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Elettronica leggerezza dell’essere: da John Thomson al computer quantistico

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Cristian Fuschetto ripercorre la storia della scoperta dell'elettrone e le sue implicazioni nel XX secolo e a seguire, da Thomson ai transistor, passando da Calvino, per recensire il libro Il lampo dell’elettrone (Codice Edizioni 2021) di Vittorio Pellegrini.

Immagine: Pixabay.

Tempo di lettura: 4 mins

Quando accendiamo la televisione, lavoriamo al computer o stressiamo il nostro smartphone, quando molto più semplicemente siamo davanti a uno schermo (e si farebbe prima a dire quando i nostri occhi non ne siano incollati) siamo inconsapevoli testimoni di una specie di miracolo: la leggerezza dell’essere. Per capire di cosa si tratta prendo a prestito il genio e la prosa di Italo Calvino che, in una delle sue Lezioni americane, esprime così il gioco di forza tra l’impalpabile potenza dei bit e la soccombente solidità delle cose: «È vero», scrive Calvino, «che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d’elaborare programmi sempre più complessi». Calvino invita ad afferrare la forza “antigravitazionale” della rivoluzione informatica. «La seconda rivoluzione industriale», dice, «non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d’acciaio, ma come i bits d’un flusso d’informazione che corre sui circuiti sotto forma d’impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso».

La materia è informazione

Erano gli albori dell’infosfera, la civiltà digitale scaldava i suoi silenziosi motori, internet era ancora una tecnologia da addetti ai lavori e il world wide web, l’internet per le masse, sarebbe stato inventato quattro anni dopo nei laboratori del CERN. Eppure nelle parole di Calvino il senso del rimescolamento ontologico tra materia e informazione è già chiarissimo. La materia è informazione e l’elettricità è il suo linguaggio. Oggi lo diamo per scontato, anche i più distratti avranno fatto caso all’intelligenza delle cose, al cosiddetto internet of things, alla connessione di tutto con tutto. Ma, come spesso accade, le cose ci piovono addosso, la storia ci precede senza lasciarci il tempo di prendere appunti. Nicolas Negroponte, fondatore del MIT di Boston, amava ripetere: «La tecnologia è come la tigre. O la cavalchi, la domi, o ti mangia». La lettura de Il lampo dell’elettrone (Codice Edizioni 2021) di Vittorio Pellegrini, è allora un utile strumento per non subire il presente o, se preferite, un ottimo dispositivo di protezione contro fastidiosi azzannamenti.

Quando tutto ebbe inizio

L'elettronica è diventata la cifra della nostra esistenza in un tempo brevissimo, poco più di un secolo. Tutto comincia il 30 aprile 1897, quando Joseph John Thomson annuncia i risultati dei suoi esperimenti sui raggi catodici in una conferenza alla prestigiosa Royal Society inglese. Sconvolgendo una credenza bimillenaria, il fisico di Cambridge annuncia al mondo che l’atomo non è il mattone più piccolo della materia, squarcia l’indivisibile e inaugura lo spazio subatomico dove, scopre grazie a calcoli minuziosi, abitano particelle 1.700 volte più piccole dell’atomo di idrogeno, vale a dire di quello che allora si riteneva essere il pezzo di materia più leggero in assoluto.

Tubi di vetro, valvole termoioniche, transistor

La scoperta dell’elettrone è la premessa dell’informatica. La possibilità stessa di un elaboratore nasce con la scoperta di queste piccolissime particelle e della loro manipolabilità. Esperimento dopo esperimento diventa infatti ben chiaro che nella formulazione di operazioni aritmetiche i guizzanti elettroni possono prendere il posto delle pietre dell’abaco. Non è solo un cambio di tecnologia. Si assiste a un cambio di mentalità. Lo studio del comportamento di queste minuscole particelle subatomiche apre la possibilità di inventare isole di materia dove applicare nuovi codici. È da qui che nasce il linguaggio binario composto da bit, dove gli stati 1 e 0 vengono associati al passaggio o meno delle nuove particelle. Tutto cambia. I tubi sottovuoto in cui i pionieri dell’elettronica osservano le nuove forze sono infatti gli antesignani dei contenitori dei bit. Dalle valvole termoioniche al triodo, dai transistor ai computer quantistici, Pellegrini traccia l’incredibile avventura con cui la scienza del XX secolo non solo ha scoperto un pezzo di materia letteralmente inconcepibile (oltre l’atomo c’era il nulla), ma ha addirittura imparato a governarlo facendone la pietra angolare attraverso cui trasformare la nozione stessa di realtà.

From bit to it

Dall’Eniac, il calcolatore voluto nel 1946 dal Governo degli Stati Uniti per determinare le traiettorie dei proiettili di artiglieria, costituito da 18.000 tubetti di vetro, 30 tonnellate distribuite su una superficie di 130 metri quadrati per una potenza di calcolo di 5.000 operazioni al secondo, ai transistor sviluppati negli anni Cinquanta nei leggendari Laboratori Bell, fino agli attuali transistor a singolo atomo, l’epopea dell’elettrone è la genealogia della civiltà digitale. «Si intravedono già nuovi orizzonti», osserva Pellegrini, «quelli in cui la meccanica quantistica, l’elettronica e il calcolo si fondono assieme». È la frontiera dell’informazione quantistica, annunciata su Nature il 23 ottobre 2019 come la tecnologia destinata a segnare la nuova “supremazia computazionale”.

A dare forma al mondo

“From bit to it” sentenziava alla fine degli anni Ottanta come un presocratico alla ricerca dell'archè John Archibald Wheeler. «Tutto è informazione. Più rifletto sul mistero dei quanti e sulla nostra singolare capacità di comprendere il mondo in cui viviamo, più mi persuado che la logica e l’informazione possono avere un ruolo basilare nelle fondamenta della teoria fisica». A determinare la consistenza della materia non è la solidità dell’atomo ma la leggerezza dell’informazione. A dare forma al mondo non sono “le macchine di ferro” ma dei “bits senza peso” nati dal lampo di un elettrone.


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