Il premio Nobel per la fisica 2022 è stato assegnato a John Clauser, Alain Aspect e Anton Zeilinger per i loro esperimenti con fotoni entangled che li hanno resi pionieri nel campo dell'informazione quantistica. Con tali esperimenti i tre scienziati hanno dimostrato la violazione della cosiddetta "disuguaglianza di Bell", formulata dal fisico inglese nel 1964 con l'obiettivo di testare la validità della meccanica quantistica. Nell'immagine John Bell al Cern nel giugno 1982. Bell morì all'età di 62 anni nel 1990. Immagine CERN (CC BY 4.0).
Ieri, l’Accademia Svedese delle Scienze ha assegnato a John Clauser, Alain Aspect e Anton Zeilinger il premio Nobel per la fisica 2022 per aver realizzato “esperimenti con fotoni entangled, dimostrando la violazione delle disuguaglianze di Bell e facendo da pionieri nel campo dell’informazione quantistica”.
«È un Nobel che aspettavamo», ha dichiarato Paola Verrucchi, ricercatrice presso l’Istituto di Sistemi Complessi del CNR a Firenze, «è il riconoscimento di un percorso culturale, non solo scientifico e tecnologico, che si è esteso per quasi un secolo e ha dimostrato la validità dei principi fondamentali della meccanica quantistica, aprendo la strada ad applicazioni straordinarie, come la crittografia e la computazione quantistica.»
Il percorso culturale a cui si riferisce Verrucchi ebbe inizio nel 1935, con un articolo pubblicato sulla rivista Physical Review Letters da Albert Einstein insieme a Boris Podolsky e Nathan Rosen, venti e trenta anni più giovani del fisico tedesco già insignito del premio Nobel nel 1921.
I tre scienziati proposero un esperimento mentale che coinvolgeva una coppia di particelle preparate in uno stato particolare, che venne successivamente chiamato entangled cioè aggrovigliato, e la cui esistenza era permessa solo dalla meccanica quantistica. Una volta che le due particelle venivano separate e portate a grande distanza, le misure simultanee di alcune loro proprietà contraddicevano uno dei principi della meccanica quantistica. La conclusione era quindi paradossale e indicava che la meccanica quantistica fosse una teoria incompleta, che mancasse cioè di descrivere alcuni aspetti della realtà.
Ciò che turbava particolarmente Einstein era l’idea che la misura effettuata su una particella potesse influenzare quella effettuata sull’altra particella senza che vi fosse scambio di informazioni tra i due sperimentatori che le effettuavano. In altre parole Einstein era convinto che una caratteristica fondamentale di ogni teoria fisica dovesse essere la località. Gli stati entangled mettevano in crisi questa convinzione. In una lettera inviata a Max Born nel 1947, Einstein scrisse: “Non posso crederci seriamente perché la teoria non è conciliabile con l'idea che la fisica debba rappresentare una realtà nel tempo e nello spazio, libera da spettrali interazioni a distanza”.
Per un certo tempo la discussione aperta da Einstein, Podolsky e Rosen, venne considerata di natura filosofica, “da discutere preferibilmente durante la pausa caffé”, ma nel 1964 il fisico John Bell formulò un teorema che ridiede dignità scientifica a questa contesa.
Partendo da una delle proposte di Einstein per risolvere il paradosso, cioè quella che esistessero variabili nascoste che spiegavano il “collegamento” che le particelle entangled conservavano anche quando separate da una distanza arbitrariamente grande, Bell mostrò che una particolare combinazione delle correlazioni tra gli esiti delle misure effettuate in maniera indipendente sulle due particelle entangled non poteva superare un certo valore limite. Al contrario, assumendo che la meccanica quantistica fosse una teoria completa, quel limite poteva essere superato.
Nel 1970, John Clauser arrivò all’Università di Berkeley per cominciare il suo primo post-doc, dopo aver completato il dottorato nell’ambito dell’astrofisica molecolare. Ma i suoi interessi si stavano spostando altrove, verso i fondamenti della meccanica quantistica. Raggiunse quindi un compromesso con il suo supervisore a Berkeley, Charles Townes: avrebbe lavorato metà tempo sulla radioastronomia e l’altra metà sui fondamenti della meccanica quantistica, sfruttando un esperimento che un giovane studente di Townes aveva lasciato nei laboratori di Berkeley.
Servirono più di due anni per riconfigurare l’esperimento affinché potesse essere usato per misurare le correlazioni considerate da Bell.
La sorgente di particelle entangled era un atomo di calcio i cui elettroni venivano eccitati tramite una sorgente luminosa e che nel processo di rilassamento emettevano coppie di fotoni entangled. Le proprietà che Clauser avrebbe misurato erano le polarizzazioni dei due fotoni.
Nel 1972, Clauser e l’allora dottorando Stuart Freedman, pubblicarono i loro risultati: la correlazione misurata violava “chiaramente” la disuguaglianza di Bell. In termini statistici, la probabilità che il valore misurato fosse compatibile con quello previsto da Bell nel caso esistessero le variabili nascoste, e quindi la meccanica quantistica fosse una teoria incompleta, era dello 0,000000197%.
La realizzazione sperimentale dello schema proposto da Bell non era unica e nel 1975 il fisico francese Alain Aspect, secondo vincitore del Nobel di quest’anno, affascinato dal lavoro di Bell, decise di mettere a punto con il suo gruppo all’Institut d'optique a Parigi una serie di esperimenti che riproducessero più fedelmente quello schema.
