fbpx Genetica d'alta montagna | Scienza in rete

Genetica d'alta montagna

Primary tabs

Tempo di lettura: 2 mins

Da millenni, le popolazioni di montagna del Tibet vivono sulle alte vette della catena Himalayana, anche sopra i 4.500 metri sul livello del mare. Non è cosa da tutti, lo sanno bene gli alpinisti e gli escursionisti d'alta quota. Perchè a quelle altitudini può manifestarsi il “mal di montagna”, una condizione patologica che, se non trattata tempestivamente, può portare a conseguenze letali.

I primi sintomi che si avvertono sono vertigini, cefalea, astenia fino ad arrivare ai gravissimi edema polmonare e cerebrale, che conducono a inesorabili effetti. La causa del mal di montagna non è la  ridotta quantità di ossigeno dell'aria, che è uguale sia a livello del mare che in alta quota, quanto la differente pressione parziale del gas, che è più rarefatto e quindi meno utilizzabile dal corpo umano.

Come possono i Tibetani sopravvivere in ambienti così estremi, proibitivi per il resto dell'umanità? Se lo sono chiesti alcuni ricercatori dell'University of Utah School of Medicine e della Qinghai University Medical School in Cina, che hanno approfondito la questione. La loro ricerca è stata pubblicata sulla rivista Science Express.

Attraverso un processo di selezione naturale durato migliaia di anni, i tibetani hanno evoluto una serie di adattamenti che permettono loro di vivere a elevate altitudini, senza conseguenze. Gli studiosi hanno infatti riscontrato nel loro sangue un livello di emoglobina inferiore rispetto alla norma. In tal modo, riescono ad utilizzare l'ossigeno presente in modo più efficiente e a non manifestare policitemia, una produzione abnorme di globuli rossi che si instaura in risposta ad una carenza di ossigeno.

Il segreto sta nei loro geni, in particolare 10 geni, presenti solo nelle popolazioni tibetane di alta montagna, la cui espressione regola la quantità di ossigeno presente nel sangue. Per condurre le loro analisi, gli studiosi hanno preso in esame campioni di sangue di 31 tibetani di montagna e di 45 cinesi e 45 giapponesi di popolazioni stanziali di pianura.

Comparando i diversi genotipi, hanno individuato il gruppo dei 10 geni responsabili dell'adattamento, ricorrenti tra i montanari tibetani ma del tutto assenti tra i cinesi e giapponesi. Inoltre, due di questi geni, EGLN1 e PPARA, sono direttamente associati all'emoglobina e ne controllano la sintesi.

Secondo i ricercatori, però, potrebbero esserci ulteriori meccanismi fisiologici coinvolti nell'adattamento dei tibetani. Un livello maggiore di acido nitrico riscontrato nel loro sangue aiuterebbe i tessuti ad utilizzare più efficacemente l'ossigeno.

Adattamenti alla vita d'alta quota sono avvenuti anche in altre popolazioni montane, come gli indigeni delle Ande in Sud America e i nativi degli Altopiani Etiopi in Africa. Ma con meccanismi di adattamento differenti.

Lo scopo dei ricercatori dello Utah adesso è approfondire sempre più le nuove conoscenze acquisite, al fine di poter curare malattie molto gravi come l'edema polmonare, l'edema cerebrale e l'ipertensione polmonare.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Chiudiamo l'anno nel ricordo di Alessandro Liberati

Ritratto fotografico di Alessandro Liberati, epidemiologo

Zadig ha voluto ricordare, nel chiudere questo 2024, l'amico e collega Alessandro Liberati, medico e docente di epidemiologia, che ha impresso un segno importante nella cultura medica del nostro Paese e ha condiviso con Zadig molte iniziative culturali e scientifiche, che hanno profondamente contribuito a improntarne il metodo. Se non ci avesse lasciato troppo presto nel 2012, quest’anno Alessandro avrebbe compiuto 70 anni. Riprendiamo l'editoriale tratto dal sito di Zadig.

Per i collaboratori di Zadig il ricordo di Alessandro è quello di una persona stimolante, attiva, di intelligenza acuta, con un forte senso critico e una carica di energia che lo spingeva a innovare, a lavorare intensamente, ad avere la capacità di prevedere come si sarebbero mosse le cose in futuro e progettare sempre nuove iniziative… da quelle scientifiche fino alla famosa caccia al tesoro annuale, il Liber Trophy, che radunava colleghi e amici sguinzagliati a caccia degli indizi da lui disseminati per le strade di Forte dei Marmi, dove aveva una casa che per il suo compleanno si apriva