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Agorà

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Rachel WeiszSullo sfondo delle complesse e tormentate vicende di Alessandria d’Egitto, nella seconda metà del IV secolo dopo Cristo, si intrecciano le passioni dei protagonisti di questo film, straordinario per la profondità e la ricchezza di pensieri e riflessioni, oltre che per il fascino delle immagini. Sono le passioni di Oreste, all’inizio giovane studioso innamorato senza speranza della sua maestra Ipazia, e in seguito convertito al cristianesimo e prefetto della città; le passioni di Sinesio, anch’egli allievo di Ipazia, poi vescovo di Cirene; le passioni di Davo, schiavo di Ipazia, innamorato del sapere, di Cristo ma soprattutto, perdutamente, di Ipazia; la passione, infine, di Ipazia stessa: una passione al singolare, la sua, perché di una sola cosa, durante tutta la sua breve vita, Ipazia è appassionata, fino al punto di non sottrarsi ad una terribile morte annunciata: della conoscenza, del sapere.

La sua ricerca – seguendo le orme dei filosofi naturali dell’antica Grecia - si concentra sullo studio del cielo, del moto dei pianeti (gli “erranti”), del Sole, della Terra. Gli sviluppi di questa ricerca – in cui si coniugano, con esiti di grande efficacia filmica, la passione per la conoscenza e il rigore delle argomentazioni – costituisce il filo conduttore dell’intero film. A scene di massa confuse e drammatiche – che vedono i cruenti contrasti tra cristiani e pagani prima, e tra cristiani ed ebrei poi – si contrappone la serena quiete della “piccola biblioteca” di Ipazia, nella quale la giovane donna cerca di scoprire con i suoi allievi il segreto della bellezza e della semplicità dei cieli attraverso le curve – altrettanto belle e semplici – ottenute dal cono di Apollonio.

Una scena del film Agorà“I cieli debbono essere semplici” – afferma Ipazia nel corso di un intenso dialogo con Oreste. Una prospettiva, questa, che viene da lontano, dai tempi di Pitagora e di Platone: la prospettiva dell’armonia del mondo, che lega insieme astronomia e musica. Quella musica, appunto, alla quale Ipazia suggerisce ad Oreste di dedicarsi, al fine di dimenticare la sua passione per l’affascinante maestra.

Oreste, però, non si dedica alla musica in quanto contemplazione e presentificazione dell’armonia del mondo, ma piuttosto alla musica terrena, a quella che si esegue sulle corde e sui flauti. E proprio sui flauti, confessando il suo amore per Ipazia, esegue nel grande teatro una melodia nella quale hanno ampio risalto anche intervalli impuri, non consonanti secondo le teorie classiche, quasi a dare espressione musicale al proprio amore appassionato e infelice.

Ipazia è, certo, una giovane donna, per di più bella e affascinante. Ma la sua bruciante passione per la conoscenza non le permette – come riconosce anche il padre Teone – di immaginarsi come moglie, soggetta ad un uomo, privata della libertà di insegnare e ricercare. E così Ipazia, con consapevolezza e decisione, rinuncia alla sua femminilità per essere libera.

Ma non c’è solo questo dietro la sua scelta di annullarsi come donna (pur senza poter cancellare le passioni che suscita). Al dono del flauto da parte di Oreste, Ipazia risponde con l’offerta di una pezzuola intrisa del suo sangue mestruale, e commenta: “Oreste, tu dici di aver trovato l’armonia in me. Ma io ti suggerisco di cercare altrove, perché in questo c’è ben poca armonia...”. Dunque, l’armonia del mondo, per Ipazia, non sta nella carne e nel sangue, nella vita e nell’amore, ma soltanto nei cieli e nella musica, e va ricercata intellettualmente, astraendo dal frastuono e dai conflitti del mondo, rinunciando ai sentimenti e alle gioie carnali, immergendosi nella contemplazione delle stelle e quasi innalzandosi fino alla perfezione di quel mondo incorruttibile.

