fbpx Breve guida per evitare guai con gli orsi

Breve guida per evitare guai con gli orsi

Foto di un orso

Nell'ultimo mese, in seguito al tragico incidente avvenuto in Val di Sole,  gli orsi sono diventati protagonisti di un acceso dibattito, in cui il sensazionalismo e l'infodemia l'hanno fatta da padrone. Coesistere con i grandi carnivori, soprattutto in luoghi dove la presenza umana è diffusa, non è semplice. Una corretta informazione però può aiutare a conoscere il nostro vicino, qualunque sia la nostra opinione nei suoi riguardi. Ne parliamo con quattro tra i principali esperti di orso nel mondo

Crediti foto: Zdenek Machacek su Unsplash

Tempo di lettura: 11 mins

Amore o odio, fascinazione o spavento: l'orso suscita reazioni forti, mai neutrali. Tanti racconti lo ritraggono come una belva spaventosa e sanguinaria, eppure l’orso ci fa compagnia nel letto da bambini sotto forma di morbido peluche. La sua andatura lo rende apparentemente goffo, è grande e grosso, ma ha forme arrotondate, è, come noi, un plantigrado e può sollevarsi in piedi, è intelligente ed ingegnoso, e queste sue caratteristiche suscitano simpatia e ilarità. E poi, la femmina con i suoi cuccioli è nell’immaginario comune la “Mamma” per eccellenza, protettiva e paziente.

Ma chi è veramente l’orso? Una bestia feroce o un paffuto e simpatico animaletto? Nessuna di queste due cose, naturalmente. Come altri animali che popolano da sempre l’immaginario umano, gli stereotipi e le credenze del passato gli sono rimaste cucite addosso, ma è necessario conoscere l’animale reale per coesistere con la sua presenza.

Il più grande carnivoro europeo in realtà è un onnivoro, che varia la sua dieta a seconda delle stagioni, e che mangia per la gran parte del  tempo: accumulare il grasso gli serve per superare l’inverno che trascorre all’interno di una tana in ibernazione, un sonno molto profondo, durante il quale tutte le funzioni fisiologiche diminuiscono drasticamente. Al sicuro della tana nascono i cuccioli, ciechi, quasi privi di pelo e pesanti poche centinaia di grammi, che approfittano dell’inverno per metter su peso grazie al nutriente latte materno. Per il primo anno di vita i piccoli seguono la madre in tutti gli spostamenti. Si separano dopo un secondo inverno passato in tana insieme, a un’età che varia tra i 15 e i 18 mesi di età. Fatta eccezione per la femmina e i suoi piccoli (e per il periodo degli accoppiamenti), gli orsi non sono animali socievoli, anzi. Le famose grattatine di schiena contro gli alberi, coi piedi che sembrano battere un ritmo di danza, sono in realtà un modo di lasciare un segnale olfattivo, grazie a ghiandole presenti sulla schiena e sulle piante dei piedi. Gli orsi si lasciano così, a distanza, segnali che indicano agli altri esattamente chi e quando è passato di li. Evitarsi conviene, perché gli incontri possono diventare scontri, anche violenti, specie per una famiglia: un maschio può uccidere i cuccioli di cui non è padre, per indurre il calore nella femmina.

Mantenere le distanze

Insomma, evitare incontri potenzialmente sgradevoli è una delle principali preoccupazioni dell’orso, e come per la maggior parte degli animali, le persone non sono affatto un incontro piacevole. «Gli orsi bruni che vivono in paesaggi antropizzati fanno del loro meglio per evitare noi, gli esseri umani. Ci evitano a ogni scala spaziale e temporale che abbiamo studiato» spiega Andrés Ordiz, docente di Biologia della conservazione e gestione della fauna presso l’università di León, che per molti anni ha studiato gli orsi in Svezia. «A livello di paesaggio, fanno del loro meglio per evitare gli insediamenti e le infrastrutture umane. Su scala più fine, sfruttano le macchie di vegetazione più densa per poter utilizzare le aree più vicine alle persone. Su scala temporale, sono prevalentemente crepuscolari e notturni dove la densità umana o stradale è più elevata. Dopo un incontro con le persone nella foresta diventano più notturni, e possono mantenere questo comportamento per diversi giorni dopo l'incontro ravvicinato. In certe stagioni, alcuni orsi (soprattutto le femmine con i cuccioli) possono rimanere più vicini agli insediamenti umani per evitare altri orsi, che possono essere pericolosi per i loro cuccioli. Occasionalmente, gli orsi possono anche frequentare zone vicino alle abitazioni umane se ci sono alberi da frutto, ad esempio, in periodi in cui il cibo scarseggia in altre aree. In generale, però, fanno del loro meglio per evitarci». Questo è vero anche alle nostre latitudini, infatti, gli orsi tendono a evitare le zone maggiormente frequentate dalle persone (su Scienza in Rete ne abbiamo parlato qui) e si tengono alla larga dai sentieri più battuti.

