“Se uno ha con un uomo relazioni sessuali come con una donna, entrambi hanno commesso cosa abominevole; dovranno essere messi a morte, e il loro sangue ricadrà su di loro”.
L’eco di questa maledizione biblica (Levitico XX), vecchia di quasi tre millenni, non si è ancora spento. E siccome proibisce l’amore tra uomini adulti, ha negato a moltissimi di essi la gioia di vivere. Ancora nel 1835 l’Inghilterra faceva giustiziare gli omosessuali; gli sgherri di Hitler ne hanno deportati e assassinati decine di migliaia; e il famigerato Paragrafo 175 della legge Prussiana ha proibito la “Deviazione contro natura” sino al 1969. Solo nel 1997 la Comunità Europea, con il trattato di Amsterdam, ha posto fine all’ostracismo di legge contro gli omosessuali. E i tempi in cui si cercava di “guarire” gli omosessuali con trattamenti psichiatrici sono finalmente passati.
Ma che cosa ci spinge all’amore per individui dello stesso sesso? Sono i nostri geni, o è l’ambiente? Che i geni abbiano un ruolo importante è dimostrato da ricerche sui gemelli. Se uno dei due è omosessuale, la probabilità che anche l’altro lo sia, nei gemelli mono-ovulari (quindi geneticamente identici), è circa doppia che nei gemelli bi-ovulari, e in questi ultimi è circa doppia rispetto a fratelli adottati e quindi non geneticamente parenti. Questi e altri risultati ci dicono che i geni entrano in gioco, che anche l’ambiente ha un ruolo, e che tra l’etero e l’omosessualità vi devono essere molti stadi intermedi.
Noi siamo solo un ramo tardivo dell’albero della vita, cosicché gli “antenati” dei nostri comportamenti si possono spesso ritrovare negli animali, o addirittura nei batteri. Questo vale anche per il comportamento sessuale. Nella mosca della frutta (Drosophila melanogaster) il comportamento sessuale è fortemente stereotipato, giacché questo piccolo insetto ha solamente 100.000 cellule nervose, un numero quindi risibilmente piccolo rispetto ai nostri 10 miliardi. Tuttavia anche nella Drosophila il corteggiamento è cosa dei maschi – e l’ultima parola un diritto delle femmine. E così come negli esseri umani, anche nella Drosophila talvolta i maschi si interessano agli individui dello stesso sesso. Questo comportamento bisessuale è talmente rafforzato dalla mutazione di singoli geni da far sì che praticamente ogni maschio corteggi con la stessa passione individui di entrambi i sessi. Due di questi geni esercitano la loro attività già durante lo sviluppo embrionale delle mosche, controllando centinaia, se non migliaia, di geni sottoposti che a loro volta controllano lo sviluppo sesso-specifico del cervello e delle altre parti del corpo. Un altro gene aumenta la concentrazione del neurotrasmettitore glutammato nel cervello, innalzando la soglia di eccitazione dei neuroni che elaborano gli odori sesso-specifici. Se questo gene è inattivato da mutazioni, la concentrazione del glutammato nel cervello diminuisce, i neuroni sensibili al glutammato divengono ipersensibili, e forse riconoscono come stimolo sessuale, non solo l’odore femminile, ma anche quello maschile. Di conseguenza, anche sostanze che eccitano artificialmente i neuroni glutammato-spercifici inducono un comportamento bi-sessuale nelle mosche normali. L’attrazione tra maschi è apparentemente mediata anche da nervi che funzionano tramite l’ormone cerebrale serotonina: se la concentrazione di questo ormone nel cervello viene aumentata geneticamente o a mezzo di farmaci, non solo le mosche maschio, ma anche i ratti e i gatti maschi divengono bi-sessuali. Le mosche-femmina sono peraltro apparentemente molto più stabili nelle loro preferenze sessuali, sicché sinora non è stato possibile alterarne la ferma preferenza sessuale per l’altro sesso a mezzo di mutazioni genetiche o di farmaci. Le ricerche sulle preferenze sessuali delle mosche-femmina incontrano peraltro molte più difficoltà che quelle sulle mosche-maschio, per cui possiamo ancora aspettarci da esse delle sorprese.
A differenza che nella Drosophila melanogaster, in molte altre specie di Drosophila la bi-sessualità maschile è frequente o addirittura la regola. Ma come mai la natura tollera questo comportamento che pure non ha un ruolo nella riproduzione? Due o tre milioni di anni addietro la Drosophila melanogaster ha costruito a partire da componenti del suo materiale ereditario un nuovo gene che trasforma il “maschio” in “femmina”. Se si trasferisce questo gene in altre specie di Drosophila, se ne determina la bi-sessualità.
Le normali Drosophila melanogaster maschio diventano bi-sessuali in presenza di una maggioranza di mutanti bisessuali: i maschi normali apparentemente non seguono l’attrazione istintiva dei loro partners bi-sessuali, ma cambiano il loro comportamento sessuale nel giro di qualche ora. Verosimilmente, essi devono riprogrammare il loro sistema nervoso o altre parti del loro organismo. Quindi, anche l’ambiente può indurre il comportamento bisessuale. Per quanto non sia ancora chiaro se questo comportamento indotto sia trasmissibile alla progenie-maschio, sembra probabile che lo sia, dato che le influenze dell’ambiente possono cambiare la struttura dei cromosomi in modo da rendere i cambiamenti trasmissibili alla progenie.
Questi risultati sono certamente affascinanti, ma ci dicono ben poco sull’omosessualità nell’uomo. La bisessualità non è l’omosessualità, e una mosca non è un uomo. Quanto ai geni, non influenzano il comportamento in modo diretto, ma tramite la costruzione di strutture corporee che stanno alla base del comportamento e svolgono il loro compito generalmente come reti multi-geniche complesse. Abbiamo ora decifrato le sequenze di tutti i 13.000 geni della Drosophila melanogaster, ma ne conosciamo poche che determinano il comportamento “ d’accoppiamento”. Nell’uomo il mistero è ancora più profondo, dato che abbiamo un numero doppio di geni e 100.000 volte più cellule nervose della Drosophila, e dato anche che possiamo interpretare con molta più libertà le direttive dei nostri geni, e mettere in relazione i rapporti del nostro cervello con l’ambiente in modo molto più individuale. Sarebbe quindi sciocco ed irresponsabile liquidare la bisessualità o l’omosessualità nell’uomo facendole discendere unicamente da un imperativo genetico; ma lo sarebbe anche negare l’influenza dei geni, attribuendone l’origine solamente all’ambiente. Che i geni abbiano un ruolo nell’omosessualità nell’uomo è fuor di dubbio, ma anche l’influenza degli ormoni durante lo sviluppo embrionale pare avere un ruolo importante. E siccome il metabolismo ormonale di una futura madre, e quindi anche del suo embrione, reagisce all’ambiente, le cause molecolari dell’omosessualità nell’uomo sono destinate a rimanere ancora per molto tempo avvolte dall’oscurità. Il percorso che dai geni porta al comportamento di noi uomini è più intricato che negli animali, e ci porta spesso a conclusioni inaspettate. Chi avrebbe osato pensare che quella che è una cosa naturale negli animali, sia da noi uomini invece considerata “Peccato contro Natura”? “Può essere considerata Peccato” solo se non la si vede come espressione dell’albero della vita, ma come prodotto unico della creazione: «Dappertutto si incontrano esempi di comportamento umano, nei quali si riconosce l’animale. Ma considerare nonostante questo gli animali solamente come macchine è un peccato contro Natura...», Johann Gotfried von Herder lo ha scritto due secoli fa.