Immagine di Wendy/Flickr (CC BY-NC-ND 2.0).
L’ageusia, la perdita del gusto, era un argomento di nicchia nella ricerca biomedica fino a gennaio 2020. PubMed, il database curato dai National Institutes of Health statunitensi che raccoglie le pubblicazioni in ambito medico e biologico di tutta la comunità scientifica internazionale, ne contava circa 9 nel 2018 e 7 nel 2019. Lo scoppio della pandemia ha cambiato le cose e nel 2020 gli articoli riguardanti questa patologia sono stati 176. Lo stesso è accaduto per la quarantena, circa 700 pubblicazioni sul tema nel 2018 e 2019 e 3 500 nel 2020, o per le mascherine, 470 nel 2018, 684 nel 2019 e oltre 2 000 articoli nel 2020. Ma all’ascesa di ageusia, quarantena e mascherine, insieme ad altri argomenti di ricerca legati a Covid-19, è corrisposta una contrazione dell’attenzione dei ricercatori verso quelli non legati alla pandemia.
Tra il 2019 e il 2020 Il numero di pubblicazioni su temi non affini a Covid-19 è diminuito quasi del 10%, e la contrazione è ancora più marcata se si pesa il numero di pubblicazioni con l’impact factor delle riviste che le hanno ospitate: il 16%. Il numero di pubblicazioni fortemente affini a Covid-19 è invece aumentato più di 6 volte tra il 2019 e il 2020. Un impatto simile si vede anche sulle pubblicazioni legate a trial clinici e a finanziamenti di ricerca, un segnale, seppure indiretto, che la pandemia ha provocato la sospensione o il rallentamento degli studi clinici dedicati ad altre patologie e il dirottamento dei fondi.
Questo è il quadro che emerge da un’analisi quantitativa condotta da Massimo Riccaboni, professore di economia all’IMT di Lucca e Luca Verginer, ricercatore post-doc all’ETH di Zurigo, pubblicata la scorsa settimana sulla rivista PLOS ONE. I due scienziati hanno classificato gli oltre tre milioni e mezzo di articoli scientifici archiviati su PubMed tra il 2019 e il 2020 secondo la loro affinità con Covid-19, dividendoli in tre categorie: non collegati alla pandemia, mediamente collegati e altamente collegati. Per farlo hanno usato una serie di parole chiave chiamate MeSH (Medical Subject Headings) con cui vengono annotati gli articoli contenuti nel database, anche se con un certo ritardo rispetto alla data di pubblicazione. Per ovviare a questo ritardo gli autori hanno ottenuto da PubMed la lista completa delle parole chiave e hanno cercato ciascuna di esse nei titoli e negli abstract delle pubblicazioni più recenti che non erano ancora state annotate. Questa procedura ha dei margini di errore, perché normalmente i MeSH vengono attribuiti manualmente agli articoli e questo ne garantisce la maggiore affidabilità. Tuttavia, gli autori ritengono che la procedura sia sufficientemente accurata da produrre una classificazione accettabile degli articoli.
Tra le parole chiave che più spesso vengono citate insieme a Covid-19 ci sono coronavirus (55 256 articoli su PubMed nel 2020 e un’affinità del 99,9% - l’affinità è la probabilità che la parola chiave si trovi insieme alle parole chiave più esplicitamente riferite a Covid-19, come COVID-19 o SARS-CoV-2, betacoronavirus (36 909 articoli e 99,9% di affinità), SARS Virus (9 403 e 99,9% di affinità ), pneumonia viral (45 741 e 99% di affinità), disease outbreak (43 745 e 92% di affinità), quarantine (3 503 articoli e 78% di affinità), masks (2 018 articoli e 67% di affinità), Personal Protective Equipment (3 700 articoli e un’affinità dell’83%).
I ricercatori hanno osservato che i tassi di crescita del numero totale di pubblicazioni per i gruppi di articoli che contengono i termini più frequentemente associati a Covid-19 è cresciuto nel 2020 rispetto al 2019, mentre è rimasto stabile per il gruppo di pubblicazioni meno legate a Covid.
La stessa dinamica vale se si considera il numero di pubblicazioni pesate con l’impact factor a indicare che le riviste con maggiore impatto in ambito scientifico hanno dato ampio risalto alla ricerca sulla pandemia.
