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I test genetici

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Giorgio ha 21 anni e un rischio del 50 % di sviluppare prima dei 40 anni la corea di Huntington, una malattia neurodegenerativa per cui si perde il controllo del sistema nervoso periferico (per cui il nome “corea”, dal greco per “danza”) dovuta a una mutazione genetica da espansione da triplette di DNA, attualmente incurabile. Esiste un test genetico per cui Giorgio può sapere con certezza se ha ereditato la mutazione, e quindi se svilupperà la malattia. Giorgio è intenzionato a sottoporsi al test, in quanto pensa che la conoscenza del proprio make up genetico potrà potenziare la propria autonomia e capacità di prendere decisioni importanti riguardo al futuro. Per esempio, se il risultato dovesse essere infausto, Giorgio ha già deciso che non metterà su famiglia e non avrà figli, che dedicherà i suoi anni prima dei 40 a viaggiare, non si impegnerà a progetti a lungo termine.

Giorgio reclama quindi il suo diritto a conoscere il proprio make up genetico. D'altra parte, un eventuale risultato positivo (prognosi infausta) avrebbe ripercussioni fondamentali non solo sulla vita di Giorgio, ma anche su quella di Marco, suo padre, che ha 43 anni e ancora non ha sviluppato la malattia, ma che ha anch'egli una probabilità del 50 % di aver ereditato la mutazione dal nonno (morto della malattia a 55 anni) e quindi di svilupparla (la corea di Huntington è una patologia tale per cui si ha un fenomeno di “anticipazione” dell'età di insorgenza della malattia, correlata positivamente con il numero delle triplette espanse). Marco però la pensa diversamente da Giorgio, in quando non vuole esercitare il proprio diritto a sapere, al contrario, vuole esercitare il proprio diritto a “non sapere”, perché reputa che la conoscenza di un’eventuale prognosi infausta limiterebbe la propria autonomia, in quanto andrebbe ad incidere pesantemente sulla propria apertura mentale verso il futuro. Ciò gli impedirebbe di affrontare serenamente alcune importanti decisioni della propria vita. L'esercizio del diritto di sapere di Giorgio potrebbe però andare a incidere sull'esercizio del diritto di non sapere di Marco, se Giorgio rendesse pubblico il risultato del test, perché in quel caso Marco saprebbe di essere anch'egli destinato ad ammalarsi.

Casi come questi non sono necessariamente frutto d’immaginazione, anzi un episodio simile è quello di Katharine Moser, descritto nell'articolo di Amy Harmon sul New York Times . Il caso di Giorgio e Marco è stato presentato da Lisa Bortolotti, senior lecturer in filosofia all'Università di Birmingham, che ha inaugurato la sessione su “Autonomia e diritto di non sapere” del Workshop su “Test genetici e malattie ereditarie: tra dovere di informare e diritto di non sapere”, tenutosi a Lido di Camaiore il 22 settembre 2010, all'interno del Festival della Salute della Versilia, quest'anno giunto alla sua terza edizione.

Il completamento del sequenziamento del genoma umano ci ha fornito conoscenze approfondite sulle basi molecolari di un numero consistente di patologie. Questi progressi in campo scientifico sono stati seguiti dalla nascita di aziende private che offrono test genetici online, che forniscono al ‘paziente-cliente’ informazioni sul rischio di sviluppare determinate malattie genetiche. Inoltre vari progetti pubblici, primo tra tutti il Progetto del Genoma Personale inaugurato da George Church ad Harvard, si propongono di sequenziare interi genomi per studiare nuove correlazioni genotipo-fenotipo e inaugurare una nuova era di farmaci personalizzati. Non solo, ma con la continua diminuzione dei costi di sequenziamento, diventerà fattibile a breve sequenziare anche il proprio intero genoma per una cifra abbordabile, sotto i 1000 dollari. La medicina stessa, quindi, sta divenentando sempre più preventiva e personalizzata. Si inaugura così uno scenario totalmente nuovo, che apre questioni etiche finora impensate: Ho il diritto di conoscere il mio rischio genetico? Ho il diritto di rifiutare tale conoscenza? Ho il dovere di comunicare ai figli e ai parenti più stretti la predisposizione a sviluppare una certa malattia? E’ moralmente lecito che compagnie assicuratrici o datori di lavoro attuino politiche discriminatorie sulla base della conoscenza di un rischio genetico? E’ moralmente lecito che aziende private forniscano servizi di screening senza offrire una qualificata consulenza genetica e senza tenere conto delle ripercussioni che queste conoscenze potrebbero avere sulla psicologia dell’individuo?

Il workshop “Test genetici, screening genetici e le malattie ereditarie: tra  diritto di sapere e dovere di infomare”  è stato organizzato dal campus IFOM-IEO di Milano in collaborazione con Goodlink di Bologna con lo scopo di  affrontare tali problematiche, riunendo un prestigioso panel internazionale di esperti in campo di etica medica. Tra questi hanno partecipato Lisa Bortolotti appunto (Università di Birmingham), Soren Holm, Rebecca Bennet, Matti Hayry e Tuija Takala (Università di Manchester), Roberto Andorno (Università di Zurigo) Matteo Mameli (King's College, London), mentre Pier Paolo di Fiore dell'Università di Milano ha presentato ha presentato le prospettive scientifiche della Medicina Personalizzata. Il convegno è stato anche il punto di partenza per fornire, sia al medico che al cittadino, una solida base da cui iniziare una riflessione per un dibattito ben informato di etica pubblica. Troppo spesso infatti i dibattiti sulle implicazioni etiche e sociali di una nuova tecnologia mancano di una piattaforma condivisa di conoscenze scientifiche ed etiche, senza cui ogni discussione rischia di diventare sterile. Il workshop è voluto essere un esempio in controtendenza.


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