fbpx A Milano, una megasinergia per la nanomedicina | Scienza in rete

A Milano, una megasinergia per la nanomedicina

Tempo di lettura: 4 mins

A dirigere il programma di ricerca neurologica del nuovo Centro europeo di nanomedicina (CEN) presso il Campus IFOM-IEO di Milano sarà un ingegnere. E non è l’unico aspetto inconsueto di questa vicenda. Di curioso, per la realtà italiana, c’è anche che Francesco Stellacci abbia solo 37 anni e quindi, a un’età in cui i suoi colleghi si dibattono tra borse di studi e contratti a progetto, torni in Europa rinunciando alla conferma a vita come docente del Massachussetts Institute of Technology di Boston, dove lavora da più di dieci anni.

Ma forse ancora più strano è che in Italia si intraveda per una volta uno spirito di collaborazione rispetto alla sterile e talvolta suicida competizione tra istituti di ricerca pubblici e privati. Il Centro europeo di nanomedicina infatti nasce dall’intesa di un network di dieci centri di eccellenza, da quelli universitari a quelli industriali, dai più importanti IRCCS milanesi all’IFOM e alla Scuola Europea di Medicina Molecolare, passando per realtà di grande rilievo internazionale come l’Istituto Europeo di Oncologia, il tutto col patrocinio e il sostegno economico della Regione Lombardia, che ha stanziato pochi giorni fa 6,8 milioni di euro per questo progetto.

Per una volta i soldi non sono andati in cantieri, ma in cervelli. Non si è investito nella costruzione di nuove strutture, ma nella sinergia delle risorse già esistenti sul territorio.

L’obiettivo è di portare il CEN a qualificarsi tra i più importanti poli di ricerca nel campo della nanomedicina a livello mondiale, confermando la Lombardia in una posizione di avanguardia in campo biomedico e biotecnologico. Per questo al programma di neurologia ne seguiranno altri, mirati alla diagnosi e alla cura delle malattie cardiovascolari e oncologiche, sempre attraverso lo strumento delle nanotecnologie.

Ma perché proprio un ingegnere, a guidare ricerche in medicina?

«La medicina moderna si appoggia sempre più sulle nuove tecnologie e sull’uso di materiali innovativi» risponde Stellacci. «Per chi come me si è sempre occupato di questi temi, la ricerca biomedica rappresenta uno sbocco del tutto naturale».

La nanomedicina, d’altra parte, che costituisce oggi la più promettente frontiera della ricerca scientifica, è per sua natura interdisciplinare. «Soltanto un approccio che sappia integrare la biologia molecolare, la medicina, la chimica, la fisica, l’informatica e l’ingegneria consentirà a questa nuova disciplina di offrire diagnosi veloci, sempre più precoci e disponibili per tutti e di mettere a punto terapie innovative e personalizzate sfruttando i risultati della ricerca genomica e post-genomica» aveva dichiarato a luglio, in occasione del varo del progetto, Marco Foiani, direttore scientifico di IFOM, Istituto FIRC di oncologia molecolare, e chairman del Comitato promotore del CEN.

Dopo pochi mesi, con tempi poco consoni alle abitudini italiane, già viene presentato il primo programma di ricerca, quello che prevede di applicare le nanotecnologie alla diagnosi e alla cura delle malattie neurologiche. Sarà diretto da Stellacci, che nel frattempo è diventato anche professore ordinario al Dipartimento di ingegneria e scienza dei materiali presso l’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna. A finanziarlo sarà l’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano; a ospitarlo i laboratori dell’IFOM-IEO.

In che modo le nanotecnologie possono aiutare la diagnosi e la cura dei tumori cerebrali?

«Costruendo marcatori e vettori di dimensioni microscopiche possiamo penetrare attraverso la membrana cellulare esattamente come fanno i virus, portando agenti chemioterapici o nanoparticelle magnetiche o fluorescenti all’interno delle cellule. In tal modo la diagnosi e le cure potranno essere ancora più mirate».

Vi occuperete anche di altre malattie neurologiche?

«Certo, del mio gruppo faranno parte anche tre giovani ricercatrici che seguiranno altri aspetti, per esempio il morbo di Parkinson o le malattie prioniche di cui fa parte il morbo della mucca pazza: i nanovettori possono passare con facilità  attraverso la barriera ematoencefalica, che rappresenta un ostacolo per la cura di molte malattie del sistema nervoso centrale, e impedire così il ripiegamento patologico delle particelle prioniche. Un altro filone di ricerca prevede la creazione di materiali auto assemblanti e nanostrutturati capaci di aiutare la medicina rigenerativa, ossia la ricreazione di organi danneggiati, specialmente per riparare connessioni nervose lesionate» conclude il giovane ingegnere prestato alla medicina.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: “Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.