Il nuovo aggiornamento dell'Osservatorio di Pavia sui media e il clima relativo al quadrimestre maggio-agosto 2023. Si parla più di crisi climatica, probabilmente a causa delle alluvioni, incendi, ondate di calore dell'estate, e di altre notizie a sfondo ambientale. Però aumenta anche il negazionismo. Anche Instagram, che pare performare meglio dei quotidiani e dei telegiornali, non ne è immune.
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Gli eventi riconducibili alla crisi climatica avvenuti in estate hanno fatto crescere l’attenzione mediatica verso il tema. Il cambiamento climatico è senza dubbio la sfida del secolo, visti gli impatti che ha sul benessere umano globale: ci mancherebbe che non se ne parli. Però, nonostante l’alluvione in Emilia-Romagna, le varie ondate di calore, gli incendi in Sicilia e le notizie sui record globali di temperatura e simili, il mondo dell’informazione non è ancora sufficientemente attrezzato per parlare adeguatamente di clima. I rapporti più recenti a cura dell’Osservatorio di Pavia (commissionato da Greenpeace Italia) evidenziano che sono aumentati gli articoli, le notizie e i post che danno voce a negazionismi e resistenze, anche per colpa di esternazioni di esponenti di governo. Il periodo di riferimento va da maggio ad agosto 2023.
Tra le testate analizzate ci sono quelle diffuse anche su Instagram (con almeno 50mila follower), che spesso è molto più frequentato dalle generazioni giovani rispetto ai quotidiani e ai telegiornali. Qui, il 4,1% del totale dei post pubblicati riguardano la crisi climatica. Nei telegiornali il 2,7% delle notizie e nei quotidiani 882 articoli su 264 edizioni analizzate.
Parlare di clima, banalmente, non significa farlo bene. Nella stampa il 58,5% delle notizie sulla crisi climatica ne parla esplicitamente, nei quotidiani il 62,5%, su Instagram il 66,7%. Il resto degli articoli, pur citandola, ne danno solo qualche accenno a latere.
Parlare di clima e dei suoi impatti non basta a fare una comunicazione efficace. Serve anche esplicitare le cause per comprenderne meglio le soluzioni. Qui le carenze colpiscono molto tutti e tre i canali analizzati. Su Instagram il 76,8% dei post non cita nessuna causa della crisi climatica, percentuale che sale al 79,8% nei telegiornali e fino all’83,7% nei quotidiani. I combustibili fossili, cioè la causa principale del riscaldamento globale e quindi dei cambiamenti climatici, vengono ancora citati molto poco. Questo, probabilmente, perché si dà ancora troppo spazio a portatori di interessi fossili, tanto nelle pubblicità, quanto in qualità di soggetti coinvolti nelle notizie.
Come nelle precedenti edizioni, le analisi dell’Osservatorio di Pavia guardano anche alla presenza della pubblicità, per l'appunto. Purtroppo, non sono poche le inserzioni pubblicitarie presenti nei media (in particolare nei cinque quotidiani più diffusi) che fanno riferimento ad aziende notoriamente responsabili di emissioni di gas serra. Si veda qui per l’elenco e alcuni esempi su spot ingannevoli.
Sui quotidiani, le aziende inquinanti (settore aereo, auto, crocieristico e Oil&Gas) hanno una visibilità media del 16,1%, negli articoli dove si parla specificamente di crisi climatica del 19,7% e in quelli che trattano di decarbonizzazione addirittura del 55,7%. Situazione analoga nei telegiornali, ma che si modifica sensibilmente su Instagram, dove i soggetti di gran lunga più ascoltati nelle notizie di clima sono gli esperti e gli scienziati (quasi il 32%).
Su Instagram non sono stati analizzati solo i giornali tradizionali che hanno pure una copertura social, ma anche quelle pagine che esistono solo lì e spesso sono nate direttamente su Instagram. Pare proprio che queste siano tra i più attenti al tema climatico. Tra di loro emergono Will, Factanza e Torcha. Ecco la copertura climatica in percentuale alle notizie date per ciascuna delle pagine Instagram analizzate.
