus SARS-CoV-2 meglio degli adulti (i quali, a loro volta, sviluppano meno degli anziani forme letali di Covid-19). Secondo l’analisi di Epicentro basata su un campione di 31.096 pazienti positivi deceduti, l’età media di chi è morto è 80 anni, di quasi 20 anni più alta del totale di quelli diagnosticati infetti (62 anni).

Nel campione, i pazienti di età inferiore ai 50 anni sono 347 (l’1,1% dei deceduti); i deceduti con meno di 40 anni sono 78, di cui 53 con patologie pre-esistenti (cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità), 14 con un’anamnesi muta per condizioni di rilievo e 11 con storia clinica ignota.

Queste osservazioni hanno avuto precedenti nella SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome), emersa nel 2002-2003, che ha portato a 8.098 casi e a 774 morti in un periodo di 9 mesi e, dieci anni dopo, nella MERS (Middle East Respiratory Syndrome) che ha infettato 2.494 persone con 858 morti: i bambini hanno rappresentato meno del 5% dei soggetti colpiti da entrambi i coronavirus (con una relativa sovra-rappresentazione dei lattanti sotto l’anno d’età). Basandosi sui dati raccolti nei primi due mesi a Wuhan, i bambini positivi asintomatici sono circa il 20%, meno della metà di loro ha febbre e solo il 2% ha bisogno di terapia intensiva, perché anche il risentimento polmonare è clinicamente meno grave.

L’immunità naturale si attiva quando gli acidi nucleici virali sono riconosciuti da particolari sensori della cellula bersaglio (per lo più appartenenti alla famiglia dei toll-like receptor, TLR); nell'uomo esistono recettori TLR espressi sulla superficie delle cellule sentinella e altri, invece, dentro le cellule, nel reticolo endoplasmatico e negli endosomi (vescicole citoplasmatiche). Un importante ruolo di questi ultimi è distinguere RNA e DNA di batteri e virus dagli acidi nucleici self, i quali sono confinati nel nucleo e non sono presenti negli endosomi.

Il legame dei recettori con l’antigene virale attiva la produzione di interferoni e di altre citochine, in una risposta di tipo infiammatorio che il virus prova a bloccare producendo propri peptidi: se ha la meglio l’aggressore, vengono richiamati nel luogo di infezione altri macrofagi, con ulteriore produzione di citochine infiammatorie e interferoni. Questa evoluzione svantaggiosa (la cosiddetta tempesta citochinica) può verificarsi non solo in un anziano defedato, ma anche in un adulto in buona salute: una carica virale particolarmente elevata (come quella cui sono stati esposti i sanitari non protetti dai DPI) induce linfopenia, forse per infezione diretta dei linfociti (provata nella SARS e probabile in Covid-19), che innesca una vicariante iper-produzione di citochine infiammatorie.

La gravità della malattia cresce con l'età

Eric Rubin, infettivologo di Harvard ed editore capo del New England Journal of Medicine, ipotizza che gli adulti patiscano gli effetti del Covid-19 più dei bambini perché il loro sistema immunitario non riesce a trovare la giusta via di mezzo tra una risposta insufficiente e una risposta eccessiva. Gary Wing-Kin Wong, pneumologo infantile di Hong Kong, che ha firmato con i suoi colleghi di Wuhan un articolo sull’argomento, paragona quest’ultima alla spedizione di un battaglione di carri armati per affrontare ladri che rubano in una casa e che "finisce per distruggere l'intero villaggio".

Tra la minor gravità della malattia nei bambini e quella massima degli anziani vi un gradiente di situazioni intermedie, che, probabilmente, può essere spiegato sia dal progressivo accumularsi di danni d’organo durante la vita, sia dalle modificazioni del sistema immunitario. Recentemente, anche Stefano Volpi, dell’IRCCS G. Gaslini di Genova, e Samuele Naviglio e Alberto Tommasini, dell’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste, hanno discusso l’interazione tra virus e ospite in rapporto all’età su Medico e Bambino (la rivista fondata nel 1982 da Franco Panizon e che ha raccolto l’eredità di quel rigore scientifico unito a umanesimo pragmatico che ha illuminato non solo la pediatria, ma tutta la medicina italiana).

Invecchiamento, artefatto del progresso

L’articolo si appoggia a una ricchissima citazione di studi, lungo i quali si dipana la fisiopatogenesi dell’interazione tra virus e ospite umano. La trama è avvincente e il finale inesorabile: milioni di anni di evoluzione hanno selezionato il sistema immunitario allo scopo di far sopravvivere l’individuo fino all’età riproduttiva. L’invecchiamento è solo un “artefatto del progresso”, come l’ha definito Leonard Hayflick. Costui, nel 1961, quando da giovane ricercatore coltivava fibroblasti in vitro, aveva visto che le cellule si potevano moltiplicare solo un numero limitato di volte (limite di Hayflick) e, quindici anni più tardi, ha dimostrato che l’enzima DNA polimerasi non riesce a duplicare per intero una molecola di DNA: una piccola parte terminale, definita telomero, rimane non duplicata a ogni replicazione, finché il materiale rimasto è così poco che la cellula si estingue (a distanza di un’altra decina di anni, però, un biologo sovietico ha scoperto che l’enzima telomerasi consente ad alcune linee cellulari di valicare questo limite, allungando i telomeri).