Prima migliorò le tecniche sperimentali per raggiungere una maggiore forza statistica. In un articolo del luglio 1982, la probabilità che la correlazione misurata fosse compatibile con quella prevista dall’esistenza delle variabili nascoste scese a 1.5265*10^-23 (in altre parole, questo significa che se la teoria delle variabili nascoste fosse stata vera, Aspect e collaboratori avrebbero osservato un esito dell’esperimento che accade sette volte ogni diecimila miliardi di miliardi di ripetizioni).
Sei mesi più tardi Aspect descrisse i risultati di un esperimento ancora più raffinato, che affrontava il tema della località. Una delle ipotesi di Bell era che le misure effettuate sulle due particelle fossero “veramente” indipendenti. Per garantire questa indipendenza nel suo esperimento, Aspect aveva messo a punto un sofisticato sistema che cambiava in modo casuale la direzione in cui veniva misurata la polarizzazione dei fotoni dopo che questi erano partiti dalla sorgente comune e prima che raggiungessero i rivelatori. Il sistema era sofisticato perché riusciva a cambiare la direzione in cui veniva misurata la polarizzazione dei fotoni in un tempo estremamente breve. Considerando che i rivelatori erano posti a circa sei metri dalla sorgente e che i fotoni viaggiano alla velocità della luce, il tempo a disposizione era di circa 20 miliardesimi di secondo.
L’esperimento non era ancora “perfetto”, perché la distanza tra la sorgente di fotoni entangled e gli strumenti per misurare la polarizzazione dei fotoni era ancora troppo breve per assicurare che non ci potesse essere trasmissione di informazione. Ci vollero più di 15 anni per chiudere anche questa falla. Nel 1998 Anton Zeilinger, il terzo vincitore del Nobel di quest’anno, dimostrò che la disuguaglianza di Bell veniva violata anche misurando la polarizzazione dei due fotoni con strumenti distanti 400 metri l’uno dall’altro.
Negli oltre vent’anni trascorsi da allora, le proprietà degli stati quantistici entangled sono diventati la base di una serie di applicazioni tecnologiche nell’ambito dell’informazione quantistica. Ne citiamo due, ma sono molte di più.
La prima che citiamo è la possibilità di costruire ripetitori quantistici. Si tratta di dispositivi essenziali per realizzare una rete internet quantistica su fibra ottica. Il funzionamento dei ripetitori quantistici è basato sulla possibilità di realizzare il cosiddetto “teletrasporto quantistico”, ovvero trasportare istantaneamente uno stato quantistico a distanza arbitrariamente lontana a patto che la copia originale di tale stato sia distrutta. Al centro del teletrasporto quantistico c’è ancora l’entanglement e l’informazione viene teletrasportata da un punto all’altro tramite una procedura chiamata “entanglement swapping”.
Questo processo venne realizzato sperimentalmente per la prima volta nel 1998 indipendentemente da due gruppi, uno guidato da Francesco De Martini alla Sapienza di Roma e l’altro da Zeilinger che aveva proposto per primo la procedura nel 1993 insieme a Marek Zukowski, Micheal Horne e Artur Ekert.
La seconda applicazione che citiamo, forse la più importante, è la crittografia quantistica. Quando due interlocutori si scambiano una chiave quantistica per proteggere la loro comunicazione stanno condividendo uno stato entangled e l’intrusione di un terzo agente malevolo interessato a rubare la chiave viene segnalata da una variazione delle correlazioni introdotte da Bell. L’idea di usare le disuguaglianze di Bell per testare la sicurezza dei protocolli di crittografia quantistica venne proposta da Artur Ekert nel 1991.
La questione aperta nel 1935 da Einstein, Podolsky e Rosen si potrà ritenere chiusa definitivamente nel 2015, quando un gruppo di ricercatori della Delft University of Technology pubblica su Nature il cosiddetto loophole-free Bell test. «Ci sono voluti ottant’anni per dimostrare la violazione della disuguaglianza di Bell oltre ogni ragionevole, e irragionevole, dubbio», commenta con una punta di ironia Fabio Sciarrino, che dirige il Quantum Lab alla Sapienza di Roma. «Il percorso culturale è strettamente collegato a quello sperimentale», prosegue, «siamo arrivati a tradurre in termini pratici il concetto di “libertà di scelta”, e questo ha portato necessariamente a una riflessione logica e filosofica».
Sciarrino si riferisce a due lavori pubblicati nel 2018 che hanno provato a chiudere un’altra falla nei test di Bell realizzati fino a quel momento, che viene chiamata la falla della “libertà di scelta”.
Nel suo esperimento del 1982, Aspect aveva usato generatori di numeri random per stabilire in quale direzione misurare la polarizzazione dei fotoni proprio per rendere le due misure il più possibile indipendenti. Ma alcuni scienziati avevano storto il naso. Anche se le sequenze di numeri generate sembravano davvero casuali, non si poteva escludere che ci fosse un “passato comune” tra i due generatori che in qualche modo correlasse il loro comportamento.
Per chiudere questa falla, Zeilinger e i suoi collaboratori usarono i segnali emessi da stelle distanti tra loro, e quindi probabilmente senza passato comune, per stabilire quali polarizzazioni misurare. L’esperimento venne chiamato “Cosmic Bell Test”. Pochi mesi dopo su Nature vennero invece pubblicati i risultati della Big Bell Test Collaboration, che ha usato le decisioni indipendenti di oltre centomila partecipanti per pilotare le misurazioni sperimentali.