fbpx Vaccini: Peter Doshi non ha tutti i torti (ma qualcuno forse sì) | Scienza in rete

Peter Doshi non ha tutti i torti (ma qualcuno forse sì)

I dubbi sul successo dei vaccini contro Covid-19 espressi da Peter Doshi sul blog del British Medical Journal hanno sollevato un polverone: Roberta Villa e Roberto Buzzetti indicano alcune delle critiche che possono essere condivisibili, e gli aspetti con i quali invece non sono d'accordo.

Tempo di lettura: 7 mins

Quando sono iniziate le sperimentazioni sui nuovi vaccini contro Covid-19, l’Organizzazione mondiale della Sanità, la Food and Drug Administration e l’European Medicine Agency hanno stabilito a priori che, ferma restando la necessità di valutare il bilancio tra rischi e benefici prima di attribuire un’autorizzazione anche provvisoria, i vaccini da sottoporre alla loro valutazione avrebbero dovuto avere una efficacia minima del 50%1,2. Si temeva infatti che, come già accade per i vaccini antinfluenzali, anche nei confronti di SARS-CoV-2 sarebbe stato difficile evocare una risposta immunitaria vivace in un’alta percentuale di vaccinati.

Per questo, quando sono stati comunicati in conferenza stampa, e poi pubblicati, i dati di efficacia relativi ai primi due vaccini a mRNA - quello di Pfizer/BioNTech e quello sviluppato da Moderna in collaborazione con i National Institutes of Health statunitensi – che indicano una protezione intorno al 95% dei vaccinati, sono stati accolti come un risultato sorprendente, al di là di ogni più rosea aspettativa.

Ora che le campagne vaccinali sono in corso, tuttavia, c’è chi ha messo in dubbio l’entità di questo successo. In particolare Peter Doshi, ricercatore e metodologo, molto rinomato nel mondo della medicina basata sulle evidenze, ha sollevato un polverone con un post sul blog di BMJ, la rivista della British Medical Association di cui è associate editor.3

In che cosa Doshi può avere ragione?

Delle numerose critiche avanzate da Peter Doshi, alcune appaiono sensate e condivisibili, e ne diamo qui un breve elenco, citando per lo più le sue testuali parole.

  • Ben 371 individui sono stati esclusi dall'analisi di efficacia del vaccino Pfizer per "importanti deviazioni del protocollo entro o prima di 7 giorni dopo la dose 2”. È normale che nell’analisi dei dati di uno studio si escludano, per varie ragioni, dei partecipanti. Qui però preoccupa lo squilibrio numerico tra quelli che appartenevano al gruppo che aveva ricevuto il vaccino (311) e quelli che avevano ricevuto il placebo (60), perché teoricamente potrebbe nascondere elementi importanti per la valutazione. Nello studio del vaccino di Moderna, invece, solo 36 partecipanti sono stati esclusi dall'analisi di efficacia per "deviazione principale dal protocollo": 12 appartenenti al gruppo dei vaccinati contro 24 che avevano ricevuto placebo4. In questo caso la situazione è invertita, ma i dati di efficacia sovrapponibili. Difficile quindi pensare che questo elemento abbia potuto condizionare i risultati.
  • I farmaci assunti per il dolore e la febbre, per alleviare insomma gli eventi avversi locali e sistemici post-iniezione, erano 3-4 volte più spesso utilizzati nei vaccinati rispetto al gruppo placebo (almeno per il vaccino di Pfizer, mentre Moderna non riferisce chiaramente a questo riguardo). Questo potrebbe mettere a rischio il rispetto del cosiddetto “doppio cieco”, cioè del fatto che né i volontari, né i ricercatori siano a conoscenza del gruppo a cui il singolo individuo è stato assegnato. Se la differenza nella comparsa dei disturbi dopo l’iniezione è stata così marcata, è difficile immaginare che partecipanti ed esaminatori non potessero fare ipotesi plausibili sul gruppo di assegnazione. Per evitare questo inghippo, la sperimentazione del vaccino di Astrazeneca ha messo a confronto il vaccino anti covid con quello contro la meningite B già in commercio, che nei confronti di SARS-CoV-2 agisce solo come un placebo, ma può provocare le stesse reazioni di dolore e febbre indotte dal nuovo prodotto in studio. Nel caso dei due vaccini a mRNA, invece, né la FDA né le società produttrici sembrano aver formalmente preso in considerazione l'affidabilità del doppio cieco nei confronti di un placebo inerte, e i suoi effetti sui risultati riportati.
  • Per quanto riguarda il comitato apposito che dovrebbe vigilare su questi aspetti (“Comitato per la valutazione della febbre e del dolore, della cecità e degli eventi primari”), Moderna ha dichiarato che nel suo caso era composto da quattro membri, tutti medici affiliati all'università, mentre nel comitato creato da Pfizer ci sarebbero tre dipendenti dell’azienda.
  • Vaccino somministrato a persone che avevano già avuto Covid-19. Sebbene i protocolli prevedessero che i soggetti con una storia nota di infezione da SARS-CoV-2 o una precedente diagnosi di Covid-19 venissero esclusi dagli studi di Moderna e Pfizer, rispettivamente 1 125 (3,0%) e 675 (2,2%) dei partecipanti agli studi di Pfizer e Moderna erano già positivi per SARS-CoV-2 all’inizio dello studio. D’altra parte i CDC statunitensi raccomandano di offrire il vaccino "indipendentemente dalla storia di precedente infezione da SARS-CoV-2 sintomatica o asintomatica”.
  • Doshi conclude il suo post con un accorato appello sulla necessità di poter avere disponibili pubblicamente i dati grezzi degli studi, dati che invece, secondo i rispettivi protocolli, Pfizer inizierà a rendere disponibili solo 24 mesi dopo il completamento dello studio, mentre Moderna afferma che lo farà solo su richiesta. Chi scrive non può che condividere questo appello alla trasparenza. L'Agenzia europea per i medicinali e Health Canada, comunque, potrebbero condividere molto prima i dati per qualsiasi vaccino autorizzato. L'EMA si è già impegnata a pubblicare i dati presentati da Pfizer sul suo sito web "a tempo debito", così come Health Canada.

