La Commissione cultura della Camera dei Deputati ha condotto, a partire dalla metà di maggio 2009 fino a marzo 2010, un’indagine conoscitiva sullo stato della ricerca italiana.
Durante gli incontri sono stati ascoltati autorevoli “testimonianze” individuate tra docenti universitari, rettori di università pubbliche e private; rappresentanze dei ricercatori e dei dottori di ricerca; presidenti e dirigenti dei massimi enti di ricerca italiani e della ricerca industriale oltre ai componenti dei comitati di valutazione dei sistemi scientifici. È stato inoltre ascoltato l’onorevole Bart Gordon, presidente della Commissione scienza e tecnologia della Camera dei rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti d’America.
A valle delle audizioni è stato redatto, nella forma di documento finale, un percorso di approfondimento e di contestualizzazione dei punti di forza, delle criticità e degli strumenti disponibili e da attivare per rivitalizzare e rilanciare l’intero settore.
Al di là delle dichiarazioni e della presa d’atto del valore strategico della ricerca per il futuro stesso del Paese, sono stati acquisiti e assunti come limiti al decollo, alla crescita e all’attrattività la separatezza, la ridondanza e la sovrapposizione di competenze ed attività fra i diversi livelli di governance inter e intra istitituzionale.
È emersa l’inefficacia dei modelli di governance, sia nelle forme attuali sia in quelle che vanno configurandosi secondo i nuovi dettami normativi.
Con passione è stato denunciato l’eccesso di burocratizzazione, la ridondanza normativa, la farraginosità delle procedure, l’incertezza dei tempi, l’esiguità delle risorse. È stato sottolineato come l’immobilismo delle carriere e degli accessi, il nanismo e la frammentazione del tessuto produttivo, l’assenza di politiche integrate sull’innovazione e trasferimento tecnologico impoveriscano e rallentino l’avanzamento complessivo della ricerca e ostacolino un ammodernamento radicale e sostanziale del Paese.
Tuttavia, oltre il quadro, dettagliato, dei limiti e delle doglianze, e le difficoltà a superare le criticità, interne ed esterne, organizzative e finanziare, l’indagine, ancora una volta conferma e sottolinea la vivacità e la robustezza qualitativa della produzione scientifica italiana.
“Nulla di nuovo” verrebbe da pensare d’emblée ai tanti che conoscono realtà e comunità scientifiche, perché di esse ne fanno a diverso titolo parte. Ma non è così. In alcuni passaggi più chiaramente che in altri, la severità e lo spessore dell’indagine e del collegato documento, ancor più dell’analogo precedente del Senato, stigmatizzano la separatezza fra la ricerca scientifica e le istituzioni del Paese.
Viene fuori una distanza che è, nello stesso tempo, culturale, politica, comportamentale ed economica. Una lontananza, che rende la ricerca scientifica laterale rispetto ad altre esigenze del Paese. Ma non solo. Poiché la distanza alimenta diffidenze, luoghi comuni, resistenze, il fragile sodalizio ricerca–società-politica finisce con l’incrinarsi e depotenziarsi.
Incentrato sull’autonomia e sulla responsabilità, il legame non è stato, fino ad oggi, in grado di favorire la crescita armonica e sistemica anzi, in alcuni casi ha seguito derive isolazioniste esasperando forme di autoreferenzialità che hanno generato deflazione e impoverimento.
Diventa quindi fondamentale ricostruire un clima di fiducia, credibilità, autorevolezza ed indipendenza. Anche per questo nel testo trovano ampio spazio e seguito i temi chiave per la crescita e lo sviluppo scientifico del Paese: dall’autonomia responsabile alla valutazione, dalla filiera dell’innovazione al decollo del management della ricerca, fino al ruolo dei privati e al loro rapporto con la ricerca e l’innovazione.
Una riproposizione di temi e soluzioni che nel confermare l’autonomia e la libertà della ricerca scientifica rispetto alle posizioni politiche di destra, come di sinistra o di centro, evidenzia, forte, il ruolo del soggetto politico la cui lungimiranza si misura sulla capacità di sostenere, promuovere ed incentivare la ricerca scientifica.
Gli strumenti da attivare sono molteplici.
Da un lato occorre essere attenti e sensibili alle esigenze della società e agli andamenti dei mercati, ma dall’altro tenere salda la rotta dell’indipendenza, dell’avanzamento delle frontiere disciplinari e dell’interazione fra i saperi.
Così come pure diventa strategico, e funzionale per l’intero Paese - la sua economia, le sue politiche - favorire, e per tempo, il ricambio generazionale, adottare governance e organizzazioni più efficaci; assicurare certezze e stabilità, adeguare ed ammodernare le infrastrutture e i servizi; disporre di un ombrello normativo trasparente e leggero; agevolare l’attrazione dei talenti e delle risorse, fluidificare i rapporti con l’imprenditoria e il mercato.
Ma soprattutto è dirompente e liberatorio accettare una valutazione, rigorosa e onesta, del sistema, un monitoraggio continuo delle attività e delle prestazioni che concorra a rinforzarne e innalzarne qualità scientifica, manageriale e sociale.
È indubbio che in tempo di crisi e di esiguità di risorse, lusingati da più facili e immediati consensi, si possa essere tentati di affrontare in modo diverso e scollegato le tante questioni della ricerca e dell’innovazione.
Ma sulla lunga distanza si rischia il fallimento, la desertificazione creativa e innovativa del Paese, l’impaludamento e la burocratizzazione dei suoi sistemi scientifici, non fosse altro per l’ingente produzione di norme aggiuntive, spesso confliggenti con le pre-esistenti o di esse ignare.
Il documento approvato coglie e fa trasparire anche questa diversità di approccio, di metodo e di risultato, caratterizzandosi per novità ed utilità; smontando, poi, alibi e luoghi comuni, formula proposte ragionevoli e perseguibili.
Non resta che dargli seguito e credito trovando un’illuminata e sana convergenza, politica culturale ed economica, che permetterà al Paese di fare il suo balzo in avanti.
Luigi Nicolais
Scienze dei materiali, Università di Napoli Federico II
Vice Presidente della Commissione Cultura