Inoltre, a riprova di quanto detto, le testate che citano esplicitamente i combustibili fossili come causa della crisi climatica (ancora poco, ma almeno lo fanno) sono appunto Will, Torcha e Factanza, con anche l’ausilio delle tradizionali SkyTG24, TPI, Il Fatto Quotidiano, Il Post, Domani e Fanpage. Le altre non lo fanno mai. In più, su Instagram, diversamente dai canali tradizionali, si indicano anche i diretti responsabili delle emissioni di gas serra, facendo cioè “nomi e cognomi” di compagnie petrolifere e di altre aziende inquinanti. Avviene nel 4% dei post inerenti al clima.
Citare molto spesso la crisi climatica può anche essere legato al volerne parlare in chiave negazionista. Tra i parametri analizzati dall’Osservatorio ci sono infatti le narrative di resistenza alle azioni per il clima. Purtroppo, ancora presenti e in crescita rispetto al quadrimestre precedente. Eccole.
In particolare, su Instagram il 19,1% dei post analizzati veicola una qualche narrativa di resistenza, il 18% degli articoli dei quotidiani e il 9,7% delle notizie dei telegiornali. Forse nei telegiornali non c’è tempo sufficiente, oltre la notizia, per approfondire e quindi esprimere eventualmente resistenze climatiche?
Ci sono anche canali che parlano direttamente delle soluzioni da mettere in campo, quindi di decarbonizzazione e riduzione delle emissioni, senza parlare della crisi climatica. Su Instagram, Factanza e Will sono quelle che in proporzione lo fanno di più. Il contesto in cui si inseriscono notizie, post e articoli è altrettanto importante per capire come possono essere comunicate le evidenze sul cambiamento climatico. In gergo si parla di frame. Su Instagram e sui telegiornali, le notizie che trattano esplicitamente di clima hanno un frame prevalentemente ambientale, nei quotidiani è invece politico. Considerando i contenuti che parlano di decarbonizzazione senza citare la crisi climatica, il frame prevalente sui quotidiani è economico, sui telegiornali ambientale (ma per poco anche politico ed economico), su Instagram è politico.
Le differenze tra i tre settori dell’informazione analizzati potrebbero essere spiegate sia dalla tipologia di format e quindi dallo spazio che si ha per approfondire, sia dalla sensibilità tipica di uno o dell’altro canale, ma anche inevitabilmente dall’influenza della già citata pubblicità.
Chi ne esce meglio sono le pagine Instagram che non hanno corrispettivi sui media tradizionali. In ogni caso, tutti e tre i settori devono impegnarsi di più a parlare di crisi climatica, inserendola nel giusto contesto, evitando di dimenticarsene quando non ci sono più emergenze ambientali in corso, ma soprattutto eliminando la presenza del negazionismo. Quest’ultimo aspetto, dopo decenni di ricerca scientifica e un consenso virtualmente certo su cause e responsabilità umane dell’innalzamento della temperatura, è assolutamente intollerabile. La responsabilità dei media nel formare la consapevolezza delle persone, ma anche nell’indirizzare l’agenda politica (sarebbe illusorio dire il contrario), è molto alta. Bisogna quindi alzare l’asticella.
Una nuova guida per la comunicazione climatica
Segnaliamo che è stata da poco pubblicata la guida La crisi climatica e come comunicarla, come prodotto finale del progetto “Ok!Clima – Il clima si tocca con mano”, rivolto a ricercatori, tecnici ed esperti, giornalisti e comunicatori, docenti di scuola secondaria ed educatori ambientali, sviluppato con il supporto di Fondazione Cariplo, Università di Milano, Università di Pavia e Italian Climate Network, e la collaborazione di Zadig, Scienza in rete e la nuova associazione Climate Media Center Italia. La guida intende spiegare gli ostacoli e offrire, sulla base della letteratura scientifica, fonti, strumenti e raccomandazioni a tre categorie che hanno una grande responsabilità nella informazione e comunicazione di questi temi.