Un declino legato all’età tocca anche alle cellule deputate specificamente alla difesa da agenti infettivi esterni, come i linfociti vergini (naïve), decisivi contro le nuove infezioni. Infatti, un sistema immunitario efficace richiede un vasto repertorio di cellule naïve, dotate di recettori antigenici diversi: quando l’organismo è esposto a un’infezione sconosciuta, il clone di cellule che ha recettori affini per agli antigeni del virus nuovo si espande in via transitoria e, a volte, dà origine a un clone più duraturo (di memoria), che può riattivarsi in caso di successiva infezione da parte dello stesso patogeno.

Un giovane adulto sano ha una popolazione di circa 107 cloni distinti da recettori diversi e i bambini hanno un repertorio ancora più ampio, in proporzione alle dimensioni del loro timo (l’organo linfoide situato nel mediastino anteriore che genera nuovi linfociti): a 5 anni il repertorio è 5-10 volte più ampio che a 50 anni e oltre 20 volte più che a 80. Purtroppo, questo repertorio diminuisce decisamente con l’età, non solo (e, forse, non principalmente) a causa della progressiva involuzione del timo: secondo modelli matematici applicati alla revisione di studi biologici, ogni successiva esposizione a invasione virale, che aggiunge altre sottopopolazioni di memoria, finisce per ridurre il patrimonio delle cellule naïve e, probabilmente, anche per comprimere i lignaggi di cellule di memoria già esistenti.

A partire dall’anno di vita, il declino delle cellule immunocompetenti ha, in media, un tasso del 4% l’anno, che rallenta verso la metà della vita, per poi accelerare nella terza età. È anche plausibile, per complicare il quadro, un impatto competitivo prodotto dall’espansione di cloni linfocitari che rispondono a infezioni virali croniche latenti, come quelle da virus di Epstein-Barr (mononucleosi), da cytomegalovirus o da herpes. Il loro continuo riciclo cellulare, inoltre, facilita le mutazioni casuali, che danno il tocco finale all’immunosenescenza.

Gli inconveninti del successo della medicina

Tuttavia, la specie umana ha opposto alle leggi di natura le sue “magnifiche sorti e progressive”: ci sono stati i Pasteur, i Koch e i Virchow, lo sviluppo del metodo sperimentale, l’invenzione della microscopia, che hanno consentito, fin dal diciannovesimo secolo, di controllare i fenomeni della biologia o, meglio, della microbiologia, secondo il termine con cui, nel 1881, Pasteur designò la nuova disciplina che studiava l’interazione immunitaria tra microrganismo e ospite umano. 

Nella prima metà del ventesimo secolo, l'aspettativa di vita è aumentata considerevolmente, proprio per la diminuzione delle malattie infettive, in virtù delle maggiori igiene e nutrizione, ma anche dell'introduzione degli antibiotici e dei vaccini: Vincenzo Tiberio, descrivendo nel 1895 alcune muffe battericide, ha anticipato Alexander Fleming che nel 1928 ha scoperto la penicillina, poi perfezionata da E. Chain e H.W. Florey (premi Nobel per la medicina 1945) e, nel 1943, finalmente utilizzata in un ospedale militare. 

Tucidide racconta che, nella “peste” di Atene del 430 aC, “coloro che si erano salvati dall’epidemia [...] per se stessi non avevano più nulla da temere; il contagio, infatti, non colpiva mai due volte la stessa persona, almeno non in forma così forte da risultare mortale.” Alla fine del Settecento, Edward Jenner riuscì a prevenire la malattia umana con il siero prelevato dalle pustole di mucche affette da vaiolo vaccino, dando inizio alle pratiche che, per quell’origine, furono chiamate vaccinazioni; e chi è Luigi Sacco, cui è intitolato l’ospedale milanese reso famoso dai media, se non chi dal 1799 generalizzò l’antivaiolosa in Italia?

Secondo i dati OCSE dell’aprile 2019, l’aspettativa di vita alla nascita degli italiani è la quarta al mondo, con una media di 83 anni. L’umanità sembra, dunque, una specie di successo; ora, però, la pandemia che affligge il pianeta manda il definitivo avvertimento del pesante scotto che può pagare per l’antropizzazione di ogni habitat naturale. Lo diceva anche Leopardi:

A queste piagge venga colui che d'esaltar con lode il nostro stato ha in uso, e vegga quanto è il gener nostro in cura all'amante natura. E la possanza qui con giusta misura anco estimar potrà dell'uman seme, cui la dura nutrice, ov'ei men teme, con lieve moto in un momento annulla in parte, e può con moti poco men lievi ancor subitamente annichilare in tutto. Dipinte in queste rive son dell'umana gente le magnifiche sorti e progressive.

 

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http://www.leopardi.it/canti34.php
https://www.scienzainrete.it/articolo/sabin-non-dimenticare-perché-si-vaccina/simonetta-pagliani/2019-08-30
https://www.scienzainrete.it/articolo/eliminare-polio-sfida-quasi-vinta/...

 


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