Chi non ha mai visto uno stormo di rondini volare in cielo aperto? Un'immagine, quella del volo deli uccelli migratori, che certamente ci emoziona ma che forse potrebbe diventare presto solo un ricordo.
Un gruppo di ornitologi del Max Plank Institute di Radolfzell, guidati da Francisco Pulido e Peter Berthold, sostengono che il recente riscaldamento globale stia determinando cambiamenti evolutivi tra gli uccelli migratori.
Gli studiosi, in particolare, hanno osservato una riduzione dell'attività migratoria di alcune specie di uccelli, che si manifesta con una minore distanza di migrazione percorsa dagli animali.
Per Pulido e Berthold, siamo di fronte ad un processo evolutivo dovuto all'adattamento ai cambiamenti climatici. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica americana PNAS (Proceeding of National Academy of Sciences).
Gli uccelli migratori al variare delle stagioni compiono viaggi lunghi anche migliaia di chilometri alla ricerca di cibo e di un habitat migliore, per poi tornare nuovamente nei luoghi d'origine per riprodursi e nidificare.
Per i loro studi, gli ornitologi hanno preso a modello la capinera, una specie migratrice che ha mostrato di avere grandi capacità di adattamento climatico. E' un piccolo uccello passeriforme del Nord Europa, che sverna in Africa settentrionale e nei paesi del Mediterraneo.
Nel suo habitat naturale, sono stati osservati alcuni comportamenti insoliti della capinera, come ad esempio una migrazione più tardiva in autunno e lo svernamento in alcune isole britanniche, piuttosto che nei paesi del Sud Europa, come di consueto.
Durante le loro ricerche, condotte dal 1988 al 2001, gli scienziati hanno prelevato dal loro ambiente naturale 757 esemplari di capinera, che poi sono stati allevati in laboratorio. Qui, sono state simulate le alternazioni giorno/notte che si susseguono durante le stagioni.
Gli studiosi, osservando il comportamento degli animali, hanno assistito ad una diminuzione progressiva dell'attività migratoria degli uccelli.
In un secondo esperimento, al fine di evitare l'accoppiamento tra consanguinei, hanno incocriato il 50% della popolazione di laboratorio con altre capinere selvatiche, che mostravano già una minore attività migratoria.
I risultati ottenuti sono stati inaspettati. Dopo solo 2 generazioni, nella popolazione comparivano i primi esemplari stanziali, dimostrando in tal modo che si trattava di un cambiamento genetico della popolazione.
Ma adesso gli ornitologi si pongono un ulteriore problema. Se è pur vero che i migratori di brevi distanze troveranno un beneficio nella minore attività migratoria, per un evidente risparmio di energie impiegate e tempo, altrettanto non potrà dirsi per quelle specie che devono attraversare migliaia di chilometri e che rischieranno di dover sostare in ambiente non adatti alla loro sopravvivenza, come ad esempio deserti e mari.