Dal 1 al 12 novembre 2021 si terrà la tanto attesa COP26 durante la quale dovranno essere aggiornati, dopo cinque anni (più uno di posticipo Covid) dall’Accordo di Parigi, i Nationally Determined Contributions obbligatoriamente a rialzo. Abbiamo intervistato Federico Brocchieri, esperto di negoziati climatici, per approfondirne il funzionamento, come il ruolo delle sessioni riservate, gli aspetti giuridici dell’Accordo di Parigi e i meccanismi di flessibilità.
Immagine: IDDRI.
Dopo il posticipo causa Covid-19 della COP26 che si sarebbe dovuta tenere a Glasgow a fine 2020, con eventi preparatori in Italia, il Bureau della COP ha riprogrammato la conferenza per il 2021, dall’1 al 12 novembre. L’IPCC, nel suo rapporto speciale sul riscaldamento di 1,5°C del 2018, aveva stimato un periodo d’azione di circa dodici anni – cioè entro il 2030 – per rinvigorire in modo decisivo il processo di decarbonizzazione dell’economia globale. Oggi, seguendo questo conteggio, il tempo rimanente sarebbe di circa nove anni e un posticipo di ancora un anno della COP26 non aiuta sicuramente. La riduzione delle emissioni di gas serra nel 2020, dovuto al rallentamento di vari settori produttivi per i lockdown, è stata di circa il 6,4%; non di tanto inferiore al 7,6% annuo richiesto dall’UNEP per arrivare allo zero netto nel 2050 (ne avevamo parlato qui). In ogni caso, non è certo con una chiusura generalizzata dell’economia che si può rendere sostenibile il modello economico.
Nel frattempo, lo scenario politico internazionale è cambiato probabilmente in positivo: l’Europa ha concordato target al rialzo, la Cina ha fatto dichiarazioni interessanti al riguardo e l’America di Biden è rientrata nell’Accordo di Parigi giusto in tempo per la COP26. Per quanto ancora non si stia facendo abbastanza, questo nuovo scenario potrebbe essere tonificante per la Conferenza di novembre, in occasione della quale si dovranno aggiornare al rialzo i cosiddetti Nationally Determined Contributions (NDCs).
Il contesto, in breve
L’Italia sta ricoprendo un ruolo di primo piano nella conduzione della diplomazia internazionale sul clima, sia perché ha organizzato la Conferenza in partenariato con il Regno Unito, ma anche perché sta presiedendo gli eventi del G20 di quest’anno, per altro su tre temi inediti: persone, pianeta, prosperità. Il G20 rappresenta l’80% del PIL mondiale, sarà quindi da tenere sotto osservazione l’andamento dei lavori, anche per avere idee su quale sarà il clima tra Glasgow e Milano in autunno.
La COP26, dal canto suo, si articolerà attorno a cinque «campagne» principali:
- adattamento e resilienza
- natura
- transizione energetica
- trasporto stradale pulito
- finanza
In particolare, si legge nel sito della COP, «la Adaptation Action Coalition sviluppata in collaborazione con Egitto, Bangladesh, Malawi, Paesi Bassi, Saint Lucia e le Nazioni Unite, lavorerà per trasformare gli impegni politici internazionali in sostegno sul campo per le comunità vulnerabili» in compagnia della UN High-Level Climate Champions’ Race To Resilience campaign, per coordinare i vari settori della società nel duplice processo di mitigazione e adattamento. Si dovrà, inoltre, accelerare la trasformazione sostenibile dell’agricoltura migliorando al contempo la sicurezza alimentare, idrica ed economica e, contestualmente, innalzare l’ambizione nella tutela della biodiversità, per cui i «paesi e le organizzazioni possono segnalare il loro impegno […] firmando il Leaders Pledge for Nature».
Per quanto riguarda il tema energetico, un ruolo cruciale è dato dall’uscita dal carbone, che «deve essere rapidamente eliminato - entro il 2030 per l'OCSE e l'UE27 [alcuni paesi hanno fissato l’uscita al 2025, ndr], ed entro il 2040 per gli altri maggiori produttori di emissioni ed entro il 2050 per il resto del mondo». Anche per questa mission esiste un’alleanza di intenti, la Powering Past Coal Alliance. E un’altra iniziativa ancora è rappresentata dal lavoro dei partner del Super-efficient Equipment and Appliance Deployment, in ambito di efficientamento energetico. La quarta campagna della COP26 riguarda, come abbiamo visto, il trasporto stradale, per cui i governi dovrebbero programmare le politiche in modo che «tutte le nuove auto vendute nei loro mercati siano a zero emissioni entro il 2040 o prima».
Infine, la finanza: «la transizione a lungo termine verso un futuro a impatto zero e resiliente richiede trilioni di dollari di investimenti e un cambiamento senza precedenti nel sistema finanziario globale». Come è previsto dagli accordi, i paesi ricchi devono sostenere la transizione finanziando quelli poveri, mobilitando circa 100 miliardi di dollari l’anno. Questo punto deve ancora trovare un’operatività. A questo proposito esiste, tra le altre cose, la Net Zero Asset Owners Alliance, un gruppo internazionale di 35 investitori istituzionali con un patrimonio in gestione di 5,5 trilioni di dollari.
In generale, questi cinque punti toccheranno trasversalmente il tema dei cosiddetti co-benefici: le azioni che avvantaggiano tanto la mitigazione e l’adattamento climatici quanto la salute globale. Si pensi a esempio al ruolo della qualità dell’aria nei disturbi cardiovascolari e respiratori, o dell’eccesso di temperatura nei colpi di calore fatali, o anche della sicurezza alimentare e delle infezioni a vettore virale.
Su questi temi, segnaliamo che venerdì 26 marzo, dalle 10.30 si terrà il Workshop online «COP26: clima e salute – webinar» organizzato dall’ambasciata inglese a Roma, in cui interverrà fra gli altri il Ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani. L’evento è moderato dal direttore di Scienza in rete, Luca Carra.
A questo link la possibilità di registrarsi per seguire l’evento.
Intervista a Federico Brocchieri
Per approfondire il funzionamento delle COP e della Convenzione quadro sul cambiamento climatico, abbiamo intervistato Federico Brocchieri, esperto di negoziati climatici e autore del libro «I negoziati sul clima». Tra i temi trattati nell'intervista: il ruolo delle sessioni riservate (che non vengono annunciate e ufficialmente calendarizzate) e uno degli snodi probabilmente meno chiari sulla natura dell’Accordo di Parigi, cioè se questo sia legalmente vincolante o meno.