Uno studio di lungo termine dimostra che, in risposta al riscaldamento globale, il vespertilio di Bechstein, un chirottero europeo vulnerabile all'estinzione, sta aumentando di dimensioni, e questo comporta una minore sopravvivenza. Un esempio dei tanti modi in cui il cambiamento climatico può alterare gli adattamenti delle specie e influenzarne la sopravvivenza.
Nell'immagine: un vespertilio di Bechstein (Myotis bechsteinii). Crediti: Gilles San Martin/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 2.0
Che il riscaldamento globale comporti modifiche del clima, eventi estremi e alterazioni delle caratteristiche degli habitat, costringendo specie animali e vegetali a spostarsi, adattarsi o perire è cosa ormai risaputa. Meno risaputo ai più è però il fatto che i cambiamenti climatici in corso possano alterare la morfologia degli animali. D’altra parte, nel corso delle Ere passate, le oscillazioni del clima hanno già influenzato le dimensioni delle specie: per esempio, i fossili risalenti al passaggio tra Paleocene e Eocene indicano che molte specie di insetti, in risposta a un forte aumento delle temperature, hanno diminuito la taglia corporea, in alcuni casi dimezzandola.
Studiare il passato può effettivamente aiutare a capire cosa ci si può aspettare dal riscaldamento climatico in corso. Secondo uno studio pubblicato nel 2011 su Nature Climate Change, ci sono già alcune evidenze di una diminuzione di taglia per diverse specie di invertebrati e pesci, ma anche di uccelli e mammiferi. Verosimilmente, un corpo più piccolo è una risposta alle mutate condizioni di disponibilità alimentare ma, soprattutto, è un adattamento necessario per la termoregolazione quando le temperature sono più elevate. D’altra parte, almeno per i mammiferi, vale la cosiddetta regola di Bergmann: la stessa specie, in climi più freddi e a latitudini più elevate ha dimensioni corporee maggiori. Per esempio, i caprioli italiani sono più leggeri e piccoli di quelli scandinavi. Quindi, se il caldo aumenta è probabile che si verifichi un restringimento della taglia in molte specie.
La biologia, però, è la scienza delle eccezioni, niente è lineare e ci sono sempre evidenze che smontano le regole più generali. Ecco che alcuni animali, invece di rimpicciolire, diventano più grandi: succede per esempio al vespertilio di Bechstein, un pipistrello europeo raro e minacciato di estinzione. L’inghippo sta nel fatto che questo aumento di dimensioni non è un adattamento vincente perché comporta una ridotta speranza di vita.
A dimostrarlo è uno studio recentemente pubblicato su Proceedings of the Royal Society B che utilizza i dati raccolti in Baviera nel corso di un monitoraggio ventennale di quattro colonie di vespertilio di Bechstein. Nel corso di 24 anni i ricercatori hanno marcato 358 femmine con microchip sottocutanei, misurato il loro peso e le dimensioni dell’avambraccio, un parametro importante perché è un indicatore della taglia corporea complessiva. Quello che è emerso è che la lunghezza dell’avambraccio è cresciuta significativamente dal 1996 al 2019. E, contestualmente, sono aumentate di molto anche le temperature medie bavaresi: di ben 2,19 gradi in primavera e 2,39 in estate. Grazie alla marcatura e al monitoraggio, si è visto che le femmine con un avambraccio di dimensioni superiori ai 44,5 millimetri hanno meno chance di vivere a lungo di quelle più piccole (e nella media di dimensioni descritte per la specie). Ma perché questo pipistrello invece di rimpicciolire sta aumentando di taglia?
Il vespertilio di Bechstein è un chirottero europeo che vive all’interno dei boschi di latifoglie, ed è una specie sedentaria che d’estate occupa le cavità degli alberi (e se presenti anche le bat-box) e che sverna preferibilmente in grotte molto umide. I maschi vivono solitari, mentre le femmine formano delle colonie riproduttive per condividere la cura dei piccoli.
I chirotteri sono animali dalle caratteristiche alquanto peculiari: pur avendo delle dimensioni minuscole, sono molto longevi e hanno un tasso riproduttivo molto basso: le femmine partoriscono un piccolo all’anno a partire dal secondo anno di vita. Anche se gli accoppiamenti sono in autunno, la fecondazione vera e propria si verifica con la primavera: durante l’inverno i pipistrelli cercano un rifugio dove entrano in uno stato di torpore, in cui rallenta il battito cardiaco e la respirazione, e la temperatura corporea si abbassa diventando di poco superiore a quella esterna. Il torpore quindi non è un periodo propizio per lo sviluppo fetale, ed ecco perché la fecondazione viene fatta coincidere con l’uscita dal letargo, il che spiega perché l’aumento delle temperature primaverili comporti un anticipo delle date del parto: maggiori sono le temperature prima le femmine partoriscono, e infatti per le colonie bavaresi si è osservato proprio un progressivo anticipo delle date dei parti. La modifica delle date del parto è un altro adattamento fisiologico ai cambiamenti climatici che si sta riscontrando in molte specie. Per esempio, nei caribou l’anticipo della primavera comporta un’asincronia tra nascite e crescita della vegetazione più ricca di nutrienti. E in vent’anni la data del parto è stata anticipata di un giorno all’anno, un tentativo fisiologico di adattamento a un artico surriscaldato (su Scienza in rete ne abbiamo parlato qui).
Tornando ai vespertili di Bechstein e al perché delle loro accresciute dimensioni, maggiori temperature estive, comportano condizioni più favorevoli per lo sviluppo del piccolo, perché diminuisce il costo energetico della termoregolazione. Infine, un aumento delle temperature favorisce le popolazioni di insetti di cui i vespertili di Bechstein si nutrono, e questo a sua volta comporta un aumento delle dimensioni delle colonie, che è legato alla disponibilità di cibo. Lo studio dimostra che colonie di maggiori dimensioni favoriscono il tasso di accrescimento dei cuccioli, ancora una volta perché consentono meno dispendio energetico per la termoregolazione in momenti delicati come l’allattamento.
Quello che resta meno chiaro è perché le femmine di maggiori dimensioni abbiano anche una ridotta speranza di vita. Individui di maggiori dimensioni dovrebbero in genere essere associati a una maggiore fitness (ovvero successo riproduttivo): dovrebbero avere una maggiore facilità nella termoregolazione durante la gestazione, avere una maggiore efficienza di volo e un minor dispendio energetico nel trasportare i piccoli in volo. L’ipotesi è che, però, la maggior taglia corporea comporti anche un superiore fabbisogno energetico e quindi una maggiore difficoltà a reperire cibo a sufficienza.
Insomma resta ancora molto da indagare, ma studi a lungo termine come questo sono dei buoni indicatori per capire in quanti vari e complessi modi il riscaldamento globale possa compromettere la conservazione delle specie. Il riscaldamento climatico implicherà anche fenomeni metereologici estremi, ma non dobbiamo aspettarci una apocalissi con esodi di massa. Se cambia il clima, l’unico modo per sopravvivere è cercare di adattarsi, chi non riesce è destinato al declino. Il problema è che il riscaldamento globale antropogenico sta continuando a ritmi molto elevati, soprattutto in alcune aree del mondo, e i tempi evolutivi sono molto meno veloci. I cambiamenti sono già in corso, sottili ma sostanziosi: cambiamenti nella genetica e negli adattamenti, mutazioni che permetteranno ad alcuni di farcela, mentre molti non riusciranno, con effetti a catena su tutto il mondo come lo conosciamo.