Negli ultimi giorni, soprattutto dopo la “vicenda” AstraZeneca, malamente gestita da mass media e istituzioni, si moltiplicano le discussioni su quello che viene definito scudo penale per i vaccinatori. Davvero ne trarrebbero utilità i protagonisti sanitari della campagna di vaccinazione?
L’idea dello “scudo penale” per i medici che vaccinano dovrebbe essere archiviata come una delle tante, troppe iniziative demagogicamente affascinanti ma sostanzialmente (e giustamente) irrealizzabili.
Prima di tutto ci si deve intendere su cosa potrebbe essere questo formidabile scudo. Sicuramente è da escludere che gli operatori sanitari vengano esclusi dall’applicazione della legge penale – se pure per fatti connessi alla vaccinazione – in modo generalizzato e assoluto. Cioè è impensabile che si scriva una norma del tipo “la legge penale non si applica a chi fa il vaccino”. Di una simile immunità, ovviamente non perché faccia vaccini, gode in Italia solo il Papa, in forza dell’articolo 8 del Trattato del Laterano. Difficile pensare che intere categorie di soggetti godano di simile privilegio.
Decisamente più probabile sarebbe l’adozione di una disposizione che escluda la configurabilità dei reati di cui agli articoli 589 c.p. (omicidio colposo), 590 c.p. (lesioni personali), 590sexies c.p. (responsabilità colposa in ambito sanitario), “qualora la morte o la lesione personale siano conseguenze della somministrazione di un vaccino per la prevenzione della malattia Covid-19”. Questo, per quel che so, è uno dei testi che verranno proposti a vari gruppi parlamentari.
Bene, a che serve una disposizione di questo tipo? Possiamo fare tre ipotesi:
- Serve a soddisfare una irrazionale esigenza di apparente tranquillità e a riconoscere l’impegno di un’intera categoria professionale, da più di un anno impegnata in una lotta durissima contro un virus semi-sconosciuto. Più che possibile che lo scopo ultimo sia questo e sarebbe anche finalità degna del massimo rispetto, ma giuridicamente insostenibile. Così facendo entreremmo nel campo della soggettività assoluta. Se “ricompensa morale” deve essere, perché, allora, non inviare ad ogni sanitario anche una cassa di champagne Krug? Insomma, fuor di paradosso (e neanche tanto), le leggi non si fanno per dare contentini, ma perché devono avere effetti;
- Serve a escludere la responsabilità per il sanitario che, agendo in modo negligente e imperito, abbia contribuito al verificarsi di un evento avverso conseguente alla somministrazione del vaccino. Per esempio il sanitario competente non effettua l’anamnesi del “vaccinando” che muore per anafilassi determinata da un quadro allergico già noto. Oppure il sanitario somministra il vaccino a chi presentava già sintomatologia Covid o comunque uno stato di salute incompatibile con l’inoculazione… Questo risultato non può essere ottenuto, perché avrebbe l’effetto di generare un ingiustificato (e quindi discriminatorio e quindi palesemente incostituzionale) regime di favore per una sola categoria professionale, che verrebbe “assolta” anche in caso di comportamento palesemente colpevole;
- Serve a escludere la responsabilità del sanitario quando, pur avendo agito in modo ineccepibile, si verificano eventi avversi conseguenti alla somministrazione del vaccino; eventi imputabili a noti effetti collaterali o a causa ignota. Probabilmente questo è il risultato che si vuole conseguire. Ma è già così! Non c’è bisogno di alcuna nuova norma. A nessun tribunale verrebbe in mente di punire un sanitario per fatti che non sono riferibili alla sua sfera di controllo. Purtroppo, il problema vero sta nel fatto che qualcuno lo deve accertare se le cose sono andate in questo modo.
E qui viene il vero nodo della questione. Quello che davvero si vuole escludere nel caso della vaccinazione, come insegna il tema più generale della medical malpractice, non è il pericolo di una condanna, davvero molto molto remota. È il costo economico e personale del procedimento per accertare che non esiste alcuna responsabilità. E purtroppo quell’accertamento sarà sempre necessario perché, per potere dire che l’evento lesivo è conseguenza del vaccino e non di altro, qualcuno – che si chiama pubblico ministero – deve verificare i fatti. Tutto ciò, altrettanto inevitabilmente, dà il via a quella lunga sequela di atti processuali e d’indagine – autopsie, iscrizioni nel registro degli indagati... – ben noti ai mezzi di stampa.
La cosa davvero più desolante è che questo meccanismo processuale fu messo in piedi per offrire garanzie forti a chiunque fosse, per sventura, coinvolto in un procedimento penale. Mentre oggi, anche grazie alla spasmodica ricerca dei media tradizionali e non del “botto” sulla pelle di chiunque, tutto questo è diventato una specie di condanna anticipata. E allora di cose avrebbe davvero bisogno chi svolge attività sanitaria in epoca Covid? Di una norma processuale, non sostanziale, che dicesse “è vietato ogni accertamento quando si muore dopo un vaccino Covid-19”. Anche un non giurista capisce che una cosa di questo genere è impossibile.
Non c’è proprio nulla da fare? Innanzitutto, bisognerebbe accettare l’idea che temi complessi non hanno soluzioni magiche ma azioni che possono concorrere positivamente a risolvere un problema. Ora, è abbastanza noto che uno dei motori più comuni dell’azione penale è la denuncia dei familiari della persona vittima dell’evento infausto e del possibile errore. I superstiti desiderano capire e, a volte per grettezza a volte per necessità, desiderano anche denaro. Per soddisfare il desiderio di “giustizia” per mal-fatti sanitari esistono percorsi di mediazione in cui i protagonisti si incontrano davanti ad un professionista che cerca di trovare una soluzione condivisa. Molto spesso la vittima indiretta vuole solo vedere riconosciuta la propria sofferenza, vuole fare delle domande, anche quando non c’è risposta al perché. Certo, è una strada un po’ più faticosa della norma “pallottola d’argento”, ma più produttiva.
D’altra parte, per il risarcimento in denaro, esiste già una legislazione bella è pronta. È la legge n. 210 del 1992, che prevede indennizzi per i soggetti danneggiati da complicanze irreversibili conseguenti a vaccinazione obbligatoria. Basterebbe estendere - o ampliare - i benefici previsti anche al caso di vaccinazione Covid-19.
In ultimo, c’è un ingrediente fondamentale che dovrebbe “condire” ogni iniziativa giudiziaria, a prescindere da norma o non norma. Questo ingrediente è il buon senso. Forse - ricordando che correlazione non equivale a causazione - non è di buon senso indagare chiunque abbia solo sfiorato una fiala, fino all’amministratore delegato della società che produce vaccini, di fronte a un evento avverso temporalmente successivo a una somministrazione. Forse, in nome dello stesso principio filosofico, non è di buon senso sequestrare in via preventiva un intero lotto di vaccini sulla base di una mera concomitanza temporale tra un decesso e una somministrazione, quando peraltro esistono autorità regolatorie competenti in materia di farmacovigilanza. Probabilmente non sarà di buon senso qualificare “notizia di reato” la denuncia di chi riferisca un qualsiasi decesso improvviso nei dieci, quindici, venti giorni (quale dovrebbe essere il limite significativo ?) successivi all’inoculazione di un vaccino.
Purtroppo questo buon senso non si impone per legge, ma si conquista con una formazione culturale di base che faccia comprendere il linguaggio e il metodo scientifico a chi si occupa di diritto e con le proprie decisioni pensa di poter condizionare la scienza. Ma questa è un’altra lunga storia.