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Colori delle regioni basati sui ricoveri: l’elusiva trappola dell’esponenziale

Si discute in questi giorni dell'opportunità di cambiare i parametri che determinano il livello di rischio associato all'epidemia delle regioni e stabiliscono di conseguenza le restrizioni su spostamenti e comportamenti. In particolare si considera di dare maggior rilievo al numero di posti letto ospedalieri occupati da pazienti con Covid-19, piuttosto che all'incidenza dei nuovi casi. Tuttavia, il rischio è di vedere tardi la progressione esponenziale dei contagi, poiché la curva delle ospedalizzazioni segue quella dei casi con un certo ritardo. Questo ritardo limiterebbe sostanzialmente l'efficacia delle misure di contenimento nel rallentare la trasmissione.

Nell'immagine: la dottoressa Annalisa Silverstri all'ospedale San Salvatore di Pesaro, marzo 2020. Credit: Alberto Giuliani/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 4.0.

Tempo di lettura: 6 mins

È circolata recentemente la voce che il Ministro della Salute starebbe contemplando la possibilità di modificare i criteri di passaggio delle Regioni dalla zona di un colore a quella di un altro, ognuna implicando misure di restrizioni differenti per contenere la propagazione dell’epidemia di Covid-19. I criteri sarebbero modificati dando maggior peso al carico di malati Covid-19 ospedalizzati rispetto alla frequenza di contagi, sintomatici (ma non ospedalizzati) e asintomatici.

Quale che sia la consistenza di questa voce, occorre ricordare che il carico di pazienti ospedalizzati, fino e oltre la saturazione dei reparti, è stato il determinante critico per l’adozione del “lockdown” del marzo 2020. Più significativo, durante la seconda e la terza ondata epidemica nell’autunno-inverno del 2020 e la primavera 2021 si è arrivati non raramente, in Italia, Francia e altri paesi europei a situazioni di sovraccarico ospedaliero che hanno costretto a riorganizzare reparti e rimandare di mesi interventi non urgenti per patologie diverse da Covid-19.

Nei fatti se non nel disegno dei sistemi di sorveglianza e intervento sull’epidemia (tutti basati su molteplici indicatori di frequenza di contagi, ricoveri, decessi, tamponi diagnostici) l’elevato livello di ospedalizzazioni ha pesato più di altri indicatori, centrati sui contagi: se presi sufficientemente e tempestivamente in conto questi ultimi avrebbero dovuto prevenire che il livello di ricoveri divenisse, tardivamente, la variabile-chiave capace di indurre i decisori a prendere provvedimenti di contenimento adeguati.

L’espressione più grossolana di questa disfunzione del sistema di controllo-intervento è stato il ritornello, sentito innumerevoli volte: “ma dove sono le ospedalizzazioni?”, come se questo fosse l’ovvio criterio su cui giudicare la diffusione dell’epidemia. Del resto nel giugno del 2020 dieci reputati medici-ricercatori avevano dichiarato, proprio basandosi sui ricoveri in ospedale: “il ricorso all’ospedalizzazione per sintomi ascrivibili all’infezione virale è un fenomeno ormai raro e relativo a pazienti asintomatici o paucisintomatici”, affermazione largamente e non illogicamente (data la fonte autorevole) interpretata dai media come equivalente a una constatazione di fine epidemia. Quanto fosse finita si è visto dopo.

Se una varietà di elementi, generali e locali, possono concorrere alla disfunzione del sistema di sorveglianza e intervento, vale la pena di rivedere, tanto appare sottovalutato o circondato da confusione, un elemento di base: quando ci si trova in condizione di propagazione epidemica esponenziale, prestare più attenzione ai ricoveri ospedalieri che ai contagi produce una distorsione di prospettiva.

