fbpx Antibiotico-resistenza: la pandemia nascosta | Scienza in rete

Antibiotico-resistenza, la pandemia nascosta

L’antibiotico-resistenza è una delle sfide sanitarie principali e che più destano preoccupazione a livello globale; una “pandemia nascosta”, di cui quasi non si parla ma che secondo i dati causa centinaia di migliaia di morti ogni anno. La pandemia di Covid-19, inoltre, ha da una parte determinato una diminuzione delle prescrizioni, ma dall’altra ha portato un aumento dell’acquisto diretto, in particolare di antibiotici della classe dei macrolidi, fra cui soprattutto l’azitromicina.

Crediti immagine: Adam Nieścioruk/Unsplash

Tempo di lettura: 7 mins

Durante il mese di gennaio, alla ribalta di giornali e televisioni è arrivata la notizia che l’azitromicina, un antibiotico molto diffuso soprattutto per combattere le infezioni delle vie aeree, risultava ormai introvabile in moltissime farmacie. Un vero e proprio assalto a questo farmaco, dovuto all’ondata di Covid-19 che la variante Omicron ha abbattuto sull’Italia tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, con migliaia di nuovi casi ogni giorno.

Già all’inizio della pandemia era stata esplorata la possibilità che l’azitromicina potesse comportare dei benefici nei casi gravi di Covid-19, ma una nota dell’AIFA ne aveva smentito l’efficacia affermando che non c’erano abbastanza evidenze scientifiche per sostenerne l’uso. Nonostante tutto, anche a causa del diffondersi delle cosiddette “cure domiciliari precoci”, senza alcuna validità scientifica, l’aumento del consumo di questo antibiotico è continuato, fino ad arrivare a renderlo introvabile.

L’AIFA si è nuovamente espressa ribadendo che non esistono antibiotici efficaci per Covid-19 e ha invitato i medici a non prescrivere azitromicina o altri, e i farmacisti a non venderli senza prescrizione. Nel comunicato stampa si legge: «Utilizzare gli antibiotici con attenzione e prudenza deve essere un impegno e un dovere per tutti, dai professionisti sanitari alla popolazione generale, come principale arma di contrasto al problema della resistenza agli antibiotici che rappresenta, anch’essa oltre a Covid-19, una delle sfide principali a livello globale sia per la sanità che per l’ecosistema in generale».

Il problema dell’antibiotico-resistenza è, infatti, una delle sfide sanitarie principali e che più destano preoccupazione a livello globale; e il report sulla sorveglianza dell’ISS fornisce dati non positivi, in particolare per quanto riguarda la presenza di batteri resistenti nelle terapie intensive.

L’uso degli antibiotici in Italia

Dal Rapporto Nazionale OsMed, che monitora l’impiego dei medicinali in Italia, non emergono particolari miglioramenti nel consumo di antibiotici dal 2018 al 2019 (il rapporto è stato pubblicato nel 2020) e il nostro continua a essere uno dei paesi con il consumo più alto rispetto alla media europea insieme alla Grecia, sia in ambito umano che veterinario.

Questo porta a una maggiore prevalenza di batteri resistenti, in particolare in ambito ospedaliero, dove sono sempre più diffuse le infezioni causate da microrganismi multi-resistenti.

Secondo il report, 4 persone su 10 hanno ricevuto una prescrizione di antibiotici nel 2019, con un livello più elevato nei bambini sotto i 5 anni e negli anziani over 85. In particolare, emerge un aumento dell’uso di antibiotici in ambito ospedaliero, con una discrepanza regionale e fra nord e sud del paese.

È stato valutato anche come Covid-19 abbia influenzato la prescrizione e l’acquisto di antibiotici. Se da una parte si ha una diminuzione delle prescrizioni rispetto all’anno precedente (diminuito del 26,3%), dall’altro è aumentato l’acquisto diretto in particolare di antibiotici della classe dei macrolidi; fra questi, soprattutto l’azitromicina che ha visto un aumento di acquisto del 160%. Un dato che potrebbe spiegare come mai l’abbiamo vista letteralmente sparire dai banchi delle farmacie in questo inizio 2022.

Le implicazioni dell’antibiotico-resistenza

Nonostante qualcosa si stia muovendo anche in Italia, siamo ben lontani dalla diminuzione del 10% nell’uso di questi farmaci definito nell’ambito del Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico Resistenza (PNCAR). L’utilizzo smodato degli antibiotici negli ultimi 50 anni ha esercitato una pressione selettiva sui batteri, favorendo la selezione di sempre più ceppi resistenti e multi-resistenti. Nonostante questa sia una nozione ampiamente condivisa, ancora troppo poco si sta facendo per ridurre il fenomeno, in particolare su due fronti: un uso più coscienzioso tanto nella salute umana che in quella animale, e la ricerca di nuovi antibiotici.

Per quanto riguarda la diffusione degli antibiotici, modalità e quantitativi prescritti variano grandemente da paese a paese in Europa. Uno studio pubblicato su Lancet e concentrato sul consumo al di fuori degli ospedali traccia una panoramica del consumo di questo tipo di farmaci in Europa, con una diffusione maggiore nel centro e sud rispetto ai paesi del Nord Europa, differenze che si riflettono anche sulla maggiore o minore presenza di ceppi batterici resistenti. Anche una meta-analisi ha dimostrato l’associazione fra il livello di resistenza ad antibiotici nei batteri circolanti in comunità e il consumo di antibiotici in ambito non ospedaliero.

