L’articolo di Fischer, Hecht e collaboratori recentemente pubblicato su PLoS One (Fischer 2011) offre un bell’esempio di biologia sintetica, quella nuova branca della biologia che ha l’ambizione di sintetizzare in laboratorio forme alternative di vita.
La sintesi si limita per il momento ai batteri o a varianti di strutture biologiche, come proteine o acidi nucleici, alternative a quelli che esistono in natura. Nel primo caso, l’idea è quella di ingegnerizzare batteri esistenti in natura per trasformarli in organismi nuovi, capaci di produrre idrogeno o altre forme di energia, o farmaci utili per la medicina (si vedano i lavori del gruppo di Craig Venter). E a proposito di Craig Venter, molto è stato detto sui mass media del suo ultimo lavoro, tanto da innalzarlo a creatore di vita cellulare. Ma in questo caso si tratta di ovvie esagerazioni dovute all’ignoranza scientifica dei giornalisti, anche se più o meno alimentate dagli stessi autori del lavoro. Quello che Venter ha fatto - ripetiamolo ancora una volta - è di aver sintetizzato in laboratorio l’intero DNA (il cosiddetto genoma) di un batterio e di averlo inserito, al posto del genoma originale, nell’organismo stesso (Smith 2003). Si tratta quindi di una specie di trapianto di organi, una protesi molecolare: si tratta di un lavoro di una complessità sperimentale notevolissima, che forse solo lui ed il suo gruppo erano in grado di fare, ma non si tratta certo della sintesi della vita cellulare (per questo, avrebbe dovuto sintetizzare l’intera cellula, con le sue decine di migliaia di componenti diverse).
L’altro indirizzo della biologia sintetica è quello di produrre strutture macromolecolari alternative a quelle naturali. Prima di affrontare questo campo, ci dobbiamo porre una domanda generale particolarmente affascinante: perché la natura ha creato certe strutture, e non altre che erano ugualmente possibili? Per esempio: perché tutti gli acidi nucleici sono basati su uno zucchero chiamato ribosio, e non sul glucosio, uno zucchero molto più distribuito in natura? Ecco, la biologia sintetica permette di rispondere in parte a questo tipo di domande o, per lo meno, di affrontarle.
Uno dei ricercatori che ha intrapreso questa strada è Albert Eschenmoser al Politecnico di Zurigo. Negli anni passati, il suo gruppo di ricerca ha sintetizzato acidi nucleici che avevano glucosio al posto del ribosio (Bolli 1997), arrivando a formulare una teoria sulla predilezione della natura, e cioè dell’evoluzione chimica, per il ribosio.
Si impone ora una premessa: il lavoro su PLoS One parla di proteine de novo, cioè di proteine che non esistono in natura. E’ interessante notare che le proteine esistenti in natura sono una frazione infinitesimale rispetto al numero di strutture proteiche teoricamente possibili. Una proteina è una catena lineare di aminoacidi, ed un esercizio che si richiede talvolta agli studenti è quello di calcolare il numero di modi in cui si può formare una catena di cinquanta aminoacidi, considerando che si hanno a disposizione 20 aminoacidi diversi (una sorta di alfabeto). Ebbene, il numero è 20 elevato a cinquanta, che corrisponde grosso modo a un numero con 70 zeri (!), mentre il numero di proteine esistenti in natura si calcola che sia invece solo composto da quattordici zeri. Il rapporto tra il possibile e il reale corrisponde, si è detto (Luisi 2006), al rapporto che c’è tra l’intero deserto del Sahara e un granello di sabbia: viviamo in un granello di sabbia di proteine. Come è stato scelto questo granello rispetto a tutti i miliardi di miliardi di granelli possibili?
Occorre quindi tentare di proporre una spiegazione. E cioè, siamo di fronte ad un determinismo assoluto, secondo il quale solo le nostre poche proteine potevano essere selezionate dall’evoluzione chimica perché erano (e sono) le uniche stabili termodinamicamente, e/o erano quelle che possono assumere una struttura tridimensionale (il folding) che è attiva dal punto di vista biochimico? Oppure le nostre proteine si sono formate per ragioni di contingenza (oggi si dice contingenza e non più caso), perché una serie di fattori simultanei e indipendenti tra di loro si sono giustapposti l’uno con l’altro per creare un evento complesso: che è quindi un prodotto della contingenza.
Gli autori dell’articolo sintetizzano dunque una vasta famiglia (una cosiddetta “libreria”) di proteine che non esistono in natura, e lo fanno imponendo certe regole strutturali seguendo un codice binario, cioè una alternanza di aminoacidi polari e apolari. Lo scopo era ottenere prodotti con una struttura tridimensionale stabile, anche se alcuni anni prima era stato dimostrato che proteine totalmente casuali (le cosiddette proteine “mai nate”) hanno una grandissima propensione a formare strutture stabili anche senza tali imposizioni (Chiarabelli 2006) e, soprattutto, senza la tirannia della pressione evolutiva.
Il che significa che il folding, la stabilità termodinamica, e anche la solubilità, non sono proprietà caratteristiche delle nostre proteine. Ma se le nostre proteine non hanno niente di particolare dal punto di vista chimico, termodinamico, fisico, e non sono state selezionate sulla base di questi criteri, potrebbero essere veramente prodotti della contingenza. E anche la vita, allora, potrebbe essere un prodotto della contingenza? Queste sono tutti punti di discussione appassionanti, e li ho riassunti nel libro già citato (Luisi 2006).
L’articolo di Fischer e collaboratori è ottimo e, come tutti gli ottimi lavori, apre anche altre domande, tutte ugualmente affascinanti. Eccone una: se le proteine nuove di zecca vengono prodotte in un microorganismo che non le aveva mai avute dentro di sé, come si comporterà il microorganismo in presenza di tutti questi corpi nuovi, che sono per lui estranei? La conclusione del lavoro di Fischer è veramente sorprendente: queste proteine nuove, almeno nei casi particolari di microorganismi menomati dalla mancanza di certi geni originali, potrebbero compensare la mancanza dei prodotti di questi geni, e stabilizzare il microrganismo stesso. Perché e come questo possa accadere non è ancora chiaro, ma qui forse abbiamo un’indicazione più generale: i prodotti della biologia sintetica possono far emergere proprietà che ci potranno presto riservare sorprese.
Fischer MA et al. PLoS One 2011; 6: e15364.
Smith HO et al. Proc Natl Acad Sci USA 2003; 100: 15440.
Bolli M et al. Chem Biol 1997 a; 4: 309
Bolli M et al. Helv Chim Acta 1997 b; 80: 1901.
Luisi PL. The emergence of life. From chemical origins to synthetic biology. Cambridge Univ Press, 2006
Chiarabelli C et al. Chemistry and Biodiversity 2006; 3: 840.