Per uno scopo illustrativo elementare si consideri il caso, semplificato e ipotetico ma prossimo alla realtà in termini quantitativi, di una media provincia italiana di 600 000 abitanti nella quale sono disponibili 1 800 posti letto per pazienti acuti (in Italia la frequenza media è poco più di 3 per 1 000 abitanti). Si stabilisce che per evitare il sovraccarico, i pazienti Covid-19 debbano occupare al massimo il 30% dei posti letto, cioè 600 posti letto. All’inizio dell’osservazione, l’epidemia è in fase di quiescenza con un tasso di contagi di 5 per 100 000 su base settimanale (attualmente in Italia è già sensibilmente superiore) ma l’allentamento delle misure di contenimento e la presenza di una variante ad alta trasmissibilità fanno sì che la propagazione si acceleri con un numero riproduttivo effettivo, Rt, pari a 2: ogni persona contagiata ne contagia in media altre due in un periodo medio di una settimana (il cosiddetto intervallo seriale tra casi contagio). Una piccola proporzione dei contagi, il 2%, necessitano un ricovero ospedaliero che dura 15 giorni fino alla dimissione o, in alcuni casi, al decesso. In queste condizioni i contagi raddoppiano ogni settimana, come indicato dalle prime due colonne della tabella, mentre il numero di contagi che ne risultano nella provincia alla fine di ogni successiva settimana sono indicati nella terza colonna. Se potessimo osservare l’epidemia che si ripete un grande numero di volte dalla prima alla dodicesima settimana, vedremmo in media ogni settimana il doppio dei casi della settimana precedente (60 alla seconda settimana, 120 alla terza e così via). Nella tabella, però riportiamo una sola delle possibili epidemie, e dunque sommiamo al risultato medio un fattore che tiene conto della variabilità casuale (61 invece di 60, 129 invece di 120 e così via) derivata dalla distribuzione di probabilità di Poisson, stilizzando ciò che avviene nella realtà. Il 2% delle persone contagiate vengono ricoverate in ospedale e il numero dei nuovi ricoveri è riportato nella quarta colonna. I valori nella quinta colonna, numero di posti letto che si trovano occupati alla fine di ogni settimana (la misura del carico sul servizio ospedaliero) è data dalla somma dei posti letto occupati alla fine della settimana precedente e dei nuovi ricoveri, diminuita del numero di nuovi ricoveri di due settimane prima, dimessi o deceduti.

I dati nella tabella permettono di formulare tre commenti.

In primo luogo, confrontando la progressione dei nuovi casi e quella dei letti occupati, è ben visibile la progressione esponenziale nella sua continuità (secondo il fattore di moltiplicazione per settimana di 2n con n pari a 1, 2, 3, ecc., seguendo il numero d’ordine delle settimane). Per quel che riguarda i nuovi casi, i numeri diventano sostanziali, cioè superiori a 200, già a partire della quarta settimana, mentre per i letti occupati questo accade solo dalla ottava alla nona settimana in poi. Tuttavia, i 122 letti occupati alla ottava settimana e i 227 alla nona rappresentano rispettivamente ancora solo il 19% e il 38% della soglia di 600 fissata per i casi di Covid-19 (e 227 è il 13% di tutti i 1800 posti letto disponibili nella provincia), considerazione che può facilmente indurre a temporeggiare nell’adottare provvedimenti restrittivi stringenti.

Secondo: dopo la nona settimana, la progressione esponenziale fa sì che bastino due sole settimane perché la soglia dei 600 letti sia superata (e anche una soglia di 900, la metà di tutti i posti letto disponibili, risulta superata) e si generi quasi improvvisamente un sovraccarico che impatta negativamente su tutte le attività ospedaliere riguardanti Covid-19 come le altre patologie.

Terzo: qualunque intervento di restrizione dei contatti interpersonali concernente, per esempio le dimensioni di riunioni, frequentazioni di locali pubblici ecc., iniziato alla nona settimana risulta troppo tardivo (essendo necessarie una-due settimane perché una efficace azione di freno si concretizzi) per scongiurare il sovraccarico di ricoveri della decima e undicesima settimana. Occorre agire prima, tra quattro e otto settimane. Nella dinamica dell’epidemia del nostro esempio, qualche settimana fa tutta la differenza tra successo e fallimento. Guardando ai posti letto occupati si ha un’immagine rimpicciolita, ritardata e all’inizio incertamente discernibile di una progressione esponenziale in atto: e la progressione esponenziale è già di per sé una trappola difficile per chiunque da visualizzare e come tale all’origine di scavalcamenti di soglie che si manifestano ”d’un colpo”.

Per concludere: se si volessero rivedere i criteri per far passare le Regioni da un colore a un altro, diffiderei dal dare più peso alla variabile “posti letto occupati”, poco idonea a monitorare chiaramente e tempestivamente il fenomeno di base dell’epidemia, ovvero la propagazione del virus nella popolazione, che determina la progressione del numero di casi di Covid-19 e l’occupazione dei posti letto. (Sulla elusiva natura della progressione esponenziale si può ricordare una ennesima variante del classico esempio della scacchiera di sessantaquattro - otto per otto - caselle. Se si mette nella prima casella un centesimo di euro e si accetta, in caso di perdita di una scommessa, di pagare la cifra risultante nella sessantaquattresima casella dal raddoppiamento a ogni casella della cifra precedente, ci si troverà a pagare … l’equivalente in euro del prodotto lordo mondiale del 2020 per i prossimi 1300 anni!).


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