Un’inchiesta del Wall Street Journal ha scatenato un forte dibattito sul ruolo dei social network in rapporto alla salute mentale di chi li frequenta. Attraverso un’attività di giornalismo investigativo che parte dall’esame di materiale condiviso solo internamente da Facebook, è emerso come l’azienda sia da tempo a conoscenza dell’impatto negativo che riguarderebbe in particolar modo Instagram e colpirebbe soprattutto bambini e adolescenti. Basato su visibilità, immagine, rilievo dato all’aspetto fisico e allo stile di vita, questo social network è stato collegato da alcuni studi a un aumento del rischio di problemi psicologici (disturbi dell’autostima e dell’umore, del comportamento alimentare e della vita sociale, depressione, ansia e, addirittura, pensieri suicidi), che colpiscono in modo particolare le adolescenti.
L’azienda sembra essere da tempo informata del problema ma avrebbe cercato, secondo alcuni, di minimizzarlo. Il ruolo di Facebook e le sue eventuali responsabilità sono oggetto di un forte dibattito e attendono ancora di essere chiariti, così come lo sono gli studi citati nell’inchiesta, i cui limiti sono stati messi in evidenza, ma la riflessione che vorrei proporre è un’altra. Negli ultimi anni Instagram è entrato a pieno titolo nel novero dei canali attraverso i quali si fa anche comunicazione della scienza, non di rado di buona qualità. Lo scopo principale è avvicinare alla scienza anche un pubblico più giovane rispetto a quello che frequenta i canali divulgativi tradizionali o altri social network come Facebook. Rispetto a quest’ultimo, alcuni comunicatori della scienza hanno notato come su Instagram il rischio di polarizzazione delle discussioni sia inferiore, generando un ambiente più sereno e favorevole alla divulgazione. D’altra parte, visto che sembra che l’esperienza dell’utente possa presentare anche delle criticità, soprattutto per i giovani, che costituiscono ancora un’ampia fetta degli iscritti, penso che una certa riflessione sia opportuna per chi ha scelto questo canale per fare comunicazione della scienza.
Offrire post di argomento scientifico può senz’altro essere un modo per arricchire Instagram di contenuti che si distinguono da quelli tradizionalmente presenti sul social, basati su quell’esposizione dello stile di vita e dell’immagine che sono stati collegati a maggiore disagio nell’utente. D’altra parte, poiché the medium is the message, non è da escludere che la ricerca di maggiore seguito porti, anche comprensibilmente, ad adattarsi, almeno in parte, allo stile comunicativo della piattaforma. Ma forse, per quel che riguarda la comunicazione della scienza via social, il nucleo della riflessione va fatto sulle opportunità e i limiti del canale comunicativo scelto. In particolare Instagram, con la grande espansione della comunicazione della scienza al suo interno, rappresenta un caso studio interessantissimo.
Il divulgatore ha la possibilità di scrivere piccoli testi associati a immagini o contenuti all’interno delle stesse, oppure di proporre brevi video, anche in sequenza (sebbene la loro moltiplicazione sia spesso percepita come fastidiosa e, in generale, la cifra stilistica della brevità sia quella che più si adatta a questo social). La struttura del mezzo impone, quindi, la sintesi, la comunicazione essenziale di brevi e rapide unità di contenuto. Qui, a mio avviso, la responsabilità del divulgatore si fa cruciale, perché non tutti gli argomenti si prestano a una comunicazione essenziale che sia anche efficace e, soprattutto, priva di sottotesti con un impatto negativo sul giovane pubblico di questo social. Il confine tra la semplificazione, la banalizzazione e la disinformazione è spesso difficile da posizionare con esattezza, ma è tanto più facile cadere in quest’ultima quando si prova a stipare in uno spazio oggettivamente incapace di contenerlo un argomento complesso.
La questione si fa particolarmente importante quando si toccano argomenti sensibili (e molto presenti su Instagram), come, solo per fare un paio di esempi, la scienza dell’alimentazione o la salute mentale. Un post sbrigativo può essere l’occasione per riaprire una ferita o per confermare pregiudizi e stigmi. Per esempio, la rapida considerazione su come sia facile raggiungere l’obiettivo della forma fisica attraverso sostituzioni “smart” di alimenti più calorici con altri meno problematici per la dieta si scontra con il fatto che i profili Instagram che riguardano la nutrizione sono spesso frequentati da chi soffre di disturbi del comportamento alimentare, per la grande attenzione che molte di queste persone pongono nei riguardi del loro regime dietetico. Per chi lotta ogni giorno con le difficoltà di gestione di un problema di questo tipo, le regolette banalizzanti che partono dal presupposto che sia tutto un problema di ignoranza (si tratta della piena realizzazione del deficit model) possono essere profondamente frustranti. Non c’è infatti nessuno che sia informato su conteggi calorici e preparazione dietetica degli alimenti come chi soffre di un disturbo alimentare, e un approccio paternalistico non può essere d’aiuto.
Generici post motivazionali relativamente a disagi di vario tipo, che propongono soluzioni in cui il ruolo centrale è svolto dalla persona che vive il problema, possono essere molto impattanti per chi convive con un disturbo psicologico e deve continuamente scontrarsi anche con lo stigma che si associa ai problemi di salute mentale e con la tendenza a essere colpevolizzato per le loro conseguenze perché “non si impegna abbastanza”.
Pensiamo, poi, al fatto che post di questo tipo entrano all’interno di un ecosistema in cui si trovano a coesistere con immagini – spesso naturalmente finte, ma non per questo meno foriere di senso di inadeguatezza – che mostrano persone dall’aspetto impeccabile, che sembrano condurre vite perfette, ricche di esperienze gratificanti. Il fatto di trarre la conclusione “è colpa tua se non sei così”, soprattutto in età evolutiva, quando si è più facilmente vittime della pressione sociale, è un rischio concreto. Ogni post, in questo senso, contribuisce ad alimentare il tempo trascorso su un social che sembrerebbe presentare delle criticità irrisolte, soprattutto per alcune fasce d’età.
Uno studio accurato del linguaggio e dello stile sarà utile a evitare che il problema si amplifichi anche attraverso i contenuti di chi cerca, invece, di fare buona comunicazione. Proprio per queste ragioni, credo che la brevità di Instagram imponga una riflessione in più sui contenuti. Una tra le più interessanti lezioni che ci ha lasciato la stagione della poesia ermetica è il fatto che, quando si punta all’essenza e si toglie tutto il superfluo, le parole che rimangono assumono un peso ancora più forte e proprio per questo andranno scelte con grande cura, per non banalizzare temi importanti. Talvolta sarà forse necessario rinunciare ad affrontare su questo mezzo qualche argomento che non si presta a essere compresso mantenendo buoni standard di comunicazione, oppure suddividere il discorso in più interventi nel corso del tempo, per evitare fraintendimenti. Altre volte si potrà pensare di affrontare le questioni più articolate per esempio nelle dirette. In ogni caso, credo che sia importante ricordarsi che l’attenzione all’utente e al suo benessere dovrebbe essere un requisito imprescindibile della buona comunicazione della scienza, su qualsiasi mezzo.