Tuttavia, il consumo di antibiotici è elevato al di fuori degli ospedali (rappresenta il 90% circa degli antibiotici prescritti), ma i dati sulla resistenza antibiotica derivano soprattutto da indagini condotte in ospedale, rendendo difficile fare un quadro completo della situazione.

Tutti questi dati hanno portato la comunità scientifica a definire l’antibiotico-resistenza come la “pandemia nascosta”, di cui quasi non si parla ma che secondo i dati causa centinaia di migliaia di morti ogni anno e che nell’immediato futuro potrebbe rivelarsi uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale. Secondo un recente studio pubblicato sul Lancet, nel quale gli autori hanno calcolato il numero di morti attribuibili alle infezioni da batteri resistenti (e non semplicemente le morti “associate”), infatti, nel 2019 la resistenza agli antibiotici ha causato 1,27 milioni di decessi. Il problema potrebbe, inoltre, rivelarsi non solo di tipo sanitario ma anche economico, con ingenti perdite di denaro e di forza lavoro che andrebbero a colpire soprattutto i paesi più poveri.

Cosa stiamo facendo per risolvere il problema?

Per sensibilizzare a un uso più consapevole degli antibiotici, sia da parte dei cittadini che degli operatori sanitari, l’OMS indice ogni anno la World Antimicrobial Awareness Week, che mira a raggiungere un pubblico più ampio possibile, compresi i decisori politici e gli operatori del settore agricolo e veterinario, iniziativa che viene ripresa in concomitanza anche in Europa e in Italia. Durante la pandemia, queste iniziative hanno mirato anche a contrastare l’errato utilizzo di antibiotici come farmaci contro Covid-19, ribadendo la loro inutilità contro questa infezione virale. Le soluzioni proposte, oltre a un uso consapevole, comprendono anche un migliore monitoraggio delle infezioni batteriche, con un implemento della prevenzione, il miglioramento delle condizioni igieniche soprattutto in campo veterinario, dove gli allevamenti intensivi sono un importante bacino di sviluppo di batteri resistenti, e la ricerca di alternative agli antibiotici o nuovi antibiotici. Affrontare la crescente minaccia della resistenza antimicrobica richiede un approccio olistico e multidisciplinare - indicato come One Health - che includa tutti i settori quali ospedali, comunità, animali da allevamento, rifiuti umani e animali, sistemi di acque reflue.

In particolare, gli studi si sono concentrati su nuove strategie farmacologiche come i fitoterapici, molti dei quali hanno note proprietà antimicrobiche in vitro, farmaci probiotici o lo sviluppo di nuovi vaccini efficaci contro le infezioni batteriche. Un approccio che ha preso molto piede negli ultimi anni è, infine, quello legato al possibile utilizzo di virus batteriofagi, capaci di infettare e uccidere il batterio. Per quanto promettente, però, grossi limiti di questo tipo di approccio sono dovuti alla grande selettività di questi virus nei confronti di determinati batteri, che li rendono perciò meno efficienti degli antibiotici che hanno invece la capacità di agire su un numero ampio di specie patogene.

È tuttavia importante non focalizzarsi su un unico fronte ma agire su tutti gli aspetti legati all’antibiotico-resistenza, da quello che è forse il più importante di tutti, l’uso consapevole degli antibiotici, per continuare con un attento monitoraggio dei ceppi resistenti e quindi l’avanzamento della ricerca di nuovi farmaci che possano rivelarsi valide alternative o efficaci coadiuvanti nella lotta alle infezioni batteriche.

 

Un invito ai lettori a compilare un questionario dell'Istituto nazionale Spallanzani 

Migliorare la comunicazione pubblica sull’uso degli antibiotici verso i cittadini e gli operatori sanitari è uno degli obiettivi del progetto Strategie di ricerca per implementare la stewardship antimicrobica, coordinato dall’Istituto nazionale Spallanzani e finanziato dal Ministero della Salute in accordo con le Regioni Lazio, Emilia-Romagna e Lombardia. Per farlo e conoscere meglio il pubblico di riferimento, il team di ricerca ha strutturato due questionari, uno rivolto al pubblico generale e l’altro agli operatori sanitari a livello territoriale e ospedaliero di queste regioni. Conoscere e coinvolgere questi target è fondamentale per favorire, anche grazie a strumenti di comunicazione, l’uso appropriato degli antibiotici, una sfida fondamentale in sanità. In particolare, i questionari affrontano la percezione, le conoscenze e le abitudini legate al consumo degli antibiotici e alla comunicazione su questo tema. È possibile partecipare alla ricerca compilando il questionario online, che richiede circa 5 minuti nel caso di pubblico generale e 10 per gli operatori sanitari. Tutti i dati raccolti saranno trattati in forma anonima e riportati in forma aggregata. Le informazioni di tipo socio-anagrafico che verranno richieste in apertura serviranno esclusivamente a leggere e interpretare in modo mirato i dati raccolti.
Per maggiori informazioni è possibile scrivere a [email protected]

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.