Luca Berdondini, co-fondatore della start-up Corticale dell’IIT racconta a Scienza in rete la sfida del Brain Computer Interface resa nota da Neuralink. Berdondini parteciperà martedì 27 febbraio, alle ore 18:30, al live con Barbara Gallavotti “Dall’Intelligenza Artificiale agli impianti nel cervello: l’essere umano non sarà più solo biologico?”, al Museo della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. Qui il programma.
L’esordio della Neuralink di Elon Musk nella sperimentazione clinica delle interfacce cervello-computer (o BCI) ha scatenato un rinnovato interesse sulle potenzialità - e i pericoli - di questa tecnologia, che sembra sempre più vicina a realizzare almeno alcune delle sue prime promesse. Se è vero che i progressi di Neuralink lasciano ben sperare, è altrettanto vero che l’azienda di Musk non è la sola in campo, né quella con la tecnologia più avanzata. E tra le diverse aziende e accademie che sviluppano interfacce cervello-computer, ce ne è anche una italiana, nata e cresciuta a Genova.
Fondata nel 2021, Corticale è la start-up figlia dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova (e di un finanziatore privato, Giuseppe Santella) che si occupa di sviluppo di BCI: giovane, piccola - conta una decina di dipendenti - ma con una precisa scommessa tecnologica, chiamata SiNAPS (Simultaneous Neural Recording Active Pixel Sensor technology), un dispositivo di registrazione dell’attività neuronale con un sistema di elettrodi attivi.
«La tecnologia di Corticale è il risultato degli ultimi dieci anni di ricerca in laboratorio» spiega Luca Berdondini, responsabile del laboratorio di Microtecnologia per la neuroelettronica dell’IIT di Genova e consulente scientifico per Corticale. «Avevamo raggiunto un elevato livello tecnologico ed eravamo arrivati al prototipo; volevamo credere in questa tecnologia e renderla accessibile, prima di tutto al mondo della ricerca scientifica e poi per applicazioni cliniche; per questo abbiamo lanciato Corticale». Per il mondo scientifico, l’azienda segue il modello delle OEM, ovvero produce e vende i propri dispositivi ad altre aziende che li implementano e, nel caso dei collaboratori di Corticale, sviluppano strumentazione scientifica. «La linea produttiva rispetta la normativa per i dispositivi medici. Per ora le collaborazioni riguardano sperimentazione su modelli animali di primati non umani, nei prossimi mesi usciranno i risultati, ma l’obiettivo è la ricerca clinica e stiamo già lavorando in quella direzione» precisa Berdondini.
L’obiettivo delle BCI infatti - platonico per ora - sarebbe quello di controllare con il pensiero un qualunque dispositivo elettrico; nella realtà, le interfacce mirano a restituire a pazienti in condizioni di immobilità (paraplegici o tetraplegici per esempio) una parziale indipendenza motoria, come la capacità di muovere cursori su schermi, arti robotici o controllare uno stimolatore della spina dorsale per riacquisire un parziale movimento delle gambe. Il primo traguardo è infatti la decodifica dell’intenzione di movimento, che segue schemi di attivazione neuronale piuttosto noti e simili tra individui.
«Da una parte i nostri sensori vengono utilizzati per osservare l’attività elettrica di migliaia di neuroni per capire meglio i meccanismi di funzionamento del cervello, come vengono processate e integrate le informazioni; il sistema nervoso è ancora una grande sfida scientifica» spiega Berdondini. «Il traguardo però è riuscire ad applicare la tecnologia a situazioni patologiche». E la tecnologia su cui ha scommesso l’azienda ha una novità: «Molti sensori dell’attività elettrica usati nello sviluppo di interfacce cervello-computer si basano sull’impiego di elettrodi passivi, ovvero individualmente connessi a un punto di contatto poi collegato a uno strumento esterno che amplifica il segnale, lo pulisce e lo analizza. Noi abbiamo portato tutta questa elettronica sotto ogni singolo elettrodo: questa è stata un’enorme sfida tecnologica, ma così il segnale viene registrato e amplificato localmente, migliorandone la qualità e rendendolo meno soggetto al rumore ambientale ed elettromagnetico. In questo modo possiamo manipolare il segnale in loco e creare matrici di elettrodi dense: siamo in grado di gestire migliaia di elettrodi integrati su dispositivi di 0,08 millimetri».
SiNAPS, come l’N1 impiantato da Neuralink, è quindi un sensore intracorticale, contente un migliaio di elettrodi, che penetra la corteccia cerebrale e capta un segnale elettrico preciso e affidabile, poiché si posiziona direttamente accanto ai neuroni da cui registra. E se una parte della comunità scientifica si interroga sulla reale utilità di sensori così densi di elettrodi, Berdondini è di un altro avviso: «Poter registrare da migliaia di neuroni significa avere accesso a più di un circuito contemporaneamente e soprattutto significa poter scegliere: probabilmente non serve in ogni momento l'informazione di tutti i neuroni disponibili, ma potremo essere in grado di selezionare i neuroni più informativi e personalizzare la registrazione. Per esempio, se pensiamo a una situazione patologica di neurodegenerazione, in cui alcuni neuroni smettono di funzionare, un sistema del genere potrebbe essere in grado di adattarsi nel tempo in funzione della progressione della malattia».
A differenza di Musk però, che ha investito su 64 microfili ultraflessibili per limitare l’impatto dannoso dell’impianto, gli elettrodi di SiNAPS sono posizionati su un singolo ago, sottile ma rigido. Nonostante questo, sembra che siano anche le dimensioni a contare: il posizionamento di un unico filo così piccolo dovrebbe ridurre il danno e la relativa risposta cicatriziale del tessuto che nel tempo peggiora la qualità del segnale.
Le sfide sono innumerevoli, così come le diverse soluzioni; Corticale porta la sua, non sappiamo ancora quale sarà la mano vincente, ma l’obiettivo rimane lo stesso: rendere le interfacce cervello-computer uno strumento funzionale di supporto per i pazienti; per quanto riguarda la lettura del pensiero, vedremo poi.