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Adolescenti: poca corteccia molto rischio

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Convincere gli adolescenti a seguire i vari comportamenti anti-Covid-19 al rientro a scuola, ma anche in tutti gli altri ambienti, è una questione che deve fare i conti con le caratteristiche di sviluppo del cervello sotto i vent'anni circa. Le neuroscienze ci danno una spiegazione che dovrebbe essere presa maggiormente in considerazione.

Immagine: Pixabay License.

Tempo di lettura: 4 mins

In questa fase della pandemia hanno trovato un piccolo spazio, grazie alla regolare ripartenza delle scuole, nonostante i timori. Gli interrogativi legati alla loro sicurezza sono emersi da subito: indosseranno la mascherina quando necessario? Manterranno il distanziamento fisico? Saranno consapevoli dei rischi che questo virus comporta a loro stessi e, soprattutto, ai loro genitori e nonni? Fra tutti i periodi della vita, infatti, ce n’è uno che pare il più controverso. Alcuni lo ricordano come l’età più felice e spensierata della loro esistenza, altri un angosciante incubo fatto di acne, insicurezze e professori senza scrupoli. Parliamo dell’adolescenza.

I comportamenti rischiosi sono giustamente associati all’adolescenza, come risulta anche da numerose osservazioni scientifiche che ci forniscono le neuroscienze. Non è solo il cervello dei neonati a essere incompleto (più di un terzo della massa encefalica si sviluppa dopo la nascita). La completezza morfologica e funzionale del sistema nervoso centrale avviene oltre i 20 anni di età. Le ultime aree, quelle che si sviluppano durante l’adolescenza, sono la corteccia frontale e prefrontale. Proprio queste ultime hanno il compito di inibire le emozioni, sono responsabili dell’autocontrollo e del controllo cognitivo. Insomma, l’adolescente rischia “per natura”. Non ha ancora sviluppato completamente le abilità cognitive che gli consentono di avere piena consapevolezza dei rischi, di bloccare gli impulsi e le emozioni travolgenti. Diversi studi hanno indagato, attraverso le tecniche di imaging, le caratteristiche del cervello adolescenziale.

Una ricerca, condotta presso l’Università di Delaware e pubblicata di recente su NeuroImage1, ha chiarito anzitutto che parallelamente a un incompleto sviluppo dell’area deputata al controllo cognitivo, la corteccia prefrontale mediale, agisce in piena funzionalità il sistema socio-emozionale, il cui substrato cerebrale è il nucleo accumbens. Quest’ultimo sistema è coinvolto nei processi di ricompensa, ad esempio le sensazioni fisiche in risposta a stimoli piacevoli. È facile intuire che in assenza di meccanismi di inibizione, a fronte di un funzionante sistema di percezione del piacere (fisico ed emotivo), le conseguenze possano non essere altrettanto piacevoli: si mettono in atto comportamenti eccitanti e pericolosi senza soffermarsi molto sulle conseguenze.

Finora le differenze tra il cervello adulto e quello adolescenziale erano state rilevate tramite tecniche di imaging che consentono di visualizzare l’attività delle regioni cerebrali, come la risonanza magnetica funzionale. Questo studio invece utilizza la risonanza magnetica elastografica2, “una tecnica per valutare le proprietà meccaniche del tessuto cerebrale come misura dello sviluppo del cervello”. I risultati della ricerca condotta su adolescenti mostrano che una differenza nelle proprietà del tessuto (ossia nel grado di sviluppo) è correlata a una differenza sul piano comportamentale, in relazione all’assunzione di condotte rischiose. In sostanza, i ragazzi con un grado di sviluppo inferiore della corteccia prefrontale mediale si assumevano maggiori rischi.

Insomma, è un dato di fatto che da un lato gli adolescenti sono più predisposti a esporsi a rischi e dall’altro non rappresentano un gruppo omogeneo: alcuni rischiano di più, altri rischiano di meno. Purtroppo, un altro fatto altrettanto certo proviene dai dati relativi agli effettivi comportamenti pericolosi che gli adolescenti mettono in atto. Tra questi i più comuni sono senza dubbio l’abuso di alcol e droghe, nonché l’attività sessuale non protetta. Ad esempio, secondo il Rapporto 2020 su Epidemiologia e monitoraggio alcol-correlato in Italia, “gli adolescenti minorenni che gli organismi di sanità pubblica considerano più a rischio sono stati nel 2018 circa 800.000”.

Come affrontare questa situazione? La risposta è sempre quella, puntuale quanto disattesa: prevenzione! L’impegno deve coinvolgere tutti i “professionisti dell’adolescenza”: dagli insegnanti ai professionisti sanitari, passando per gli operatori sociali e gli psicologi. Educazione al pensiero critico, stimolazione delle abilità empatiche, attenzione alle relazioni interpersonali e alla risoluzione dei conflitti: sembrano queste le indicazioni principali da seguire. In questo caso la responsabilità delle istituzioni è più che mai richiesta, forse in misura ancora maggiore rispetto a quella relativa ai comportamenti rischiosi delle fasce di età più avanzate. Bisogna inoltre considerare che all’aspetto neurocognitivo si associano anche molteplici componenti che influenzano lo stile comportamentale di un adolescente: l’esempio fornito dai genitori, il confronto con i coetanei, le aspettative di una società che è sempre più prona al culto dell’apparenza, della violenza, dell’individualismo.

 

Bibliografia
[1] McIlvain, G. et al. (2020). Viscoelasticity of reward and control systems in adolescent risk taking. NeuroImage, 116850: https://doi.org/10.1016/j.neuroimage.2020.116850
[2] Mariappan, Y. K. et al. (2010). Magnetic resonance elastography: a review. Clinical anatomy, 23(5), 497-511: https://doi.org/10.1002/ca.2100
 

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