Il Premio Nobel per la Medicina è generalmente meno opinabile di quello per la Letteratura o per la Pace. Viene assegnato quando la procedura o la scoperta per cui lo si assegna è già consolidata o presenta comunque ampi margini di sviluppo futuro. Così non è successo quest'anno, in cui il Nobel per la medicina è stato conferito a Robert Edwards, il biologo inglese che, insieme a Patrick Steptoe, nel 1978 contribuì alla nascita della prima bambina concepita in vitro, ovvero in provetta, per usare un termine più comune. Quest'assegnazione presenta due anomalie: Edwards è un biologo, non un medico e arriva purtroppo tardi. Infatti Steptoe, il ginecologo, è morto nel 1994.
Le tecniche di fecondazione assistita hanno ormai trent’anni ed hanno permesso non solo la nascita di circa cinque milioni di bambini ma anche lo sviluppo di ulteriori tecniche diagnostiche e terapeutiche applicabili non solo alle coppie infertili.
Due sono le grandi scoperte che hanno cambiato la storia naturale della sessualità e della riproduzione: i contraccettivi orali dagli anni sessanta e la fecondazione in vitro dagli anni ottanta in poi. I primi hanno permesso alle donne di separare l'attività sessuale da quella riproduttiva consentendo la programmazione di una riproduzione responsabile, le seconde hanno permesso di risolvere problemi riproduttivi prima insormontabili. Per qualche conservatore può darsi che queste non siano state innovazioni positive per la società, tuttavia non si può non considerare che hanno cambiato veramente molto soprattutto per le donne.
La prima donna che si riprodusse con la fecondazione in vitro aveva le tube occluse, non avrebbe quindi mai potuto concepire in modo naturale. Per molti anni quindi la fecondazione in vitro ha permesso ad una serie di coppie con problemi (tubarici, ovulatori, di patologia endometriosica o maschile lieve) di risolvere le difficoltà riproduttive. Rimanevano ancora senza soluzione i problemi delle coppie in cui il partner maschile aveva gravi problemi di oligozoospermia o di azoospermia, cioè di assenza di spermatozoi nell'eiaculato. Queste coppie dovevano ancora ricorrere all'inseminazione con seme di donatore, visto che la fecondazione in vitro classica nei primi anni di utilizzo non era efficace in queste forme di infertilità. Dopo pochi anni però si ottennero le prime gravidanze da embrioni soprannumerari congelati e poi da ovociti congelati. Nel 1991 un ginecologo italiano, Giampiero Palermo, lavorando in laboratorio a Bruxelles ottenne la prima gravidanza (e la prima nascita) iniettando uno spermatozoo direttamente nel citoplasma di un ovocita: si trattava della prima gravidanza da ICSI (Intracitoplasmic Sperm Injection).
La tecnica prevedeva l’uso del micromanipolatore, cioè di uno strumento che permetteva movimenti di millesimi di millimetro: anche i gravissimi fattori maschili erano risolti. Pochi anni dopo utilizzando il micromanipolatore e le tecniche di immunofluorescenza già note, fu possibile separare una singola cellula da un embrione di quattro cellule ed effettuare su di essa l’analisi dei cromosomi e dei geni di alcune malattie in modo da procedere successivamente (il giorno dopo) al trasferimento in utero dell’embrione dal quale la cellula proveniva, se trovato privo di alterazioni. In pochi anni si era passati dalla fecondazione in vitro (per alcuni casi di infertilità) alla fecondazione in vitro che curava anche i fattori maschili severissimi (comprese le azoospermie con prelievo chirurgico degli spermatozoi) alla diagnosi genetica pre impianto, quasi una amniocentesi eseguita quattro mesi prima. Nel frattempo si cominciavano ad ottenere gravidanze da ovociti donati a donne che, per patologie, neoplasie o esaurimento della funzione ovarica, non ne producevano più.
Con le tecniche di micromanipolazione si riuscirono poi a separare le cellule staminali, cioè cellule non ancora programmate per diventare nervi, muscoli, cellule intestinali o cutanee, eccetera e che quindi potevano essere ricondizionate a diventare il tessuto che si desiderava: queste cellule sono contenute nella massa cellulare interna dell’embrione al sesto – settimo giorno dalla fecondazione. I cicli di fecondazione in vitro hanno prodotto in tutto il mondo qualche migliaio di embrioni soprannumerari non più utilizzati dalle coppie e in molti Stati è stato possibile utilizzare le cellule staminali di questi embrioni per tentare di curare malattie o lesioni gravi come una lesione del midollo spinale o il miocardio dopo un infarto o il pancreas dei pazienti diabetici ed altro. I primi risultati delle cure staminali sono attesi nei prossimi mesi o anni.
Ovviamente nel corso del tempo sono cambiati anche i risultati delle tecniche di fecondazione in vitro: dagli anni ottanta, quando si ottenevano circa 15 – 18 gravidanze per 100 trasferimenti di embrioni si è passati alle 30 – 35 gravidanze di oggi (media generale europea). Le tecniche di fecondazione in vitro hanno anche permesso in questi trent’anni lo sviluppo di altre metodiche ed applicazioni ben oltre la semplice cura dell’infertilità di coppia: con la FIV si è permessa la riproduzione delle coppie in cui il partner maschile è portatore del virus HIV evitando il rischio di contagio della partner femminile mentre con la diagnosi pre impianto è stato possibile far nascere bambini sani da coppie portatrici di malattie come la talassemia, il retinoblastoma, la fibrosi cistica, l’emofilia.
E’ già pratica comune il congelamento del seme nei pazienti da sottoporre a chemio o radioterapia e lo stesso avviene per gli ovociti o il tessuto ovarico delle pazienti da sottoporre ad analoghi trattamenti per patologie neoplastiche (anche se nel caso dei gameti femminili le tecniche sono più complesse). In futuro sarà possibile produrre spermatozoi da cellule staminali dell’adulto o trapiantare nel citoplasma di ovociti “anziani“ i mitocondri, cioè il carburante di ovociti più giovani. Naturalmente, come spesso accade con le scoperte scientifiche, questi trenta anni sono stati spesso caratterizzati da polemiche tra fautori e detrattori delle tecniche di fecondazione assistita.
Le polemiche hanno riguardato gli embrioni soprannumerari, il loro utilizzo o meno per la ricerca, l’invasività delle tecniche, la medicalizzazione della riproduzione, i rischi per le donne, la liceità o meno della fecondazione con gameti di donatore e la diagnosi pre impianto. Il discorso si farebbe lungo e complesso. Basti ricordare che Steptoe ed Edwards nel 1976 si videro rifiutare dal Ministero della Salute Britannico i fondi per proseguire i loro esperimenti. Il 25 luglio 1978 nacque Louise Brown, la prima bambina “in provetta”. La stessa Louise Brown è diventata mamma in modo naturale due anni fa. Insieme a lei, oggi, più di cinque milioni di bambini sono nati con tecniche di fecondazione assistita: le tecniche sono sempre più accessibili, si svilupperanno anche nei paesi più poveri e con esse tutte le tecniche connesse. Questo premio Nobel arriva tardi, ma bene ha fatto l’Accademia delle Scienze ad assegnarlo. Ancora una volta non esiste scienza buona o scienza cattiva, esistono uomini, quelli si buoni o meno buoni, che applicano le scoperte della scienza.
Quindi, congratulazioni Bob Edwards!