Nell'immagine, l'ingresso all'Istituto Paul Erlich Institut per i vaccini e la biomedicina, di Langen (Germania) che ha segnalato i rari casi di trombosi venosa cerebrale associati alla sommministrazione del vaccino AstaZeneca, e che ha portato alla sospensione, e successivamente alla riammissione, del vaccino.
Riprendendo l’articolo di Scienza in rete - in cui si presenta bene il recente caso delle reazioni avverse al vaccino AstraZeneca - vorrei commentare quanto affermato da molti, e cioè che sarebbe stato un errore interrompere la somministrazione del vaccino. Io credo che non lo sia e apprezzo la responsabilità che tecnici (tedeschi) e politici (tedeschi e altri) si sono assunti. Il rischio di una forma di patologia molto rara, concretizzatasi in 7 casi specifici con 3 decessi in Germania è presentata il 16 marzo nella FAQ dell’Istituto Paul Erlich. L’evento avverso è analizzato con competenza ed è sorretto dall’inferenza causale su un fenomeno molto raro, e la storia è comunicata con chiarezza magistrale. I ricercatori chiedevano al governo tedesco di fare uno stop per valutare e poter comunicare il rischio a bocce ferme. Lo stop riguardava un solo vaccino, gli altri continuavano. (Successivamente all'analisi dell'Agenzia europea del farmaco, la vaccinazione con AstraZeneca è stato riammessa anche in Germania, con un comunicato e specifiche precauzioni dettate ai medici sempre da parte dell'Istituto Paul Erlich).
Tutelarsi è giusto
Nella gestione del rischio - comunque su problemi gravi, anche se non una battaglia paragonabile a quella della pandemia - esistono comportamenti che sono abituali. Due anni fa mi arrivò una lettera della Renault che specificava che il modello di macchina in mio possesso aveva un problema ai freni e mi segnalava un rischio. Probabilità bassa, ma, in base a disposizioni regolatorie, era necessario portare a conoscenza del problema e informare il consumatore, bloccare le consegne e sottoporre la vettura a un controllo. Sono prassi di quality management in uso, vissute talora burocraticamente dall’utente, ma su cui le autorità regolative sono inflessibili, pena sanzioni. L’attenzione al rischio basso manifesta un’attenzione all’individuo, e dimostra che le procedure si preoccupano del consumatore e hanno implicazioni legali. Io ho apprezzato, sentendomi rassicurato da tali misure. Considerare che l’individuo possa sentirsi minacciato da questa comunicazione di rischio è quanto distingue un atteggiamento paternalistico da quello partecipato, che ti coinvolge o quanto meno cerca di farlo. Può creare ansia ad alcuni, ma è necessario per stabilire un rapporto consapevole. Per questo mi sono stupito sentendo in tanti talk serali parlare dei rarissimi casi di decesso per trombosi come di un inciampo da contrastare con la rassicurazione che deriva dai grandi numeri.
Comunicazione e responsabilità (anche verso i casi rari)
Il comunicatore che ogni giorno mette in prima pagina il singolo, l’individuo e la sua sofferenza (quando va bene), in questo caso ha evitato di parlare della persona deceduta all’improvviso e ha preferito il refrain: è un caso rarissimo, l’importante è che milioni si siano vaccinati, tutto va bene, si stanno salvando molte vite.
Confesso che questo atteggiamento mi ha fatto una certa impressione. Gli eventi avversi gravi vanno analizzati e capiti, anche se questo comporta la fatica di dimostrare la causalità, guardando in faccia chi corre questo rischio. I ritardi della vaccinazione sono stati causati da ben altro e senza che nessuno facesse i conti dei decessi dovuti ai ritardi.
Il rapporto di fiducia oggi richiede conoscenza. Quello del Paul Erlich è un modello causale che convince perché è il frutto di analisi competenti (cioè non di perizie giudiziarie, ma di una valutazione dei maggiori esperti) e di un sistema di monitoraggio di alto livello della vaccinazione e di analisi di inferenza causale. La risposta necessaria deve essere: 1) conoscenza causale, che è basata sulla fiducia nella competenza, 2) assunzione di responsabilità professionale e politica, 3) una comunicazione che risponda alla domanda: e se toccasse a me, cosa farei?
Ogni evento raro finisce di esserlo quando ci riguarda. Ormai lo sappiamo e lavoriamo sulle malattie rare anche per questa fondamentale acquisizione.
Oltre il paternalismo
Antonio Polito, come altri commentatori, contrappone in un editoriale sul Corriere della Sera utilitarismo e principio di precauzione (che sarebbe stato seguito in questo caso). Il principio di precauzione, cioè intervenire preventivamente in presenza di evidenze scientifiche insufficienti ma suggestive, è altra cosa, discutibile, ma altra cosa.
Trascurare l’urgenza di una comunicazione mirata con un atteggiamento generico e paternalistico è un limite di cui bisognerà discutere e che ha molto condizionato la gestione di tutta questa pandemia. Spiace che molti commentatori, calatisi in testa l’elmetto dell’emergenza bellica del “whatever it takes” non l’abbiano capito, e in particolare sui social abbiano dileggiato chi ha voluto far prevalere le ragioni della cautela.
Interrompere provvisoriamente il flusso operativo della vaccinazione in presenza di un modello causale serio su un vaccino (non su tutti) e di una interpretazione competente che ne dimostra un limite è una scelta politica comprensibile e, io credo, saggia. Una scelta che mostra grande rispetto della competenza scientifica e dei diritti della persona che si vaccina. Angela Merkel ha scelto, a mio avviso, ancora una volta, da leader responsabile e competente. Poi ci saranno anche tante altre motivazioni, ma non sono sufficienti a non farci considerare la sostanza e il merito, della questione.