Pagg. 235, euro 25.
Che il cambiamento climatico sia un problema urgente e in larga misura drammatico ormai non sfugge quasi più a nessuna persona razionale e in buona fede. Sir David King – professore di fisica a Cambridge - è uno degli scienziati che più si sono prodigati sia per attirare l’attenzione dei politici sull’argomento, rivestendo importanti cariche per conto del governo inglese, sia per contribuire alla ricerca di soluzioni. In particolare, egli è stato incaricato dalla Comunità Europea di coordinare un progetto – di fatto la più grande impresa tecnologica internazionale di tutti i tempi – per sviluppare la fusione nucleare al fine di trovare fonti alternative ai combustibili fossili (un consorzio da cui, manco a dirlo, l’Italia è assente). Pertanto il recente libro di Gabrielle Walker e David King va assolutamente letto da parte di chiunque abbia a cuore le sorti del mondo, perché unisce una competenza scientifica pressochè unica con un indiscutibile impegno politico (di “advocacy”) e una rara abilità narrativa. Come il rapporto dell’IPCC e a differenza di altri commentatori grossolani o superficiali – come Lomborg – il libro si muove con prudenza separando sempre i fatti accertati dalle supposizioni, e associando a queste ultime un grado di credibilità. Per esempio, non pare verosimile che i ghiacciai della Groenlandia si sciolgano in tempi brevi, né che questo accada al permafrost, ma certamente se tali eventi si verificassero le conseguenze sarebbero inimmaginabili. Il grande equilibrio politico del libro – come del rapporto dell’IPCC – sta nel fare un uso molto convincente e argomentato del principio di precauzione: non possiamo neppure immaginare che cosa succederebbe se l’anidride carbonica imprigionata nel permafrost si liberasse, e pertanto non possiamo esimerci dall’intervenire subito.
A fronte di drammatiche dichiarazioni di celebri scienziati (Wally Broeker ha detto che il clima è “una bestia inferocita che noi pungoliamo con un bastone”) c’è un’evidente inerzia da parte della maggior parte dei politici, gli italiani in testa. In realtà David King è quasi un terrorista per l’amministrazione Bush, e in particolare per Dick Cheney, strettamente allineato alle posizioni della Exxon. Cheney secondo il Sunday Times (13 gennaio 2008) rappresenta il punto di visto del “short-termism”, cioè delle politiche a breve termine delle grandi compagnie petrolifere (“e che il futuro si impicchi”). Il governo italiano non è da meno.
Perché questo scollamento tra scienziati e politici? Si tratta solo del fatto che politici come Bush, Cheney (ex vicepresidente di Halliburton) o Berlusconi sono intrinseci agli interessi delle grandi imprese, o c’è qualcosa di più e di diverso? Io credo che si tratti di qualcosa che ha a che fare con il degrado della politica e delle modalità di informazione. La stampa troppo spesso riporta quelle che sono solo ipotesi o congetture degli scienziati come fatti accertati, spesso contraddicendo altri “fatti” descritti in precedenza, e con grande sensazionalismo. Questo genera un clima non solo di incertezza ma anche di sfiducia nella scienza, che si inserisce in una generale e pericolosa tendenza - che vediamo non solo in Italia ma certamente negli Stati Uniti (meno, devo dire, in Inghilterra) - a pensare che anche il cambiamento climatico è soggetto a “par condicio”: uno la pensa come gli pare a seconda delle sue generali tendenze politiche. Una sorta di cinismo qualunquista secondo cui se sei di sinistra “è colpa del capitalismo” e se sei di destra “sono solo degli estremisti contrari al progresso”. Il modo migliore per uscire da questa impasse e per cambiare rapidamente la politica – prima che sia troppo tardi – è riconoscere che i dati hanno un loro valore e una loro autonomia, e che essi vanno associati a un ragionamento un poco più sofisticato dell’abituale dibattito politico amplificato dai media. I dati dovrebbero essere valutati insieme al grado di incertezza che li caratterizza e all’importanza delle conseguenze del scegliere o del non scegliere. Come il libro di King e il rapporto dell’IPCC fanno.