fbpx Stiamo vivendo un’esplosione demografica? | Scienza in rete

Un pianeta affollato a Sud e invecchiato a Nord

Dal secondo dopoguerra ad oggi abbiamo assistito a una crescita demografica molto rapida che ci ha portato fino a quasi otto miliardi di persone. Le proiezioni delle Nazioni Unite stimano una crescita ulteriore fino a quasi undici miliardi per fine secolo, che però è sempre più lenta e ancora diversificata tra paesi: questo ha conseguenze politiche, sociali ed economiche.

Immagine: Pixabay License.

Tempo di lettura: 9 mins

Lo studio della dinamica demografica della popolazione mondiale ha origine almeno dal noto «Saggio sul principio di popolazione» di Thomas Robert Malthus. Il saggio del 1798 assumeva che la crescita della popolazione procedesse per successione geometrica – quindi con andamento esponenziale – mentre la crescita degli alimenti per successione aritmetica – quindi con andamento lineare. E in questi termini si presentava il problema di impossibilità di sfamare un numero sempre maggiore di persone con quantità di cibo che non stavano al passo. Le cose sono molto più complesse di così e il problema della crescita e decrescita della popolazione mondiale è ormai presente in molti ambiti, dalla sfera ambientale a quella sociale ed economica. Per capire però il ruolo che il numero di persone sul pianeta ha nei diversi contesti planetari, è necessario innanzitutto capire i numeri del passato, del presente e delle stime per il futuro della demografia mondiale.

Da dove veniamo?

La Divisione per la popolazione del Dipartimento degli Affari Economici e Sociali del Segretariato delle Nazioni Unite, ogni due anni, elabora i «World population prospects» in cui mette a disposizione dati e analisi sull’andamento della popolazione mondiale; in attesa degli aggiornamenti per il 2021, useremo l’elaborazione del 2019 – che chiaramente non tiene conto dell’impatto della Covid-19.

Nel 2019, sulla Terra c’erano circa 7,7 miliardi di persone. La crescita della popolazione, com’è noto, è stata molto lenta dalla comparsa di Homo sapiens e ha iniziato ad accelerare con la rivoluzione industriale, subendo un’impennata dopo la Seconda guerra mondiale. Basti pensare che nel 1950 eravamo ancora a circa 2 miliardi e mezzo. Tra le cause principali della crescita demografica c’è stato un veloce progresso scientifico e tecnologico che ha permesso il miglioramento dei sistemi di sanità pubblica e di welfare, quindi economici e sociali. Come si può osservare nella seguente mappa, però, la popolazione non è cresciuta uniformemente in tutto il mondo; infatti, oggi la maggiore densità di popolazione è concentrata in Europa, nella costa orientale degli Stati Uniti, in Africa subsahariana, e molto in India e Cina.

Figura 1. Densità di popolazione stimata per il 2020 dal Socioeconomic Data and Applications Center (SEDAC).

Il punto di flesso

I dati del «World population prospects 2019» danno un quadro piuttosto completo della situazione, in particolare se si prendono in considerazione le sei macroaree Africa, Asia, Europa, America Latina e Caraibi, Nord America, Oceania. Dal grafico sottostante risulta evidente che, dal 1950 al 2020 circa, Europa e Oceania hanno registrato un incremento demografico trascurabile, il Nord America un leggero aumento che si fa più marcato considerando il resto del continente americano: macroaree che inoltre non superano il limite di 500 milioni di persone circa, ciascuna. Le previsioni per macroaree dicono che Europa e America Latina e Caraibi subiranno una leggerissima decrescita, mentre il Nord America una leggera crescita, ma comunque senza incidere in modo consistente a scala globale.

Diverso il discorso per l’Asia, che nel 1950 contava più del doppio della popolazione Europea, e che è cresciuta da 1 miliardo e mezzo a più di 4 miliardi e mezzo di oggi: l’Asia detiene di gran lunga la quota maggiore di popolazione mondiale. Secondo le previsioni, il continente asiatico continuerà lentamente a crescere fino al 2050 superando la soglia dei 5 miliardi, per poi cominciare a decrescere lentamente.

Ancora un'altra situazione in Africa, che è cresciuta dal 1950 a oggi più velocemente di qualsiasi altro continente, passando da una popolazione simile a quella del Nord America all’attuale un miliardo e mezzo circa. Secondo le stime seguiterà a crescere fino a fine secolo raggiungendo quasi l’Asia con circa 4 miliardi e mezzo di persone.

