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Il "criterio Asimov" non funziona

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L’articolo di Michele Salvati sul Corriere del 23 luglio (“Se tutti i mali dell’Università fossero gli ultrasessantenni”), ripreso da Gaetano di Chiara su Scienzainrete mette in campo argomenti su cui il Ministro Gelmini e Meloni, il giovane responsabile del PD per l’Università, per una volta (stranamente?) d’accordo, dovrebbero meditare. Su cosa dovrebbero meditare entrambi? Dovrebbero meditare, credo, sul fatto che il “criterio Asimov” – Salvati cita un racconto di Asimov nel quale per salvare la specie in pericolo viene decisa una drastica misura che consiste nel fare fuori tutti i sessantacinquenni - all’Università, ancor più che altrove, non funziona. E’ un criterio che non è né nella tradizione liberale, a cui il Ministro si richiama, né nella tradizione della sinistra democratica, a cui Meloni forse si richiama. Contro criteri massimizzanti, sia i liberali sia i democratici di sinistra, hanno sempre difeso il principio di origine kantiana che obbliga a trattare gli esseri umani, tutti gli esseri umani anche quelli di 65 anni oltre che le donne e gli omosessuali, sempre come un fine e mai come un mezzo. Sono i regimi totalitari e, in generale, non democratici, quelli nei quali gli individui vengono utilizzati come mezzi per ottenere scopi da qualcuno definiti più alti! Ciò che adesso all’Università ci si propone invece è una misura che prevede di usare tutti i sessantacinquenni come un mezzo per fare spazio a tutti i trentacinquenni che a qualche titolo lavorano nelle nostre Università.

Oltre che essere sbagliata per principio, la misura è sbagliata di fatto. Michele Salvati sottolinea anche questo. In un momento in cui ci si dota di strumenti di valutazione dell’operato di tutti coloro che oggi operano all’Università, ecco che, evidentemente non credendo nella serietà della misura, si rinuncia ad applicarla per affrontare un problema che invece potrebbe essere risolto seriamente solo attraverso l’uso di quello strumento. Chi all’Università ci lavora sa bene, infatti, che molti professori non fanno in pieno il loro dovere e trascurano spesso la ricerca. Ma altrettanto bene si sa che anche molti ricercatori fanno esattamente lo stesso errore. Solo l’uso appropriato della valutazione permetterebbe di mettere in pensione o fuori dell’Università chi lo merita e di tenere responsabilmente dentro chi invece all’Università presta un servizio non sostituibile attraverso l’uso di criteri massimizzanti.

L’applicazione del “criterio di Asimov” metterebbe fuori dall’Università, oltre i 12.000 docenti che con le regole attuali andrebbero in pensione, ulteriori 7.000 docenti. Da un punto di vista economico si tratterebbe di una grande operazione, una partita di giro attraverso la quale gli attuali professori andrebbero a carico delle casse previdenziali, lasciando all’Università posti liberi che dovrebbero essere riempiti creando nuova spesa. Ma quali sarebbero le conseguenze di una tale scelta che risponde più a logiche sindacali che politiche? Quanti nuovi posti di professore verrebbero in effetti messi a disposizione per i “giovani” da questo governo in cerca di risorse? Non si darebbe una mano a chi pare avere come unico obiettivo quello di de-qualificare ulteriormente l’Università pubblica con l’appoggio questa volta di un “giovane” responsabile per l’Università del PD (che a me dà l’impressione di aver operato troppo affrettatamente un ricambio generazionale dei suoi quadri dirigenti)?

Il punto è che davvero le regole semplici, quelle cioè che non tengono conto degli individui, non funzionano e vengono criticate oramai anche in economia. Amartya Sen (una star nota in Italia anche al largo pubblico a causa dell’attenzione che Barbara Berlusconi gli ha voluto dedicare nella sua tesi di laurea) ha preso il Nobel per aver messo in discussione il fatto che il valore del PIL sia un indicatore sufficiente per misurare la qualità della vita. Sono per Sen le cose che gli individui sono in grado di fare, le capacità che acquisiscono effettivamente e le funzioni che riescono ad assolvere l’indicatore più utile a misurare la qualità della vita. Don Virzì, leggiamo nelle cronache giornalistiche, vuole dedicare a Sen la nuova Facoltà di economia del San Raffaele, per la quale sembra già in cerca finanziamenti presso le classi dirigenti del nostro paese. Certamente in quella Facoltà non si baderà all’età anagrafica per selezionare i docenti e Sen, oggi ultrasettantenne, non verrebbe mandato a fare giardinaggio. L’Università privata già oggi non usa i “criteri Asimov” per selezionare i suoi docenti e lascerà all’Università pubblica l’onere di salvare la specie sostituendo i sessantacinquenni con i trentacinquenni.

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