Riccaboni e Verginer hanno anche studiato alcuni sottogruppi delle pubblicazioni, in particolari di quelle liberamente accessibili dalla piattaforma PubMed Central che non richiede di pagare l’abbonamento alle riviste scientifiche con paywall, oppure quelle associate a uno studio clinico o a un finanziamento, osservando come l’affinità con Covid-19 ne ha influenzato la dinamica nel tempo. Questo è stato possibile grazie alla ricchezza del database PubMed che correda ciascuna pubblicazione di una serie di informazioni, i cosiddetti metadati, come il tipo di pubblicazione, il codice del grant o del trial, e così via.
Crescita percentuale tra il 2018 e il 2019 (a sinistra) e tra il 2019 e il 2020 (a destra) del numero di pubblicazioni pesate per impact factor in funzione dell'affinità delle parole chiave con la ricerca su Covid-19 (ogni punto rappresenta un gruppo di pubblicazione con una particolare parola chiave, MeSH). Immagine da M. Riccaboni, L. Verginer, "The impact of the COVID-19 pandemic on scientific research in the life sciences", PLOS ONE, 17, 1-16, 2022.
Per avere un’idea quantitativa dell’impatto della pandemia su tutte queste dimensioni della ricerca biomedica, i due autori hanno formulato un modello statistico che descrive l’andamento, mese dopo mese, del numero di pubblicazioni e delle altre. Il modello è formulato per permettere di discriminare l’impatto della pandemia sulle diverse categorie di articoli scientifici (non affini a Covid-19, mediamente affini a Covid-19, altamente affini a Covid-19) e anche di quantificare la differenza che esisteva tra queste categorie prima della pandemia.
Se le pubblicazioni non affini a Covid-19 si sono ridotte del 10%, quelle con affinità tra 20% e 80% sono cresciute del 20%, mentre quelle con affinità superiore all’80% sono aumentate di sei volte e mezzo. È interessante notare che prima della pandemia il volume di pubblicazioni su temi non affini a Covid-19 fosse cinque volte quello delle pubblicazioni fortemente affini a Covid-19.
La pandemia non sembra aver avuto un impatto negativo sulle pubblicazioni liberamente disponibili (senza paywall), non è cioè diminuito il numero di pubblicazioni liberamente accessibili legate a temi non affini a Covid-19, anzi è cresciuto del 5%. Tuttavia, l’aumento corrispondente nei settori fortemente affini a Covid-19 è stato di circa 6 volte.
Grave è invece l’impatto sulle pubblicazioni legate a studi clinici, che con l’arrivo della pandemia diminuisce del 25% circa per i temi non affini a Covid-19 e aumenta di un fattore per i temi a elevata affinità. «Il rallentamento della ricerca basata su studi clinici potrebbe avere gravi conseguenze per i pazienti affetti da malattie che mettono in pericolo di vita, ritardando l'accesso a trattamenti più efficaci», scrivono gli autori.
L’analisi sulle pubblicazioni legate a finanziamenti indica che sui temi meno affini a Covid-19 il volume diminuisce del 15%, più di quanto non accada per le pubblicazioni in generale. Questo suggerisce che la ricerca sui temi maggiormente affini Covid-19 abbia attirato una proporzione dei fondi maggiore di quanto non facesse prima della pandemia e, guardando alla data di attribuzione del finanziamento, si vede che molta ricerca sui temi legati a Covid-19 è stata finanziata con fondi ottenuti prima che la pandemia cominciasse.
I risultati di Riccaboni e Verginer possono informare gli interventi di politica della ricerca del prossimo futuro: «con la campagna di vaccinazione ormai in stadio molto avanzato, è urgente che la politica riequilibri il sostegno all'attività di ricerca che è stata messa in pausa a causa della pandemia, riorientando gli incentivi verso ricerca di base e le aree della ricerca biomedica altrimenti trascurate o temporaneamente abbandonate», sottolineano gli autori e concludono «se nei piani nazionali di ripresa non saranno inseriti strumenti per sostenere la ricerca trascurata dell'era Covid-19, si corre il rischio che in futuro resti insoddisfatta la richiesta di un cure mediche per un numero crescente di patologie, in particolare le malattie orfane e trascurate, che non appartengono alle aree di ricerca legate a Covid-19.»
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