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Discriminazioni di genere a Princeton

L'Università di Princeton è stata accusata di discriminazione di genere innescata da una disuguaglianza stipendiale tra professori  maschi e femmine: nel 2018-2019, gli uomini hanno ricevuto 252.800 dollari, le donne si sono fermate a 234.600. Pur non ammettendo di avere operato alcuna discriminazione, l’università ha dichiarato che pagherà 925.000 dollari a 106 professoresse per gli anni tra il 2012 e il 2014; il portavoce dell'università comunque contesta il modello statistico utilizzato dall’ufficio federale che ha chiamato in causa l'ateneo.

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Princeton è una delle università più blasonate al mondo. Dici Princeton e pensi a Einstein, a Feynman e una ventina di altri vincitori di premi Nobel per la Fisica che hanno fatto parte del suo corpo accademico. Questa volta, però, la prestigiosa università non è finita sui giornali per la sua eccellenza accademica ma per avere raggiunto un accordo con il Department of Labor (l’equivalente del nostro Ministero del Lavoro) per mettere a tacere una causa di discriminazione di genere innescata da una disuguaglianza stipendiale tra full professor (professori ordinari) maschi e femmine dell’ateneo.

Secondo il “Chronicle of Higher Education”, nell’anno accademico 2018-2019 i full professor di Pricenton hanno avuto un salario medio di 248.250 dollari, tra i più alti delle università americane, inferiori solo a quelli di Stanford. Ma mentre i maschi hanno ricevuto 252.800 dollari, le signore si sono fermate a 234.600. Pur non ammettendo di avere operato alcuna discriminazione, l’università ha dichiarato che pagherà 925.000 dollari a 106 professoresse per gli anni dal 2012 al 2014. Sono inoltre stati accantonati 250.000 dollari per equiparare i salari negli anni a venire.

Nell’ipotesi che la somma venga divisa equamente tra le 106 professoresse, ognuna di loro riceverà una compensazione di poco meno di 3.000 dollari all’anno che, grossomodo, equivale a poco più dell’1% dello stipendio. Parliamo di percentuali molto inferiori al pay gap medio statunitense dove, per ogni dollaro guadagnato da un uomo, a una donna vanno 81 centesimi. Tuttavia, bisogna ricordare che il pay gap è calcolato a partire dallo stipendio medio dell’insieme dei lavoratori maschi e femmine, tenendo conto che queste ultime, spesso, svolgono mansioni meno pagate di quelle dei colleghi maschi. Quando il confronto viene fatto a parità di mansioni, la differenza salariale scende al 2% con le donne che guadagnano 98 centesimi per ogni dollaro dei maschietti. Questo dato è comparabile alla percentuale che abbiano grossolanamente stimato sopra.

La discriminazione salariale, dunque, pur presente non era plateale e stupisce che l’università non sia stata chiamata in causa dalle dirette interessate, come è avvenuto in molti altri casi di discriminazione di genere nell’avanzamento delle carriere, ma da un organo federale (Office of Federal Contract Compliance Programs).

Interessante la risposta del portavoce dell’università che, pur avendo deciso di pagare, dice di contestare il modello statistico utilizzato dall’ufficio federale che avrebbe raggruppato tutti i professori ordinari, senza tenere conto né del dipartimento al quale afferiscono né di come l’università assume, valuta e compensa il suo corpo docente. Per non dare adito a dubbi, ha aggiunto: «A professor of English cannot perform the duties of a professor in the Physics department, and vice versa». Questo potrebbe significare che a Princeton lo stipendio varia in funzione della facoltà: un professore di letteratura potrebbe prendere meno di uno di fisica. Ma allora non si capisce perché la compensazione sia stata data solo alle signore.

Molto più probabilmente, in un sistema dove lo stipendio è negoziato caso per caso, alle donne vengono offerte somme un po’ inferiori di quelle percepite dai colleghi maschi. Da noi questo non succede. I professori non negoziano i loro stipendi. Questo impedisce le discriminazioni stipendiali di genere, ma certamente non permette di premiare i più bravi, maschi o femmine che siano.

 


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