fbpx Il primo paziente trattato con cellule staminali | Scienza in rete

Il primo paziente trattato con cellule staminali

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

Nell’agosto del 2006 Takahashi e Yamanaka pubblicavano sulla prestigiosissima rivista scientifica Cell (126:663-676, 2006) un metodo di riprogrammazione che consente alle cellule differenziate di acquisire le caratteristiche tipiche delle cellule embrionali staminali (ES). Le cellule ES, così come le cellule riprogrammate da Yamanaka (chiamate induced pluripotent stem cells, iPS), possiedono una straordinaria capacità di proliferare e di differenziarsi in vitro in molti tipi cellulari diversi che sono presenti nell’organismo. Per questo motivo sono dette “pluripotenti”.

Si tratta di una scoperta straordinaria (peraltro possibile solo sulla scorta della grande mole di conoscenze accumulate negli anni studiando le cellule ES) poiché permette di ottenere cellule staminali pluripotenti immunocompatibili con il donatore, partendo da una piccola biopsia o da un prelievo di sangue e senza dover utilizzare embrioni, superando quindi, nel caso di embrioni umani, un grosso problema etico. Le cellule stesse del paziente, trasformate in cellule staminali pluripotenti, possono poi essere nuovamente differenziate in tipi cellulari utili alla cura di patologie quali ad esempio il diabete, la malattia di Alzheimer,  l’infarto o i traumi al midollo spinale. L’enorme potenziale applicativo di questa scoperta nell’ambito della medicina rigenerativa è evidente.

Per ottenere le cellule iPS, Yamanaka ha introdotto nelle cellule differenziate dei retrovirus che  veicolavano  quattro geni (Klf4, c-Myc, Oct4 e Sox2), i cui prodotti di espressione, le quattro proteine, permettono la riprogrammazione. Purtroppo, l’integrazione dei virus nel DNA delle cellule può indurre delle alterazioni in gradi di causare la trasformazione della cellula stessa in cellula tumorale. L’utilizzo dei virus per ottenere delle cellule staminali pluripotenti rappresenta quindi un terribile ostacolo all’uso terapeutico delle iPS. Dal 2006 ad oggi sono stati fatti molti tentativi per ottenere delle iPS con metodi diversi. Sono stati utilizzati sistemi che prevedevano l’uso di vettori che non alterano il DNA, o sono state introdotte direttamente nelle cellule le proteine che inducono la riprogrammazione, ma con risultati tutto sommato modesti e di notevole difficoltà tecnica.

Il 30 settembre di quest’anno il gruppo condotto da Derrick J. Rossi del Children's Hospital di Boston ha pubblicato sulla rivista Cell Stem Cell (doi:10.1016/j.stem.2010.08.012) un metodo per ottenere cellule iPS basato sul trasferimento nel citoplasma delle cellule da riprogrammare di RNA messaggeri (mRNA), ottenuti sinteticamente, degli stessi quattro geni utilizzati da Yamanaka. Una volta introdotti nel citoplasma, gli mRNA vengono tradotti (e poi eliminati) nelle proteine che agiscono determinando l’acquisizione della pluripotenza.

Questo metodo permette di ottenere delle iPS ragionevolmente prive di potenziali rischi e con una maggiore efficienza (fino a 100 volte maggiore) rispetto a tutti gli altri metodi proposti sino ad ora, accorciando i tempi di una potenziale applicazione terapeutica delle iPS.  Tuttavia bisogna tener conto che le cellule iPS sono un prodotto della ricerca giovanissimo ed è assolutamente indispensabile continuare a studiarne le caratteristiche. Infatti, sebbene le cellule iPS abbiano una staminalità paragonabile alle ES, possono mantenere una “memoria” epigenetica del loro precedente stato differenziativo. Come ha dichiarato il direttore dei National Institutes of Health Francis Collins, per comprendere la vera natura delle iPS è assolutamente necessario che gli studi su questo tipo cellulare siano affiancati a quelli sulle ES.

E proprio l’utilizzo di  cellule (progenitrici degli oligodendrociti) derivate da cellule ES umane è stato autorizzato l’11 ottobre scorso dalla Food and Drug Administration per trattare un paziente parzialmente paralizzato a causa di un trauma  del midollo spinale. Questo studio condotto  dalla Geron corporation presso lo  Shepherd Center, un ospedale di Atlanta (USA) specializzato in traumi spinali e cranici, è stato autorizzato con la finalità di verificare la sicurezza e la tollerabilità del trapianto cellulare entro 14 giorni dal trauma. 

Come è stato riportato in un recente commento pubblicato su Nature Biotechnology (vol 28, ottobre 2010) sebbene siano ormai 68 gli studi clinici basati sull’utilizzo delle cellule ES (Stem Cells 6, 517–520, 2010), mancano ancora le conoscenze per definire gli standards necessari alla traslazione degli studi di laboratorio in ambito clinico. Come ha evidenziato Lawrence Goldstein,  direttore del programma di studio sulle cellule staminali della Università della California, “ogni tipo cellulare sembra comportarsi diversamente sottintendendo una diversa biologia”.

Quindi, se da un lato le speranze di ottenere dei nuovi ausilii terapeutici di tipo cellulare sembrano diventare rapidamente reali, dall’altro e’ assolutamente necessario continuare ad investire in ricerca per capire a fondo la biologia delle cellule staminali. In particolare delle cellule ES che, a tutt’oggi, rappresentano il punto di riferimento per comprendere i meccanismi molecolari che sottendono il concetto di pluripotenza.

E' auspicabile che gli studi sulle cellule ES, e non solo sulle iPS, possano essere effettuati anche in Italia.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Generazione ansiosa perché troppo online?

bambini e bambine con smartphone in mano

La Generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli (Rizzoli, 2024), di Jonathan Haidt, è un saggio dal titolo esplicativo. Dedicato alla Gen Z, la prima ad aver sperimentato pubertà e adolescenza completamente sullo smartphone, indaga su una solida base scientifica i danni che questi strumenti possono portare a ragazzi e ragazze. Ma sul tema altre voci si sono espresse con pareri discordi.

TikTok e Instagram sono sempre più popolati da persone giovanissime, questo è ormai un dato di fatto. Sebbene la legge Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA) del 1998 stabilisca i tredici anni come età minima per accettare le condizioni delle aziende, fornire i propri dati e creare un account personale, risulta comunque molto semplice eludere questi controlli, poiché non è prevista alcuna verifica effettiva.