Figura 2. Andamento della popolazione mondiale dal 1950 al 2100 (in migliaia). La linea tratteggiata rappresenta l’andamento mondiale, le linee continue quello per le aree geografiche indicate in legenda. Il grafico evidenzia come la crescita della popolazione mondiale non segua più un andamento esponenziale, ma stia rallentando per raggiungere un plateau a fine secolo circa.
Dati: United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2019). World Population Prospects 2019, Online Edition. Rev. 1. Rielaborazione dell'autore. Nota: i dati successivi il 2019, per semplicità, vengono riportati senza intervallo di incertezza (crescente nel tempo).

Come scrive il «World Population Prospects 2019» i paesi dell'Africa subsahariana potrebbero rappresentare più della metà della crescita della popolazione mondiale tra il 2019 e il 2050. E in particolare, la crescita si concentrerà sostanzialmente in nove paesi: Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Etiopia, India, Indonesia, Nigeria, Pakistan, Repubblica Unita di Tanzania, e Stati Uniti d'America». A ulteriore conferma che il grosso della crescita avverrà in Africa, pur con contributi provenienti da altri continenti trai quali, per altro, non c’è l’Europa.

Complessivamente, quindi, si può dire che la crescita della popolazione mondiale non è più esponenziale da diversi anni, avendo raggiunto una sorta di «punto di flesso» indicativamente al passaggio di millennio, lustro più lustro meno. Tuttavia, prima di raggiungere un plateau che oscillerebbe intorno alla fine del secolo, dovremmo prima passare dagli 8,5 miliardi nel 2030, ai 9,7 miliardi nel 2050 e finalmente ai 10,9 miliardi nel 2100.

Come si può osservare dal grafico seguente, il rallentamento demografico può essere descritto, tra le varie possibili variabili, dal progressivo abbassamento dei «nati vivi per donna», cioè la fertilità. Tra il 1950 e il 1970, il numero di nati vivi per donna era globalmente attorno ai 5, con punte fino a 5,5 in Asia e America Latina e addirittura oltre i 6 figli e mezzo in Africa (vedi grafico in Appendice). Oggi siamo attorno ai 2,5 e per fine secolo dovremmo raggiungere a livello planetario i 2, in più o meno tutti i continenti. A questo proposito, il prospetto ONU ricorda che, con una bassa mortalità, il numero di nati vivi per donna per avere un tasso di crescita nullo è di 2,1 figli.

Chiaramente uno degli effetti principali sulla demografia di un rallentamento nelle nascite – seppur non così sostenuto – è l’aumento dell’età media, come riportato nel grafico seguente. Si dovrebbe passare infatti dai trent’anni medi di oggi ai quaranta per fine secolo, con picchi fino ai cinquant’anni (vedi grafico in Appendice). Secondo un altro documento ONU, il «World Population Ageing 2020», si passerà dai 727 milioni di persone di più di 65 anni nel 2020 a oltre 1,5 miliardi entro il 2050.

Figura 3. Il grafico riporta negli istogrammi l’andamento della popolazione (in miliardi di persone), nelle due linee colorate l’andamento della fertilità (numero di nati vivi per donna: valori nella colonna di sinistra) e l’andamento dell’età media (in anni: valori nella colonna di destra).
Dati: United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2019). World Population Prospects 2019, Online Edition. Rev. 1. Rielaborazione dell'autore. Nota: i dati successivi il 2019, per semplicità, vengono riportati senza intervallo di incertezza (crescente nel tempo).

Verso una stagnazione secolare?

Come segnala il «World Population Prospects 2019» la diversa evoluzione demografica deve spingere i paesi ad attrezzarsi di conseguenza. Da un lato bisogna soddisfare i bisogni di un numero crescente di bambini e ragazzi dove i livelli di fertilità sono ancora alti e, visto che generalmente si tratta di paesi ancora poveri, assicurare che l’innalzamento dei livelli di sviluppo umano (economico, ma anche sociale, ambientale, istituzionale) non lasci indietro nessuno. Dall’altro lato, nei paesi in cui si assiste a un declino della fertilità (generalmente quelli ricchi), e quindi all’innalzamento dell’età media, si deve investire maggiormente «nel capitale umano assicurando l'accesso all'assistenza sanitaria e all'istruzione a tutte le età e opportunità di lavoro produttivo». Un aspetto particolarmente rilevante dell’invecchiamento della popolazione è la tutela verso le donne anziane che, in media, saranno più colpite dalla povertà rispetto agli uomini anziani, come scrive il «World Population Ageing 2020». Inoltre, per attutire gli effetti diversificati tra paesi ricchi e paesi poveri, «tutti i paesi dovrebbero adottare misure per facilitare una migrazione sicura, ordinata e regolare migrazione per il beneficio di tutti».