In che cosa non siamo d’accordo con Doshi?

Tra tutti gli aspetti considerati da Doshi nel suo post, ha destato particolarmente scalpore l’affermazione secondo cui la reale efficacia del vaccino di Pfizer non sarebbe del 95%, ma potrebbe essere in realtà tra il 19 e il 29%. A queste conclusioni il ricercatore sarebbe giunto a causa del grande numero di casi “sospetti Covid-19” tra i partecipanti allo studio, che poi non sono stati confermati dal tampone molecolare. Afferma Doshi che “secondo il rapporto della FDA sul vaccino della Pfizer, ci sono stati 3 410 casi totali di Covid-19 sospetti, ma non confermati nella popolazione complessiva dello studio: 1 594 si sono verificati nel gruppo vaccino contro 1 816 nel gruppo placebo".

Vogliamo qui approfondire questo particolare aspetto in quanto ci pare di poter smentire con i numeri questa affermazione. A questo proposito, abbiamo provato a calcolare, dal sito dell’European Centre for Disease prevention and Control (ECDC)5, il numero di casi registrati nei principali Paesi in cui sono state effettuate le sperimentazioni del vaccino di Pfizer (Argentina, Brasile, Sud-Africa e USA) nello stesso periodo a cui si riferiscono i dati a oggi disponibili su questi stessi studi (1 settembre – 1 dicembre 2020).
La tabella che segue presenta il numero di casi e la stima dei casi / 100 000 gg x persone per i 4 Paesi e per il totale.

        Periodo 1 set - 1 dic (91 gg)
Paese Casi tot al 14/12/2020 Popolazione % casi / popolaz Casi 1 set - 1 dic (91 gg) gg Casi /100.000 gg x pers
Argentina 1 498 160 44 780 675 3,3% 1 023 292 91 25,11
Brazil 6 901 944 211 049 519 3,3% 2 473 567 91 12,88
South Africa 861 682 58 558 267 1,5% 164 948 91 3,10
USA 16 256 521 329 064 917 4,9% 7 544 061 91 25,19
TOTALE 25 518 307 643 453 378 4,0% 11 205 868 91 66,28

 

Tabella 1. Fonte: ECDC

Questo calcolo ci permette di dedurre quali fossero i casi attesi in quelle zone, durante il periodo dello studio, indipendentemente dalla vaccinazione, e confrontarli con i numeri resi noti da Pfizer nello studio pubblicato sul New England Journal of Medicine:6 

Paese Soggetti studiati gruppo placebo AA x persona F UP F UP medio gg Casi attesi Casi osservati
Argentina 2 881 346 43,8 31,71 35
Brazil 1 139 117 37,5 5,50 8
South Africa 372 12 11,8 0,14 0
USA 14 454 1 747 44,1 160,65 119
TOTALE 18 846 2 222 43,0 197,99 162

 

Tabella 2. Fonte: New Engl J Med 2020; 383.

A fronte di quasi 200 casi attesi nel braccio placebo, lo studio ne ha osservati 162, un valore che è decisamente più vicino all’attesa rispetto agli oltre 1 800 casi “sospetti ma non confermati”. Se i casi reali fossero tanti quanti quelli dichiarati “sospetti” nello studio, il vaccino non solo sarebbe inefficace, ma anche inutile, perché saremmo vicini a un’immunità di gruppo ottenuta naturalmente grazie all’infezione. Per quanto riguarda poi la possibilità, invocata da Doshi, che “molti o la maggior parte di questi casi sospetti riguardassero persone che avevano un risultato del test PCR falso negativo”, questa sembra del tutto improbabile, alla luce della sensibilità del tampone, che certo non è del 100%, ma neppure di proporzioni così drammaticamente vicine al 10%. Tenendo valida la nostra stima di 198 casi attesi, il fatto di trovarne 162 con tampone positivo corrisponderebbe a una sensibilità dell’82%. Dato che tale sensibilità sarebbe presumibilmente invariata anche nel gruppo dei vaccinati, il valore stimato di efficacia del vaccino resterebbe inalterato, intorno al 95%.

Come raccomandava Andrea Monti nella sua riflessione di qualche giorno fa su Scienza in rete, “fidati, ma verifica”. Vale per tutti, sempre.

 

Note
1. Development and Licensure of Vaccines to Prevent COVID-19; Guidance for Industry, June 2020, https://www.fda.gov/media/139638/download 
2. https://www.ema.europa.eu/en/human-regulatory/overview/public-health-threats/coronavirus-disease-covid-19/treatments-vaccines/covid-19-vaccines-studies-approval#what-is-the-level-of-efficacy-that-can-be-accepted-for-approval?-section
3. Peter Doshi: Pfizer and Moderna’s “95% effective” vaccines—we need more details and the raw data. January 4, 2021 
4. Baden L et al. Efficacy and Safety of the mRNA-1273 SARS-CoV-2 Vaccine. New Engl J Med December 30, 2020 DOI: 10.1056/NEJMoa2035389.
5. https://www.ecdc.europa.eu/en/publications-data/download-todays-data-geographic-distribution-covid-19-cases-worldwide
6. Polack F et al. Safety and Efficacy of the BNT162b2 mRNA Covid-19 Vaccine. New Engl J Med 2020; 383: 2603-2615 DOI: 10.1056/NEJMoa2034577

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.