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CNR: l'autonomia in pericolo

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Mentre si è parlato molto della riforma dell'università, poco si sa degli enti di ricerca, e soprattutto del Consiglio Nazionale delle Ricerche, in cui è invece in corso un'intensa discussione sul nuovo statuto che dovrebbe essere alla base dei nuovi regolamenti e della futura organizzazione dell'Ente. In quella attuale, il CNR è guidato dal Presidente, che dal 2008 è Luciano Maiani, e da un Consiglio di Amministrazione (CdA) di nomina esterna (ossia, al contrario dell'Università, non vi sono rappresentanti del personale dell'Ente). A questo CdA è affiancato un Consiglio Scientifico Generale (CSG), composto da 20 componenti, di cui solo 5 sono eletti dal personale interno di ricerca.

Quest'estate, come previsto dal decreto di riordino Gelmini, il CdA del CNR ha fatto una sua proposta di statuto. Su questa, il CSG ha espresso un sostanziale disaccordo. La proposta di statuto è stata ugualmente mandata al Ministero, da cui è stata poi rimandata indietro con la richiesta di una serie di cambiamenti che il CdA ha infine apportato nella riunione del 15 dicembre scorso. Pochi giorni fa, il CSG ha esaminato la nuova versione e ha espresso in modo unanime un forte dissenso, considerando la nuova proposta addirittura peggiore rispetto alla precedente. Le cose che non vanno bene sono (tra le altre):

  • le forti limitazioni introdotte all’autonomia scientifica dell’Ente;
  • l’assenza nel Consiglio di Amministrazione di rappresentanti della comunità scientifica interna;
  • la concentrazione di tutto il potere gestionale (amministrativo e scientifico) nella figura del Direttore Generale che, a differenza del Presidente, non deve soddisfare requisiti di alta qualificazione scientifica e sarebbe di nomina ministeriale;
  • la mancanza di una visione strategica di sviluppo dell'Ente in grado di promuovere la valorizzazione e il reclutamento delle risorse umane;
  • Infine, ancora una volta, la completa indifferenza ai principi sanciti dalla Carta Europea dei Ricercatori.

Per capire meglio la gravità di questi problemi, il Direttore generale sarebbe determinante nella nomina dei direttori di Dipartimento, ma anche in quelle per la direzione degli Istituti (il CNR è organizzati in 100 istituti indipendenti). Il risultato è duplice: da una parte si limita l’autonomia dell’ente, in una legge che ne dovrebbe prevederne l’autonomia statutaria, e dall’altra una figura non scientifica - e di diretta emanazione del ministro - potrebbe influenzare in maniera diretta ed esplicita la ricerca. Anche i sindacati si sono espressi in modo molto negativo rispetto a questa proposta, addirittura impedendo qualche giorno fa lo svolgersi della riunione del CdA che doveva deliberare.

In questa storia, oltre agli interessi e disinteressi vari, alla gestione più o meno accentrata del potere e simili, si scontrano due modi opposti di intendere la ricerca. Da una parte c'è la visione che chiamerei “amministrativa”: lo Stato mette dei soldi (pochini, in realtà) per finanziare un Ente con oltre 7000 dipendenti e vuole avere il diritto di gestirlo come meglio crede. In questa visione la scienza è considerata come un'attività come le altre, che deve produrre un utile economico e sottostare alla politica. Dall'altra c'è la visione “scientifica”. La ricerca è il motore principale del progresso e dell'innovazione, ma ha tempi e soprattutto risultati difficilmente pianificabili e deve quindi necessariamente essere gestita in prima persona dagli stessi ricercatori che, più di ogni altro, riescono a capire le direzioni maggiormente promettenti e trovare la strada per realizzarle. Nella maggior parte dei casi è molto difficile sapere prima cosa sia interessante in ricerca e cosa no, quale progetto porterà un reale contributo e quale andrà solo ad aumentare la quantità di carta sprecata, insomma quale approccio ad un problema si rivelerà più efficace. Ma, in genere, la buona ricerca nasce proprio da questa incertezza, dal battere piste che non daranno nulla, dal sollevare questioni che all'inizio sembrano essere marginali. Pensate come da Gödel e Turing, che facevano una ricerca su settori apparentemente super-teorici, nasca una buona parte dell'informatica moderna e in definitiva la maggior parte dell'innovazione attuale e della nostra stessa economia. Nessuno avrebbe potuto programmare burocraticamente la nascita di queste idee. Insomma, nella maggior parte dei casi,l'organizzazione basata sulla visione “scientifica” ha sempre dato, sul lungo periodo, risultati migliori di quella basata sulla visione “amministrativa”. Non sto dicendo che non debbano esserci una programmazione e un controllo dell'attività di ricerca, ma che dovrebbero essere gestite e controllate in primo luogo dagli scienziati stessi, magari coinvolgendo universitari e scienziati stranieri, in piena autonomia e in seguito valutate da altri scienziati indipendenti che sappiano di cosa si sta parlando. Non per motivi ideologici o per mantenere privilegi di casta, ma perché l'esperienza di tutto il mondo mostra che così funziona meglio.