Una storia di persecuzioni

Può sorprendere che un animale che può pesare anche tre quintali abbia timore di incontrarci, ma in fin dei conti, la sua è una storia di persecuzione. Un tempo distribuito in tutta Europa, l’orso bruno è scomparso con l’aumento della popolazione umana, a causa della perdita di habitat idoneo e perché in gran parte d’Europa l’uccisione dell’orso era incoraggiata e ripagata con taglie messe a disposizione dalle autorità locali. Oggi, in Europa, l’orso è protetto dalla Direttiva Habitat, anche se in alcuni Paesi, come Svezia, Finlandia, Romania, Croazia e Slovenia il prelievo venatorio è consentito. Nella maggior parte delle popolazioni, incluse quelle piccole e strettamente protette, la mortalità per causa antropica, sia essa accidentale o volontaria, è comunque una percentuale elevata.

«L’orso bruno è uno dei mammiferi terrestri più ampiamente distribuiti al mondo e non è in calo significativo a livello globale, per questo motivo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) lo classifica come a minor rischio di estinzione. La lista rossa, che elenca 44 popolazioni, considera comunque differenti livelli di minaccia per popolazioni locali piccole ed isolate che, quindi, necessitano di una particolare attenzione a livello di conservazione» spiega Vincenzo Penteriani, ricercatore presso il Consiglio Superiore Spagnolo Per la ricerca scientifica, membro del gruppo di ricerca sull’orso cantabrico e del gruppo specialistico IUCN sull’orso. Tra queste piccole popolazioni ci sono le due italiane, che vivono rispettivamente nell’Appennino centrale e sulle Alpi centro-orientali.

In particolare, l’orso marsicano, è una sottospecie endemica dell'Appennino in “pericolo critico” di estinzione: la popolazione stimata è di circa 50 animali. Il nucleo centrale della popolazione coincide con il territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (istituito nel 1923 proprio per la sua tutela), anche se negli ultimi decenni c’è una costante, seppur lenta, espansione nelle zone confinanti.

Invece, la popolazione alpina è frutto di un progetto di reintroduzione (progetto europeo Life Ursus, conclusosi nel 2004) nel corso del quale sono stati liberati nel Parco naturale dell’Adamello Brenta dieci orsi provenienti dalla popolazione slovena. Alla fine degli anni Novanta, sull’intero arco alpino restavano solo tre individui nelle montagne del Brenta, e l’intervento aveva lo scopo di scongiurare l’estinzione. La reintroduzione fu preceduta da un dettagliato studio della fattibilità di tale intervento, non solo dal punto di vista ecologico, ma anche socio-economico. Una reintroduzione ha successo se la popolazione può persistere nel lungo termine, e per questo scopo si stimava la necessità di arrivare ad almeno 40-50 individui, obiettivo raggiunto se si considera che il numero di orsi stimati nel 2021, è di circa 78 esemplari.

Se dal punto di vista ecologico l’ambiente è risultato ottimale, più complessa è la questione dell’accettazione sociale. Prima della reintroduzione, venne svolto un sondaggio Doxa, che indicava che gli abitanti erano in maggioranza favorevoli a questo ritorno, poi però negli anni questo atteggiamento è cambiato. L’orso è una di quelle specie che entra facilmente in conflitto con gli umani, sia per i danni alle attività economiche, che per via del rischio di aggressioni, spesso temuto, a volte reale. Un tema più che mai attuale, dopo il drammatico incidente avvenuto in Val di Sole lo scorso aprile, in cui un giovane, Andrea Papi, è rimasto ucciso a causa di un attacco di un’orsa. L’evento ha scatenato un dibattito mediatico e politico molto acceso. Il sensazionalismo e le "verità" urlate, come spesso capita, l’hanno fatta da padrone, contribuendo ad alzare la tensione e il livello di conflitto, e creando un panico diffuso.

