All'Angelus di inizio anno 2010 Benedetto XVI affermava che «Il futuro è nelle mani di Dio, non di maghi e economisti». In effetti l'attuale crisi ha riacceso il dibattito sul valore dell’analisi economica e della sua capacità di spiegare e prevedere. L’economia è davvero una scienza? Come può una scienza non prevedere e non accorgersi di quello che sta succedendo? La sua crescente formalizzazione ha orientato il dibattito, in particolare, sull’utilità dei modelli matematici per descrivere i sistemi economici e la loro evoluzione.
Si tratta in realtà di domande ricorrenti, alimentate periodicamente da qualche particolare difficoltà del sistema economico e dalle sempre presenti polemiche tra le diverse “scuole”. Così anche in questa occasione qualcuno ha detto che, inseguendo i formalismi matematici, gli economisti perdono di vista l’Economia. Altri hanno sostenuto che il problema sta negli specifici formalismi adottati, che quelli usati sono superati, legati ad una Matematica “vecchia”, magari mutuata in modo acritico da altre discipline. La speranza è allora che la crisi economica comporti un cambio di paradigma anche nella modellizzazione matematica.
Il recente numero monografico di Lettera Matematica Pristem, curato da Gian Italo Bischi e Angelo Guerraggio, cerca di ripercorrere le principali tappe della progressiva formalizzazione delle leggi dell'economia attraverso una rivisitazione della storia, delle idee e dei personaggi dell’Economia matematica del Novecento, con un occhio sempre puntato verso il futuro.
Proprio all'inizio del Novecento la speranza che quei metodi che si erano rivelati così fecondi nello studio della Fisica potessero essere utilmente applicati anche nello studio dell'Economia veniva espresso dal grande fisico-matematico italiano Vito Volterra, che nel discorso inaugurale per l’anno accademico 1901-1902 all’Università di Roma affermava che
«è intorno a quelle scienze nelle quali le matematiche solo da poco tempo hanno tentato d’introdursi, le scienze biologiche e sociali, che è più intensa la curiosità, giacché è forte il desiderio di assicurarsi se i metodi classici, i quali hanno dato così grandi risultati nelle scienze meccanico-fisiche, sono suscettibili di essere trasportati con pari successo nei nuovi ed inesplorati campi che si dischiudono loro dinanzi».
La narrazione proposta nel fascicolo di Lettera Matematica parte in realtà da qualche decennio prima, con le opere di fine ottocento di Jevons in Gran Bretagna, C. Menger in Austria, Walras in Francia, nelle cui opere c’è un nuovo ruolo svolto dalla Matematica, non più semplice strumento per il calcolo algebrico ma elemento costitutivo e parte integrante dell’analisi economica, e che segna la trasmigrazione dell’Economia dal novero delle scienze morali a quello delle discipline scientifiche. Una spinta ancor più decisiva in tale direzione sarà poi data da Vilfredo Pareto, che dopo aver studiato Matematica a Torino succede a Walras sulla cattedra di Losanna. Il modello seguito è la Fisica, in particolare la Meccanica, con le sue forze e i principi di massimo e di minimo che determinano i movimenti e gli equilibri. Pareto procede a partire da pochi assiomi iniziali, incontrovertibili nella loro evidenza, che sviluppa poi con un rigoroso ragionamento deduttivo.
C'è da notare che questa impostazione dell'economia ha costituito a sua volta un fattore decisivo per la definitiva affermazione in matematica dei sistemi formali, in quanto per la prima volta il metodo assiomatico-deduttivo veniva applicato al di fuori dei tradizionali contesti della geometria o della fisica.
Ma l'impresa non è facile, come amava stigmatizzare il grande economista John Maynard Keynes quando sottolineava che non bastava semplicemente adattare i metodi e i ragionamenti della fisica alla modellizzazione dell’economia perché:
«[…] l’economia è una scienza morale […] essa ha a che vedere con motivazioni, aspettative, incertezze psicologiche. Si deve essere costantemente attenti a non trattare questo materiale come se fosse costante ed omogeneo. È come se la caduta della mela al suolo dipendesse dalle aspirazioni della mela, se per lei sia conveniente o meno cadere a terra, se il suolo vuole che essa cada, e se vi sono stati errori di calcolo da parte della mela sulla sua reale distanza dal centro del pianeta» [1]
Ci vogliono allora nuovi metodi matematici in grado di descrivere l'interazione strategica fra soggetti umani, razionali e capaci di fare previsioni. Come i metodi della teoria dei giochi, il cui testo fondante di John Von Neumann e Oskar Morgenstern, Theory of Games and Economic Behavior viene pubblicato nel 1944.
Ma la narrazione non si ferma lì, come ogni prudente ricostruzione storica dovrebbe fare, e nell’ultima parte della rivista vengono presentate alcune ricerche in pieno sviluppo. Scrive uno degli autori – Carl Chiarella – che:
«ogni crisi ha finora determinato un cambiamento di paradigma, ma è ancora troppo presto per dire se l'attuale crisi finanziaria e economica avrà lo stesso profondo impatto».
Comunque, come ci fa notare lo stesso Chiarella, “certamente viviamo tempi interessanti”.
E i segnali di nuovi paradigmi non mancano. Per esempio i metodi e i risultati della teoria dei sistemi dinamici non lineari, in particolare quelli legati al cosiddetto caos deterministico, hanno avuto un forte impatto sulla modellistica matematica in Economia, soprattutto in connessione con l’esigenza di prevedere e controllare l’evoluzione temporale dei sistemi economici e sociali.
La scoperta che anche modelli dinamici molto semplici sono in grado di generare caos deterministico, unitamente alla constatazione che modelli di questo genere possono essere ottenuti con ipotesi del tutto standard di equilibrio economico (con competizione perfetta, informazione completa e aspettative razionali), ha scosso le basi di molte delle idee alle quali si erano abituati gli economisti, in quanto ha spezzato il legame fra determinismo e prevedibilità, creando nel contempo una imbarazzante antinomia fra dinamiche caotiche e aspettative razionali.
Inoltre, sebbene vi sia il più largo consenso nell’affermare che i sistemi sociali sono più complessi di quelli fisici, i metodi della teoria della complessità e della fisica statistica, unitamente alle idee con cui l’evoluzionismo moderno guarda ai sistemi, stanno diventando sempre più importanti in ambito socioeconomico, così come l’approccio dei cosiddetti reticoli complessi (complex networks). Mediante questi strumenti matematici si possono infatti rappresentare fenomeni emergenti, come la comparsa di nuove forme e strutture sociali, senza che i singoli costituenti del sistema ne abbiano la consapevolezza.
[1] Questi passaggi sono riportati nel vol. XIV dei Collected Writings of John Maynard Keynes, a cura di D.E. Moggridge, Macmillan e Cambridge University Press, 1973, pp. 296-300.