In questi giorni, in queste ore, molte voci si stanno facendo sentire. Una petizione di sostegno alle posizioni del Consiglio Scientifico Generale è in corso, qui https://sites.google.com/site/csgcnr/ trovate tutte le informazioni al riguardo e i documenti del CSG relativi.

Poscritto

In data 19 gennaio il Consiglio di Amministrazione del CNR, allargato agli esperti nominati dal Ministro Gelmini, ha approvato la versione definitiva dello statuto del CNR, che dal 25 gennaio è visibile sul sito dell'ENTE, e il Presidente del CNR, Prof. Luciano Maiani ne parla altrove in questo stesso sito. Rispetto alla versione dello statuto a cui mi riferivo in questa nota, vi sono alcuni cambiamenti, il più importante dei quali riguarda il ridimensionamento del ruolo del Direttore Generale che, proprio per questa ragione, non sarà più nominato dal Ministro, ma dallo stesso CdA, ma che manterrà tuttavia una notevole importanza, per esempio intervenendo nella fase di programmazione dell'attività dei Dipartimenti e anche con la possibilità di dare indicazioni sulla struttura stessa della rete scientifica. Non è stata invece accolta, se non in minima parte, la richiesta formulata da più parti (dal Consiglio Scientifico Generale, dalle organizzazioni sindacali, e anche da moltissimi ricercatori CNR), di ampliare la partecipazione dei ricercatori agli organi direttivi e di indirizzo, come sancito dalla Carta Europea dei Ricercatori. Nel Consiglio Scientifico Generale la rappresentanza interna scende da un quarto a un quinto, e la nomina verrà effettuata non più per elezione diretta, ma tramite un comitato di esperti nominato dal CdA. Per la rappresentanza dei ricercatori nello stesso CdA, auspicata dallo stesso Presidente Maiani, si è finito invece per fare un compromesso. I cinque componenti del CdA saranno tutti nominati dal Ministro. Per i primi tre, tra cui il Presidente stesso, la scelta sarà effettuata su una rosa proposta dal comitato di selezione previsto dal decreto di riordino, mentre per gli altri due la nomina sarà fatta su indicazione di varie parti – la Conferenza dei rettori delle università italiane, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, la Confindustria, l'Unione italiana delle camere di commercio – a cui si aggiungono i ricercatori dell'Ente. In pratica, ci sarà una forte discrezionalità del Ministro sul come operare la sua scelta, e la probabilità che la scelta cada proprio sul candidato designato dai ricercatori del CNR appare estremamente ridotta (anche estraendo a caso sarebbe solo il 40%...). Vi sono poi altri fattori di perplessità che possono apparire tecnici, ma potrebbero nei fatti limitare l'autonomia dell'Ente stabilendo preoccupanti automatismi. Citiamo tra tutti il fatto che lo statuto stabilisca un tetto del 75% del fondo per il funzionamento ordinario come limite da ottenere su scala decennale per le spesa per il personale, che attualmente è all'84%. Se da una parte, come auspicato qui da Fabio Beltram, uno degli esperti nominati dal Ministro nel CdA allargato, questo dovrebbe assicurare la disponibilità di risorse reali da destinare al finanziamento di specifici progetti di ricerca, dall'altra si rischia, per la cronica carenza di risorse destinate alla ricerca nel nostro paese, di bloccare il ricambio generazionale che pure appare sempre più indispensabile. In definitiva, mentre alcuni dei punti più negativi presenti nella precedente versione dello statuto sono sicuramente stati migliorati, rimangono in piedi non poche questioni che solo nella concreta implementazione dello statuto si spera potranno trovare un'adeguata sistemazione.

Roberto Natalini

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