fbpx Arrivano dallo spazio le protesi hi-tech | Scienza in rete

Arrivano dallo spazio le protesi hi-tech

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

Due atomi che si legano, uno di carbonio e uno di silicio, per generare uno dei più sorprendenti materiali che si conoscano, il carburo di silicio (SiC). Le sue caratteristiche principali sono leggerezza, durezza, resistenza, rigidità e stabilità termica.  Qualità che lo rendono ideale per essere utilizzato in sistemi ottici per l’astrofisica, come gli specchi che volano su satelliti per lo studio dell’Universo. Componenti realizzati con questo materiale hanno equipaggiato Beppo Sax e oggi sono in orbita all’interno di Swift e XMM-Newton. Realizzare elementi di questo materiale con elevata precisione è estremamente difficile e complesso, viste le elevate temperature di lavorazione comunemente impiegate nei processi produttivi. Ora però, grazie alla tec­nologia PECVD (Plasma Enhanced Chemi­cal Vapour Deposition), sviluppata dall’Inaf con il Cetev Lab di Selex Galileo grazie al finanziamento PRISMA nel 2005, è anche facile ed economico depositare e lavorare il carburo di silicio. La tecnica PECVD permette infatti di deposi­tare il SiC a basse temperature su substrati di vario genere e con costi contenuti. Un passo avanti fondamentale per uno sfruttamento più massiccio di questo materiale, con ricadute che vanno ben al di là delle applicazioni in ambito astronomico in cui è stato finora principalmente impiegato.

Andiamo allora a conoscere meglio il carburo di silicio e le sue applicazioni, non solo in chiave astronomica, con Mauro Ghigo, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera, che è il responsabile scientifico del progetto SiC-PECVD.

Ghigo, il carburo di silicio sembra essere un materiale davvero unico. Ma in cosa?

Il SiC, pur essendo una ceramica, conduce il calore come se fosse un vero e proprio metallo. Ed è estremamente duro, poco meno del diamante. Queste caratteristiche lo rendono ideale nelle applicazioni in ambito spaziale, come le ottiche dei satelliti per astrofisica.

Con queste qualità, il SiC ha trovato già da alcuni anni una sua applicazione naturale in quelle tecnologie per strumentazione astronomica che devono avere livelli di accuratezza, resistenza e leggerezza non ottenibili con materiali più comuni. Può darci qualche esempio?

Il SiC è stato studiato nei nostri laboratori per applicazioni in ambito prettamente astronomico, sia per strumenti da terra che nello spazio. Poiché questo materiale è estremamente duro, lo si può lucidare con grande precisione, e questo ovviamente va molto bene per le superfici ottiche. L’altra sua proprietà, quella di condurre il calore in modo molto efficiente, cosa assai utile invece nelle applicazioni spaziali, dove eventuali variazioni termiche non vanno a influenzare la forma delle ottiche stesse.

In collaborazione con il Cetev Lab di Selex Galileo avete sviluppato una tecnica innovativa per semplificare il processo di deposizione di carburo di silicio su substrati preesistenti. Una sorta di rivestimento ultra sottile e accuratissimo. Quali vantaggi porta rispetto alle tecniche tradizionali?

Attualmente i sistemi comunemente utilizzati per depositare il carburo di silicio su substrati preesistenti hanno bisogno di fornaci che hanno temperature di funzionamento intorno ai 1200 gradi centigradi. La PECVD, che è l’acronimo di Plasma Enhanced Chemical Vapour Deposition, sviluppata in collaborazione tra l’Osservatorio Astronomico di Brera dell’INAF e il Cetev Lab di Selex Galileo, permette di ottenere “coating”, cioè deposizioni di film sottili di SiC, a temperature dell’ordine dei 180-200 gradi centigradi, a tutto vantaggio della rapidità di realizzazione e del contenimento dei costi.

Ma il carburo di silicio può trovare importanti applicazioni anche in altri settori, e in particolare in ambito medicale. E’ così?

Si, è vero. Un’altra importante proprietà del SiC è quella di essere biocompatibile, cioè le cellule crescono molto bene su questo materiale. Un fatto che ha delle notevolissime ricadute nell’ambito delle protesi ortopediche. Quelle attualmente utilizzate di solito devono essere sostituite ogni 10-15 anni a causa dell’usura di alcune loro componenti. Avere un rivestimento di un materiale molto duro quale il carburo di silicio sulle protesi può ritardare o addirittura annullare la necessità di sostituzioni, a tutto vantaggio della qualità della vita dei pazienti e del contenimento delle spese sanitarie.

Ascolta l’intervista integrale a Mauro Ghigo sul carburo di silicio e la tecnica SiC-PECVD
Vai alla pagina “Speciale tecnologie”

Articolo tratto da: Media INAF


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Perché ridiamo: capire la risata tra neuroscienze ed etologia

leone marino che si rotola

La risata ha origini antiche e un ruolo complesso, che il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi esplorano, tra studi ed esperimenti, nel loro saggio Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale. Per formulare una teoria che, facendo chiarezza sugli errori di partenza dei tentativi passati di spiegare il riso, lo vede al centro della socialità, nostra e di altre specie

Ridere è un comportamento che mettiamo in atto ogni giorno, siano risate “di pancia” o sorrisi più o meno lievi. È anche un comportamento che ne ha attirato, di interesse: da parte di psicologi, linguisti, filosofi, antropologi, tutti a interrogarsi sul ruolo e sulle origini della risata. Ma, avvertono il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi fin dalle prime pagine del loro libro, Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale (il Mulino, 2024):