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Ricerca scientifica: come dare impulso alla mobilità e all’attrazione dei cervelli?

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Riportiamo qui una rielaborazione dell’intervento al seminario del 3 marzo 2021 della prorettrice delegata alla ricerca dell'Università Statale di Milano Maria Pia Abbracchio nell’ambito del ciclo di webinar «L’Università italiana nell'era post COVID: ciclo di webinar» organizzato da Centro inter-universitario UNIRES e il Gruppo di progetto UNIMI 2040. Qui le informazioni e il programma del ciclo che si articola da settembre 2020 a giugno 2021. Qui i video di tutti gli interventi.

Tempo di lettura: 5 mins

I dati sulla ricerca italiana

Com’è noto, purtroppo, l’Italia non è generalmente un paese capace di attrarre ricercatori dall'estero, piuttosto li esporta. Riportiamo un grafico che focalizza l’attenzione sullo sbilanciamento fra brain drain e brain gain. Quello che ci preoccupa dell'Italia non è la cosiddetta "fuga dei cervelli". È infatti auspicabile che i ricercatori ben formati in Italia, dotati per altro di riconoscimenti anche sul piano internazionale, facciano esperienza all’estero. Tuttavia, sarebbe altrettanto desiderabile che un analogo numero di persone venga a fare ricerca nel nostro paese. Purtroppo, invece, se guardiamo il saldo fra ricercatori che entrano ed escono dal paese, vediamo che l’Italia è mal posizionata. Il saldo è ampiamente negativo, comparabile a quello dell’India.

Brain Drain / Brain Gain. In Italia il saldo fra i ricercatori che se ne vanno e quelli che entrano nel paese è ampiamente negativo.

In genere, per fare questo tipo di analisi, viene anche utilizzato l'andamento dei progetti ERC. Rispetto a Germania, Regno Unito, Francia e Spagna, l’Italia ha il tasso di successo per nazionalità dell’istituzione più basso.

Se si guarda, però, alla classifica dei ricercatori vincitori di grant per nazionalità, ci posizioniamo molto meglio, allo stesso livello di Francia e Regno Unito e subito dietro la Germania. Il risultato dei ricercatori italiani è particolarmente buono per gli Starting Grant e i Consolidator Grant, su cui abbiamo addirittura superato la Germania nel 2020, mentre per gli Advanced Grant siamo più indietro.

Se consideriamo la nazionalità delle istituzioni che ospitano i grant ERC, ci accorgiamo che quasi il 70% dei vincitori di nazionalità italiana spende il proprio finanziamento fuori dall'Italia, mentre negli altri paesi la distribuzione è più bilanciata. Una conferma analoga viene dal confronto tra la nazionalità dell’istituzione ospite e la nazionalità dei ricercatori. Considerando solo gli Starting Grant, l'Italia si posiziona al quinto posto sui cinque paesi di riferimento. Se guardiamo tutti i finanziamenti messi assieme, cioè gli Starting e gli Advanced assegnati nel 2019 con i Consolidator assegnati nel 2020, invece, l'Italia è al secondo posto.

Istituzioni ospite. Grant totali e per milioni di abitanti 2016-2020 (Bandi: StG-CoG-AdG 2016-2019; StG-CoG 2020).

 

Ricercatori. Grant totali e per milione di abitanti 2016-2020 (Bandi: StG-CoG-AdG 2016-2019; StG-CoG 2020).

 

Perché siamo poco attrattivi

Perché succede questo? Alcuni anni fa, con il Gruppo 2003, avevamo condotto una ricerca in cui abbiamo fatto una serie di interviste a ricercatori italiani all'estero, vincitori di grant prestigiosi (non solo ERC), che avevano deciso di non rientrare in Italia. Il primo problema riscontrato risiede nella limitata capacità contrattuale che i nostri enti di ricerca (EPR - Enti Pubblici di Ricerca) e atenei hanno per attrarre scienziati e scienziate più competitivi che risiedono all'estero. Capacità limitata dovuta, in generale, anche alla rigidità della pubblica amministrazione che impedisce di fatto di offrire ai ricercatori quel pacchetto di condizioni favorevoli che invece notoriamente vengono offerti dalle altre università europee. Condizioni come finanziamenti per le attrezzature, per istituire posizioni di collaboratori, per le attività didattiche e, in molti casi, anche per il trasferimento non solo dei laboratori ma anche della famiglia del ricercatore.

In particolare, siamo più capaci ad attrarre gli Starting Grant, ma abbiamo difficoltà a far muovere i ricercatori già consolidati con gruppi. Registriamo ancora più difficoltà ad attrarre gli Advanced Grants, proprio perché trasferire un intero gruppo di ricerca richiede una flessibilità che noi non riusciamo ancora a garantire. Un altro fattore che disincentiva l’attrazione di ricercatori è il carico didattico piuttosto massiccio (120 ore di lezione, i vari esami e tutte le attività didattiche complementari). Anche se, va detto, molte università hanno previsto nei loro regolamenti degli sconti per chi viene dall’estero, soprattutto con grant prestigiosi o con chi sposta il proprio grant.

Ancora, il sovraccarico di compiti burocratici che i docenti devono espletare unito a tempistiche amministrative che non sono compatibili con i tempi della ricerca competitiva, ci rendono molto poco attrattivi. Inoltre, come sistema di ricerca, abbiamo interazioni ancora modeste col mondo industriale e con i vari portatori di interesse: questo comporta una grande difficoltà ad attivare partnership pubblico-private e soprattutto a fare progetti in co-sviluppo. I finanziamenti nazionali, in aggiunta, sono scarsi e hanno tempistiche imprevedibili, anche se pare che con la nomina di Maria Cristina Messa al Ministero dell'Università e della Ricerca le cose stiano cambiando, per esempio con stanziamenti per i bandi PRIN più consistenti e una programmazione nei bandi a venire.

Ci sono poi altri due fattori che ci caratterizzano. Anzitutto abbiamo una scarsa mobilità interna - si nasce, si cresce nella stessa città, si fa l'università e si fa la propria carriera all'interno dello stesso ateneo - che rende molto difficile avere quella contaminazione positiva che successivamente può essere stimolante per attrarre ricercatori dall'estero. E poi, purtroppo, non abbiamo ancora adeguato l’Italia alle normative europee sulla sperimentazione animale, che rende i nostri ricercatori molto meno competitivi, anche nel vincere grant.

Di seguito riportiamo un dettaglio del nuovo programma nazionale per la ricerca 2021-2027 che ha identificato delle priorità di sistema, molte delle quali sono cruciali per consentire la mobilità e aumentare la nostra attrattività.

Per la prima volta in assoluto, durante la redazione del programma nazionale di ricerca e innovazione, il Ministero ha aperto la bozza a una consultazione pubblica avvenuta tra agosto e settembre 2020. Hanno risposto più di 2500 partecipanti, la maggior parte ovviamente dal mondo accademico, ma anche molti da imprese, dalla pubblica amministrazione, da fondazioni, da associazioni della società civile, organizzazioni non governative, organizzazioni sindacali e perfino semplici cittadini. È emersa una generale e ampia richiesta di semplificazione amministrativa arrivata dal 75% dei partecipanti alla consultazione. In più, circa il 47% dei partecipanti ha sottolineato la necessità di implementare un approccio multisettoriale e multidisciplinare.

Probabilmente i risultati di questa consultazione non sono arrivati come un fulmine a ciel sereno, tuttavia questo non deve rallentare nel cercare di apportare quelle modifiche necessarie a rendere l’Italia finalmente competitiva e all’avanguardia, anche dal punto di vista scientifico.

 


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