Qual è il rischio?

«L'aumento generalizzato della popolazione umana, soprattutto in zone occupate da grandi carnivori, unito al recente incremento di alcune popolazioni di grandi predatori, può aumentare la possibilità degli incontri e, di conseguenza, il rischio di un attacco, anche se stiamo parlando di eventi estremamente rari» spiega Penteriani. Secondo un recente studio tra il 2000 e il 2015, nell’intera Europa, i casi di attacco da parte dell’orso documentati sono 291, di cui il 6% con esito fatale. Quasi la metà dei casi si è verificata in Romania, che ospita una delle più grandi popolazioni di orso in Europa. «È di fondamentale importanza evitare le aree frequentate da femmine con i piccoli, per evitare possibili reazioni difensive da parte dell'orsa che vede nell'uomo una minaccia per i cuccioli» spiega Penteriani. Il 47% degli incidenti avvenuti in Europa coinvolgono proprio l’incontro con un gruppo familiare. In media, nell’intera Europa, sono una decina all’anno gli incidenti con gli orsi, con un aumento nell’ultimo periodo.

«Gli incontri e gli eventuali attacchi sono il più delle volte il risultato di un incontro improvviso che sorprende l'orso senza possibilità di fuga. Nel complesso, gli orsi fanno del loro meglio per evitarci, il che ovviamente non preclude che a volte si verifichino interazioni aggressive» commenta Andrés Ordiz. «In Scandinavia gli orsi non possono essere considerati pericolosi. In uno studio sperimentale abbiamo avvicinato gli orsi con radiocollare più di 500 volte e nessuno ha mai mostrato una reazione aggressiva. Abbiamo analizzato gli oltre 40 attacchi avvenuti in Svezia tra il 1977 e il 2016, la maggior parte ha coinvolto cacciatori che hanno sparato all'orso a distanza molto ravvicinata, in genere con cani coinvolti nell'evento».

«In Slovenia, nell’ultima decade, sembra che il numero di attacchi di orsi in cui le persone restano ferite sia in aumento, anche se è vero che per i periodi precedenti probabilmente non abbiamo una documentazione così buona come quella attuale» racconta Miha Krofel professore all’Università di Lubiana, dove dirige il gruppo di ricerca sui grandi carnivori. «Attualmente si registrano circa 2-3 attacchi di questo tipo all'anno. La maggior parte delle persone che vive in zone in cui è presente l’orso mantiene comunque un’attitudine positiva verso questo animale. Per quanto riguarda la gestione degli animali problematici, abbiamo un protocollo che indica le risposte da attuare, da “fare nulla e monitorare” a “abbattimento immediato dell’animale problematico”, in relazione alle circostanze e alla gravità del problema».

Protocolli simili sono stati sviluppati anche in Italia: per la popolazione alpina il riferimento è il Piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno nelle Alpi centro-orientali (PACOBACE), mentre in Appennino c'è il protocollo operativo per la prevenzione e gestione degli orsi confidenti e problematici. Entrambi forniscono indicazioni per la prevenzione dell'insorgenza di comportamenti problematici e per le azioni da intraprendere a seconda di come si comporta l'orso, dal semplice monitoraggio ad azioni energiche quali la rimozione dell'animale dalla popolazione (abbattuto o messo in cattività in modo permanente).

Il rischio del fattore sorpresa

«È importante tenere a mente che gli orsi, se ne hanno la possibilità, si allontanano in modo da evitare le persone. Per questo motivo, l'interazione più comune tra umani e orso bruno è un incontro a sorpresa» racconta Tom Smith, professore di ecologia della fauna all’ Università di Provo, in Utah, e uno dei massimi esperti di orsi a livello mondiale. «Gli orsi, come gli esseri umani e molti altri animali, se sorpresi a distanza ravvicinata, reagiscono di riflesso per allontanare la minaccia percepita, anche se la persona non ha alcuna intenzione di far loro del male. Per evitare di scatenare un attacco di questo tipo, dobbiamo segnalare la nostra presenza nell'ambiente in modo che gli orsi non siano sorpresi».