L’Europa è tra i continenti che più subirà l’invecchiamento della sua popolazione. Come scrive la Commissione Europea, nel 2070 la speranza di vita degli uomini europei raggiungerà gli 86 anni e quella delle donne europee i 90. Rispetto al resto del mondo, poi, gli abitanti dell’Europa nel 2070 sarebbero solo il 4%. Nel rapporto «Ageing population, emerging technologies and fiscal sustainability can influence EU’s path to sustainable future» del 2020 dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), si scrive che l’invecchiamento della popolazione europea «porterà probabilmente alla rottura del "contratto sociale" tra i gruppi di età, poiché le relazioni intergenerazionali funzionano bene quando le quote dei gruppi di età rimangono relativamente stabili nel tempo e il costo per la popolazione in età lavorativa di sostenere i giovani e gli anziani rimane approssimativamente stabile». Servono quindi modifiche significative nelle politiche di welfare e lavorative per sostenere questo processo di invecchiamento.

A livello macroeconomico, scrive l’EEA, si raggiungerà a livello mondiale già nei prossimi anni uno stato sempre più vicino alla cosiddetta «stagnazione secolare»; ben rappresentata anche dai dati del rapporto «The long view: scenarios for the world economy to 2060» dell’OCSE del 2018, nel seguente grafico.

Figura 4. Rielaborazione dei dati OCSE di previsione di crescita del PIL (in %). I paesi del gruppo OCSE (Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Colombia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica di Corea, Repubblica Slovacca, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria) sono già di fatto in stagnazione e i BRIICS (Brasile, Russia, India, Indonesia, Cina e Sud Africa) ci entreranno progressivamente. Dati: «The long view: scenarios for the world economy to 2060». Rielaborazione dell’autore.

Da questo punto di vista, oltre a riformare le politiche fiscali, bisognerà anche ripensare ai sistemi di contabilità della ricchezza nazionale, integrandoli con indicatori di benessere veri e propri, cioè non solo dipendenti dalla quantità di beni prodotti ma anche dalla loro qualità, sia sociale che ambientale.

In questo excursus di dati c’è evidentemente un convitato di pietra: l’ambiente, o meglio, la biosfera terrestre. Gli impatti di una crescita eccessiva di popolazione e di consumi sulle risorse naturali sono infatti studiati da molto tempo, ma forse il più noto documento che metteva in guardia dagli effetti sulle risorse alimentari e dall’aumento di inquinamento atmosferico è stato «I limiti della crescita» del 1972. Rapporto commissionato dal Club di Roma di Aurelio Peccei a esperti del MIT di Boston che elaborò varie stime sugli effetti della crescita demografica indiscriminata e su un conseguente ipotetico collasso demografico dovuto proprio all’inadeguato modello di sviluppo dell’epoca (che è anche il modello di sviluppo attuale). Quanto di quello che avevano previsto allora si è oggi verificato? [Continua]

Appendice

Figura 5. Numero di nati vivi per donna. L’andamento è sostanzialmente decrescente in tutto il mondo, verso circa 2 nati vivi per donna per fine secolo.
Dati: United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2019). World Population Prospects 2019, Online Edition. Rev. 1. Rielaborazione dell'autore. Nota: i dati successivi il 2019, per semplicità, vengono riportate senza intervallo di incertezza (crescente nel tempo).

Figura 6. L’andamento dell’età media è crescente dagli anni ‘70 circa. Dal 2020 tutte le aree geografiche sono al di sopra della media, eccetto l’Africa che tende ad abbassare l’età media globale.
Dati: United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2019). World Population Prospects 2019, Online Edition. Rev. 1. Rielaborazione dell'autore. Nota: i dati successivi il 2019, per semplicità, vengono riportate senza intervallo di incertezza (crescente nel tempo).

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.