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Un ricordo di Edward O. Wilson

È morto all’età di 92 anni il biologo Edward O. Wilson, mirmecologo, ideatore della sociobiologia e della biogeografia delle isole, coniatore del termine biodiversità, autore di saggi divulgativi tradotti in tutto il mondo, esploratore e appassionato attivista per le cause ambientali.

Photo credits Ragesoss, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

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È morto all’età di 92 anni il biologo Edward O. Wilson, luminare, mente creativa e curiosa, capace di mettere a punto teorie rivoluzionarie per la biologia e al contempo di narrare con una prosa scorrevole e accattivante anche per il pubblico non specialista della materia.

Una mente fervida e mai avara del suo sapere, Wilson ha pubblicato oltre 30 libri, di cui una ventina sono stati tradotti in italiano. Il primo suo libro che è entrato a fare parte della mia libreria è stato proprio quello che gli è valso l’appellativo di “erede di Darwin”: Sociobiology the new synthesys, un tomone in inglese di quasi 600 pagine, destinato a un pubblico accademico, ma scritto con la caratteristica piacevolezza della prosa di Wilson. Il libro, edito dalla Harvard University press, è stato pubblicato per la prima volta nel 1975 e fu accolto in modo molto controverso dalla comunità scientifica del tempo. Nel libro debutta come nuova disciplina la sociobiologia: appassionato entomologo dedito allo studio delle formiche e della loro complessa organizzazione sociale, cercò di condensare in questa disciplina la genetica di popolazione, la teoria evolutiva e la descrizione delle società animali, umani inclusi. Fu proprio questo ultimo passaggio a costargli le severe critiche di sociologi ed ecologi, tra cui spicca il nome dell’illustre paleontologo Stephen J. Gould: venne infatti considerato impensabile all’epoca che le società umane potessero avere una base biologica e determinata dalla genetica. O meglio: secondo i detrattori della teoria affermare che le società umane hanno caratteristiche spiegabili geneticamente dà loro una predeterminazione che porta alla reazionaria accettazione di fenomeni da condannare come le dittature.

Sociobiology metteva per la prima volta sullo stesso piano le società degli insetti con quelle di uccelli e mammiferi, riconoscendo che i meccanismi che portano alla formazione delle società (definite come un gruppo di organismi della stessa specie organizzati in modo cooperativo) travalicano i confini tassonomici. La sociobiologia è basata infatti sul presupposto che alcuni comportamenti sono almeno in parte ereditati e sono quindi soggetti alle leggi della selezione naturale. Anche il comportamento è un adattamento all’ambiente quanto i tratti fenotipici, e come tale evolve, e i comportamenti che si riveleranno di successo nel tempo saranno quindi tramandati alle generazioni future, portando ad esempio alla formazione di complesse connessioni sociali. I comportamenti sociali (inclusi altruismo, strategia riproduttiva, meccanismi di dominanza) sono quindi uno dei modi di preservare e tramandare i propri geni nelle popolazioni successive.

Nell’edizione venticinquesimo anniversario del 2000 ospitata dai miei scaffali, Wilson torna nell’introduzione su quelle critiche, spiegandole come un errore ideologico ancora duro a morire: quello di voler segregare le branche della conoscenza in compartimenti stagni, voler dividere le scienze naturali, umane e sociali l’una dalle altre attraverso linguaggi e metodi di indagine distinti. Questa demarcazione “frammenta il paesaggio intellettuale” dichiara Wilson.

Questo suo cercare di passare al di sopra dei limiti interdisciplinari ricorre in tanti altri suoi scritti, incluso il famoso La diversità della vita, in cui il geniale entomologo ha coniato il termine ormai di uso comune biodiversità. In queste pagine Wilson scrive «ogni nazione ha tre patrimoni diversi: quello materiale, quello culturale e quello biologico» e paragona le foreste a cattedrali. Sul tema dell’importanza di non separare la natura dalla cultura, Wilson torna più e più volte nei suoi libri, in particolare in Biofilia, in cui, partendo dalla nostra innata attrazione verso le altre forme di vita, si fa promotore di una “etica della terra”, come «una trasformazione fondamentale, così che, per ragioni che hanno a che fare con la stessa fibra del nostro cervello, si considerino ovunque la fauna e la flora di un luogo come parte del patrimonio nazionale, altrettanto importanti della sua arte, della sua lingua e di quella stupefacente miscela di conquiste e di farse che da sempre contraddistingue la nostra specie». E ancora, ne Le origini della creatività, Wilson definisce la creatività carattere distintivo della nostra specie e ricerca innata dell’originalità, definita sulla base della risposta emotiva in grado di generare. E attraverso la sua disanima invita a una fusione dei saperi: come scrive Telmo Pievani nell’introduzione all’edizione italiana «scienza e umanesimo, oggi così separati, sono in realtà due rami dello stesso fiume».

Biologo di campo che ha viaggiato per il mondo, Wilson è stato tra i padri anche della biogeografia (lo studio della distribuzione geografica dei viventi): nel 1967 pubblicò insieme a R.H. MacArthur The Theory of Island Biogeography, caposaldo delle teorie moderne di ecologia e biologia della conservazione, secondo cui la ricchezza e la varietà delle specie nelle isole è legato alla loro distanza dalla terraferma e da un equilibrio tra immigrazione ed estinzione. Il gusto per l’esplorazione e la curiosità naturalistica emerge sicuramente dai suoi tanti scritti sulle formiche, oggetto privilegiato delle sue ricerche, ammirate per la grandissima capacità di adattamento e per la complessa organizzazione. Le colonie di formiche sono infatti un esempio classico di eusocialità, la forma più elevata di socialità, in cui i singoli perdono la connotazione di individuo e diventano parte di un superorganismo, che funziona alla perfezione attraverso la suddivisione di compiti dei suoi componenti.

Appassionato biologo della conservazione, amante dell’esplorazione, affascinato dalla complessità delle società animali e umane, Wilson è stato un attivista per le cause ambientali, non solo attraverso le sue ricerche e saggi, ma anche mediante il sostegno ad azioni quali la campagna per la conservazione delle foreste americane Save American Forest, e le spedizioni a supporto del Parco Nazionale di Gorongosa in Mozambico. Ha promosso la creazione del sito Encyclopedia of Life, un inventario online il cui scopo è quello di garantire a tutti la conoscenza del mondo naturale. Ha fondato la E. O. Wilson biodiversity foundation, una fondazione il cui obiettivo è proprio quello di favorire la conoscenza della natura attraverso la ricerca e la divulgazione.

Ho omesso in questo mio ricordo di Wilson l’incredibile quantità di premi e riconoscimenti per il suo lavoro, tra cui due premi Pulitzer per la saggistica e il Crafoord Prize https://www.crafoordprize.se/startsida , nominarli tutti sarebbe tediante perché sono davvero tantissimi (una lista si trova qui). È stato professore a Harvard, e alla Duke University. Ma è stato soprattutto uno stimolo per i biologi e naturalisti più giovani, con la passione e la ricchezza dei suoi spunti, con l'incoraggiamento ai giovani scienziati ad andare più a fondo che possono nelle loro ricerche (qui un ispirante discorso) e con il suo invito a un ragionamento di ampia visione, aperto allo scambio e alle più varie ispirazioni e non condizionato dalle etichette delle discipline. 

 

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