« Circa il 50% degli attacchi registrati, come dimostra un nostro studio, avrebbe potuto essere scongiurato se, in aree frequentate da grandi carnivori, le vittime degli attacchi avessero preso maggiori precauzioni come, per esempio, effettuare attività ludiche o sportive in compagnia e mai da soli (attacchi a gruppi di tre persone sono rarissimi) ed evitare le ore prossime ad alcuni dei picchi di attività dei grandi carnivori, come possono essere l'alba ed il tramonto» spiega Penteriani.

«La cosa più semplice è fare escursioni in compagnia, conversando, segnalando così la nostra presenza. Poi la situazione varia a seconda del contesto. In un'area aperta, dove la visibilità è buona, non c'è bisogno di fare rumore, ma quando ci si avvicina a zone cespugliose o in cui la visibilità è scarsa, è consigliato battere le mani, dire a voce alta "hei bear!" (o qualsiasi altra cosa) per fare sentire la propria voce a distanza. Andare in mountain bike o correre in una zona di presenza dell’orso sono tra le attività più a rischio: le persone si spostano velocemente, di solito non fanno molto rumore, sono da sole e raramente portano con sé deterrenti come lo spray» racconta Tom Smith, che nelle sue ricerche ha studiato le cause degli attacchi e i metodi di prevenzione degli stessi, in particolare l’utilizzo del “bear spray” (che non è legale in Italia), che secondo gli studi di Smith ha una altissima efficacia per tutte le specie di orso presenti in nord America, ed è relativamente facile da usare, anche se è raccomandabile seguire degli appositi corsi, alcuni sono disponibili anche online.

La conoscenza aiuta la sicurezza

Tutti gli esperti concordano su un punto: l’informazione corretta è parte delle misure di prevenzione più importanti degli incidenti. «L'unica forma per ridurre la possibilità di un attacco è informare in maniera dettagliata e capillare tanto le persone che vivono in zone abitate da grandi carnivori, quanto quelle che vi si recano per svolgervi attività ludiche e sportive, sulle norme appropriate da seguire per evitare incontri a rischio» afferma Vincenzo Penteriani. In Slovenia, spiega Miha Krofel «l'educazione del pubblico al comportamento corretto da adottare nell'habitat dell'orso è fatta attraverso i media e la comunicazione mirata a gruppi come campeggiatori, escursionisti, agricoltori e pubblico generico. Le aree con presenza di orsi su sentieri e strade regolarmente frequentate sono per la maggior parte segnalate con cartelli».

Ovviamente da sola, la comunicazione non basta, ma per coesistere con l’orso esistono altre azioni da mettere in campo. Per esempio è importante mantenere gli orsi selvatici e non fare loro associare la presenza umana al cibo, o peggio far loro perdere la naturale diffidenza verso le persone (un altro grande capitolo di come affrontare la coesistenza con gli animali selvatici!) e quindi è importante usare metodi di prevenzione, cassonetti a prova di orso ed evitare in ogni caso di lasciare cibo accessibile ai selvatici nei pressi delle abitazioni. Anche questo però richiede un contributo dei singoli, oltre ad interventi delle amministrazioni.

«Poiché non possiamo educare gli orsi, dobbiamo educare le persone» dichiara Smith. «Sta a noi comportarci correttamente nel territorio degli orsi e, se lo facciamo, possiamo ridurre al minimo gli incidenti, anche se è impossibile azzerare il rischio. L'educazione ci aiuta a capire perché gli orsi sono presenti nel territorio, come reagiscono all'uomo e come dobbiamo comportarci se ci troviamo in loro prossimità. L'educazione è la chiave per stare al sicuro nelle terre degli orsi e contribuirà in modo decisivo a una convivenza sicura con loro».

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Crediti immagine: modificata da Kai Oesterreich/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 3.0

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