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La musica nel cervello: scienza, non magia

Percezione e creazione musicale di Alice Mado Proverbio racconta con aneddoti, spiegazioni e analisi approfondite tutto quello che accade nel nostro cervello quando interagisce con la musica. Avviso per i musicisti (e non solo): la musica non è un fenomeno magico, bensì un oggetto indagabile con i metodi della scienza, il che lo rende ancora più interessante.

Immagine: rielaborazione da Unplashed.

Tempo di lettura: 7 mins

Se volete approfondire i curiosi fenomeni di cosa accade quando la musica entra nel nostro cervello, il libro Percezione e creazione musicale (Zanichelli, 2022, 29,50€, 210 pagine) di Alice Mado Proverbio, neuroscienziata all'Università Milano-Bicocca può fare per voi. Si tratta di un manuale di approfondimento di vari aspetti neuroscientifici in campo musicale, che può essere letto con vari gradi di profondità, da un livello di facile comprensione, se non addirittura aneddotico, sino alla lettura di grafici e immagini (di cui è ricco) ottenute con le varie tecniche di misura dell’attività cerebrale.

Il libro esplora moltissimi aspetti neuroscientifici interessanti, come la specializzazione emisferica nell’elaborazione della musica. L’abilità musicale «eccezionale», per esempio, è associata a un aumento del volume della corteccia dell’emisfero sinistro. In generale, l’emisfero destro è più olistico rispetto al sinistro (come noto): si occupa per esempio di discriminare il tipo di accordi, considerandoli oggetti unitari e non una sovrapposizione di singole note. Nei musicisti, saper riconoscere le singole note di un accordo, e nel complesso analizzare maggiormente il contenuto musicale, è correlato per l’appunto a un maggior utilizzo dell’emisfero sinistro rispetto ai non musicisti.

Il ruolo dell’emisfero sinistro, come si legge nel libro, entra in gioco in modo simile a quanto accade per il linguaggio parlato, in particolare nella comprensione sintattica della musica (o dei testi). I musicisti sanno riconoscere se una semplice successione di accordi rispetta le regole armoniche standard (del cosiddetto “sistema tonale”) oppure se le viola. È stato visto, attraverso la registrazione dei «potenziali correlati a eventi» (ERP), come nei musicisti la risposta detta “P600 sintattica” (a 600 millisecondi dal segnale in input) fosse tanto più ampia quanto più “sbagliato” fosse l’accordo finale di una determinata sequenza. Esiste quindi una relazione tra le regole dell’armonia – consolidatesi nel corso degli ultimi 250 anni – e i segnali elettrici prodotti nel cervello.

Nota: la registrazione dell’ERP (event-related potential, potenziale correlato a eventi) avviene tramite una media di segnali ottenuti con l’elettroencefalografia o elettroencefalogramma (EEG) in risposta a un determinato input visivo, tattile, uditivo, elettrico, una volta eliminato il rumore di fondo. È uno strumento che permette di seguire l’attività del cervello in tempo reale e si presenta come una serie di picchi positivi o negativi, dopo vari millisecondi dallo stimolo.

Un altro tema trattato è quello dell’immaginazione musicale, in varie forme, ovvero la capacità del cervello di crearsi immagini corrispondenti a certi stimoli musicali, anche senza una particolare formazione musicale. In uno studio del 2019, leggendo il pentagramma o ascoltando il suono corrispondente, dei pianisti presentavano un «output corticospinale verso la muscolatura della mano [che] aumentava progressivamente insieme alle richieste di estensione della stessa, come se […] eseguissero realmente il movimento immaginato».
Sulla stessa scia rientra il fenomeno del “tarlo nell’orecchio”. Chi ha visto il film di animazione Inside Out ricorderà come il cervello di tanto in tanto faceva risuonare nella testa della protagonista un motivetto completamente fuori contesto, memorizzato da piccola. Esperienza che tutti noi proviamo per esempio con i motivetti degli spot pubblicitari. Riguarda l’immaginazione cosiddetta involontaria. Anche di questo si parla nel libro di Proverbio. E molto nota ai musicisti è la pratica del “ripasso silenzioso” (eseguita per esempio prima di una lezione, un esame o un concerto). Il cervello in questo caso si avvale dell’immaginazione cinestetica, motoria ed emotiva, della visualizzazione dello spartito senza averlo davanti e anche della “udi-zione”, «che consiste nel sentire la musica internamente in assenza di suono reale, come fosse un’allucinazione».

Sono moltissime le curiosità di cui si parla nel libro, alcune note da tempo e altre scoperte più di recente. Perché per esempio tutti sanno riconoscere una musica triste? Sembrerebbe che gli elementi caratterizzanti di un brano triste, come gli accordi minori, siano sovrapponibili in parte a quelli della prosodia (il ritmo, l’accentazione e l’intonazione del linguaggio parlato, che va oltre la grammatica) del discorso triste. È stato proposto «che la musica potrebbe coinvolgere circuiti neuronali dedicati all’elaborazione di vocalizzazioni emotive biologicamente rilevanti». Questa stretta relazione con la regolazione delle proprie emozioni è infatti emersa anche nelle testimonianze raccolte di quattro musicisti italiani e riportate nel libro: Giovanni Sollima (noto violoncellista), Luca Santaniello (primo violino dell’Orchestra Sinfonica di Milano), Fulvio Liviabella (tra i violini primi della Filarmonica della Scala) e Mariangela Vacatello (pianista del Conservatorio F. Morlacchi).