Così lontana è Ipazia dalla materialità dell’esistenza - che subisce senza sentirla propria - da non reagire nemmeno allo stupro da parte di  Davo, accecato dalla passione non corrisposta (lasciandolo anzi libero, non più schiavo), e da andare senza esitazione incontro alla morte, testimoniando silenziosamente la sua fede nella perfezione dei cieli.  

Quando Oreste e Sinesio la imploreranno di convertirsi al cristianesimo, Ipazia avrà modo di sottolineare la sua distanza dalla religione dei suoi antichi allievi. “Sinesio, voi non avete dubbi su quello in cui credete. Voi non potete. Io  devo.” Un’impresa dunque, quella di Ipazia, che sempre mette in dubbio la conoscenza della verità del mondo fino a quel momento raggiunta per andare avanti, per capire meglio. Così, nel corso del film, ella abbandonerà gli epicicli di Tolomeo per riscoprire – grazie ai testi salvati dalla Biblioteca ormai distrutta - le teorie eliocentriche di Aristarco, studierà un esperimento per dimostrare la plausibilità del moto della Terra, capirà (in una delle scene scientifiche più riuscite) di dover abbandonare i moti circolari in favore delle ellissi (anch’esse, peraltro, curve di Apollonio). Ma, nello stesso tempo, Ipazia sembra ignorare che anche dietro la sua scienza, dietro la comprensione sempre migliore del moto dei cieli sta una fede profonda, priva di dubbi (forse ancora più di quella di Sinesio e degli altri) nell’armonia del mondo e nella possibilità di avvicinarsi alla verità di questa armonia.

“Perché ti tormenti, signora?” – le chiede a un certo punto Oreste - “Tolomeo non è perfetto... ma funziona”. Per Oreste, dunque, la scienza è divenuta nient’altro che un modo di interpretare l’esperienza con l’aiuto di modelli necessariamente approssimati, che però “funzionano”. Il mondo è insanguinato, la perfezione degli astri gli appare lontana e irraggiungibile. “Guardati intorno, Ipazia: morte, orrore, distruzione. Perché le stelle dovrebbero condividere con noi la loro perfezione? ”. Ma Ipazia non risponde a questa domanda, tutta presa ormai dal filo dei pensieri che la condurranno alle orbite ellittiche per i pianeti  intorno al Sole.

“Ma perché far muovere il terreno su cui camminiamo?” –  le chiede ancora Oreste. E Sinesio, al rifiuto di Ipazia di convertirsi al cristianesimo, giudica aspramente le nuove teorie della sua antica maestra, che ritiene contrarie alla Scrittura: “Credi che io non sappia delle follie in cui sei coinvolta? La Terra che si muove intorno al Sole! E poi, che altro, signora, che altro?”.

Anche Davo, pur innamorato di Ipazia, ha perduto la passione dei primi tempi per la conoscenza. Ai cristiani che lo interrogano come scienziato (“La Terra è piatta o rotonda? e se è rotonda, come mai chi sta dall’altra parte non cade?...”) egli replica semplicemente “Solo Dio conosce le risposte”. Più importante della comprensione del moto dei cieli è ormai, per Davo, la scelta di una vita buona: seguendo l’esempio dei parabolani (i fedelissimi del vescovo Cirillo), egli distribuisce il pane ai poveri, ma non condivide le loro aggressioni agli ebrei, e cerca infine di strappare dalle loro mani l’adorata Ipazia, condannata a morte per colpire Oreste, all’interno di una lotta sempre più cruenta per il potere che vede ormai anche cristiani contro cristiani.

Scienza e fede, scienza e potere, fede e potere: nel corso di un intenso film, il giovane regista spagnolo Alejandro Amenàbar (già autore del pluripremiato Mare dentro, del 2004) propone e approfondisce queste relazioni, appoggiandosi a una densa sceneggiatura (che non teme di forzare i dati storici per andare più in profondità e proporre con maggiore efficacia la passione scientifica di Ipazia), a una scenografia suggestiva e a una efficace recitazione. Su tutti svetta la splendida Rachel Weisz, che conferma qui la straordinaria prova fornita in The constant gardener di Fernando Meirelles (2005). Sarà difficile dimenticare i suoi sguardi perduti nella perfezione dei cieli, la sua figura eterea, la sua passione per l’armonia del mondo.

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