fbpx Africa: la rinascita può partire dalla scienza | Scienza in rete

Africa: la rinascita può partire dalla scienza

Tempo di lettura: 4 mins

Né di una rivoluzione silenziosa, né di una tempesta. Ciò di cui l’Africa ha bisogno è di una rivoluzione scientifica che porti una nuova generazione di ricercatori verso la soluzione dei suoi problemi più urgenti.

Più del 40% degli Africani (su circa 922 milioni di abitanti) non ha accesso ad acqua potabile e all’elettricità; il 70% vive con meno di 2 dollari al giorno (dollari Usa) e milioni soffrono per l’Aids, la malaria e altre malattie infettive.

Benché abbia avuto in dono dalla natura beni spettacolari e ospiti numerose specie che riflettono la sua biodiversità, l’Africa è un continente fragile, estremamente vulnerabile ai cambiamenti climatici così come alle pressioni internazionali.

La sua ricchezza in minerali e in altre risorse naturali alimenta conflitti infiniti e cementa una cronica instabilità politica che impedisce lo sviluppo del continente.

Quando poi all’educazione e alla conoscenza, i gap rispetto al resto del mondo sono persino più ampi e severi. L’Africa, infatti, contribuisce appena per lo 0,01 per cento al totale mondiale delle pubblicazioni scientifiche internazionali e ha bisogno urgente di modificare questo status quo: un gran numero di ricercatori capaci che si sono formati negli USA o nel Regno Unito sono africani, e molti non intendono tornare ai loro paesi di origine.

 Il fenomeno del “brain drain”, della fuga dei cervelli, interessa questo più di altri continenti: vi sono molti più etiopi dottori in medicina altamente qualificati a Chicago che in Etiopia, e molti più dottori in medicina originari del Malawi a Manchester che nello stesso Malawi.

Secondo la International Organization for Migration (IOM), a partire dal 1990 l’Africa ha perduto 20.000 professionisti ogni anno. Ne consegue che, in medicina come in altri settori, vi è una continua domanda di esperti e consulenti stranieri. Si valuta che queste competenze professionali costino all’Africa 4 miliardi di dollari USA ogni anno.

Noi dobbiamo arginare questo flusso e promuovere efficaci strategie di formazione per trasformare il “brain drain”, la fuga dei cervelli, in un “brain gain”, in un arrivo dei cervelli. Ma come?

 Il mondo oggi è in rapido cambiamento. Gli scenari economici e sociali evolvono in un batter d’occhio, mentre il progresso scientifico e l’innovazione tecnologica definiscono il passo  del resto del pianeta. Ne consegue che la scienza è la chiave principale  per la rinascita africana. Da dove possiamo partire?

 La risposta è, naturalmente, dalla  formazione. Grandi investimenti devono essere impegnati per promuovere un’educazione di base di alta qualità. Noi non dobbiamo imparare la scienza a memoria, ma facendola: in breve, dobbiamo far nostro il sistema di educazione scientifica cosiddetto inquiry-based, fondato sull’indagine. Questa dovrebbe essere la forza motrice utilizzata per rivitalizzare le lezioni in classe e accendere l’interesse per la scienza.

Nel medesimo tempo, dobbiamo attivare programmi competitivi a livello di università e di studi post-universitari per formare scienziati giovani e pieni di passione in settori come le biotecnologie e le nanotecnologie. Entrambe queste discipline posseggono le potenzialità di trasformare le vite delle comunità povere nei paesi in via di sviluppo. Sono strumenti per dare una risposta efficace alle sfide ecologiche e per lo sviluppo dell’Africa. Inoltre, possono essere facilmente tradotte in applicazioni pratiche, come sistemi di purificazione delle acque e nanocelle solari.

L’Africa e i suoi partner globali devono collaborare nella realizzazione di science centres e musei scientifici perché si tratta di importanti istituti per legare la scienza e il grande pubblico e promuovere la consapevolezza e la comprensione pubblica della scienza. Dei 2.400 science centres che esistono al mondo, solo 23 sono in Africa e ben 17 si trovano in un solo paese.

Ogni paese in Africa deve costruire almeno un’università di ricerca di eccellenza assoluta, che serva da punto focale per formare la prossima generazione di esperti locali nel problem-solving.

Purtroppo, la promessa del G8, fatta nel 2003, di  finanziare con 3 miliardi di dollari USA in 10 anni la costruzione di centri scientifici di eccellenza non è stata finora mantenuta. Ma dobbiamo trasformare i problemi in opportunità, gestendo le risorse naturali in maniera sostenibile per il bene comune.

Anche la realizzazione di un efficiente sistema di comunicazione è un  obiettivo importante. Le comunità rurali e urbane potrebbero ottenere enormi benefici dall’uso di tecnologie dell’informazione e della comunicazione all’avanguardia e dall’uso di tecnologie spaziali per esplorare e monitorare l’ambiente.

Gli incendi possono danneggiare seriamente le infrastrutture strategiche dell’Africa, come le reti elettriche e scatenare il caos nelle comunità locali. La combinazione dei dati da satellite e delle tecnologie di telefonia mobile offrono uno strumento economico ed efficace per la gestione di questi disastri.

Tutti questi obiettivi non possono essere raggiunti senza una efficace strategia che leghi la scienza all’azione, e la politica ai bisogni sociali fondamentali. I ricercatori stanno imparando come condividere le esperienze di successo nell’applicazione della scienza e della tecnologia e come sviluppare un proficuo dialogo con il grande pubblico. Ma c’è ancora molto da fare e organizzazioni come la Twas (l’Accademia delle scienze per i paesi in via di sviluppo), la speciale unità per la cooperazione Sud-Sud dell’UNDP (il Programma per lo Sviluppo delle Nazione Unite) e lo IAP (il Panel interaccademico sui temi internazionali) sono una componente essenziale del processo. Parlano da una postazione di eccellenza e di successo  quando discutono questioni scientifiche di interesse regionale e globale e possono fare una grande differenza in questo lodevole tentativo.

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Siamo troppi o troppo pochi? Dalla sovrappopolazione all'Age of Depopulation

persone che attraversano la strada

Rivoluzione verde e miglioramenti nella gestione delle risorse hanno indebolito i timori legati alla sovrappopolazione che si erano diffusi a partire dagli anni '60. Oggi, il problema è opposto e siamo forse entrati nell’“Age of Depopulation,” un nuovo contesto solleva domande sull’impatto ambientale: un numero minore di persone potrebbe ridurre le risorse disponibili per la conservazione della natura e la gestione degli ecosistemi.

Nel 1962, John Calhoun, un giovane biologo statunitense, pubblicò su Scientific American un articolo concernente un suo esperimento. Calhoun aveva constatato che i topi immessi all’interno di un ampio granaio si riproducevano rapidamente ma, giunti a un certo punto, la popolazione si stabilizzava: i topi più anziani morivano perché era loro precluso dai più giovani l’accesso al cibo, mentre la maggior parte dei nuovi nati erano eliminati.