Dopo aver parlato del fastidioso disturbo della distonia (Camilla Fiz ne ha già scritto su Scienza in rete), viene affrontato il tema degli effetti terapeutici della musica. Innanzitutto, ascoltare un brano con un certo ritmo spinge il paziente a sincronizzare la frequenza dell’elettroencefalogramma con quella del suono ascoltato. Un altro effetto rilevante che la musica ha sul nostro corpo è la correlazione tra brani caratterizzati da sonorità «violente e dissonanti» e aumento della pressione sanguigna diastolica.

Analogamente, musica rilassante, calma o anche familiare, «è ampiamente dimostrato […] possa alleviare il dolore oncologico, oppure ridurre l’intensità del dolore e la pressione sanguigna sistolica nei pazienti durante il recupero postoperatorio, nonché ridurre i livelli di stress e la frequenza cardiaca nei pazienti con malattia coronarica e cancro». E la musica aiuta anche a ridurre i livelli di stress nei pazienti con sclerosi multipla. Scrive Proverbio che «il potere terapeutico della musica dipende dal fatto che va a stimolare regioni uditive ed emotive che normalmente elaborano la voce umana e le sue sfumature emotive […], il che si traduce in un’azione consolatoria e curativa», fungendo da analgesico: è stato dimostrato che l’ascolto musicale «stimola i centri del rinforzo […] e del piacere».

Non finisce qui: praticare il canto in pazienti malati di Parkinson e sclerosi multipla, fornisce un aiuto alle cure mediche nel potenziare e curare il sistema cardiovascolare e polmonare, andando a stimolare la muscolatura associata alla respirazione (si veda questo noto video). Sembrerebbe poi che l’ascolto prolungato della musica aumenti la longevità delle persone.

Continuando sul filone sanitario, il libro parla anche della grave patologia che afflisse Beethoven progressivamente nella sua vita e che tutti conoscono: la sordità. Nel capitolo dedicato, si illustra come probabilmente il compositore «soffrisse di avvelenamento al piombo cronico», ipotesi sostenuta sia dagli alti livelli di piombo trovati nelle ossa in profondità, sia dal «rattrappimento dei nervi cocleari» coerente con un «contatto prolungato con metalli pesanti come il piombo». Non fu la sifilide quindi, ma piuttosto l’abitudine di bere «vino ungherese di bassa qualità, che veniva tipicamente addizionato di piombo (pratica illegale ma comune all’epoca) per migliorarne l’aroma e il sapore». Probabilmente, il carattere poi sviluppato da Beethoven in seguito alla sua patologia contribuì a creare confusione nella mente dell’autore al punto di non sapere individuare il modo corretto di leggere il metronomo, e cioè se leggere il numero subito sotto alla tacca o subito sopra. Non è di poco conto, perché, come sanno molti interpreti, i tempi di metronomo indicati in partitura da Beethoven risultano spesso troppo veloci: non è colpa quindi solo del “rallentamento” interpretativo del periodo romantico e post-wagneriano (successivo a Beethoven).

A chiudere il libro, quasi in modo macabro, è presente un capitolo con in principali dati clinici e neuropatologici di alcuni grandi compositori della storia, estratti dai più aggiornati reperti anatomici degli autori. Sappiamo, per esempio, che Vivaldi soffriva di cardiopatia (anche se forse a volte fingeva, per scappare da situazioni inopportune); Bach era molto miope, diabetico e forse arteriosclerotico; Mozart aveva un’insufficienza renale (ma non soffriva di sindrome di Tourette, probabilmente); Chopin ne aveva più di tutti: enfisema, fibrosi cistica, bronchiectasie, tubercolosi, cirrosi epatica, insufficienza pancreatica e parecchie altre. Ma anche Haydn, Rachmaninov, Gershwin. Oltre a farci riflettere su quanto sia evoluta la medicina oggi rispetto anche solo ai primi anni del ‘900, queste patologie non sono trascurabili nella storia dei musicisti, perché, responsabili di inevitabili ricadute psicologiche, potrebbero aver interferito sensibilmente con la creatività degli autori citati.

Volendo estrarre una morale, rivolta in particolare ai musicisti, ma non solo: è bene considerare la musica non come un fenomeno spirituale o addirittura magico (come spesso si tende a credere, tramite aneddoti e racconti su certi musicisti e certe interpretazioni), ma come un fenomeno umano indagabile con i metodi della scienza. Non è l’autrice a dirlo, ma Roberto Prosseda, noto pianista e concertista, che del libro ha scritto la presentazione iniziale.

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