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Biotech delle meraviglie, tra crisi e opportunità

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La crisi internazionale non può diventare un alibi. E non può diventarlo specialmente quando si parla di investire laddove alta si profila la crescita della domanda, incrementando le prospettive di sviluppo di un paese. Ancora una volta (neanche a farlo apposta) l’attenzione cade su quei settori in cui è decisivo l’impegno della ricerca scientifica e in cui l’orizzonte di riferimento non può essere quello che si misura con i dati della congiuntura, con le scelte di rimedio e con i tagli indiscriminati alle finanze pubbliche, ma che guarda con ragione alla costruzione dei pilastri su cui può incardinarsi un reale processo di crescita economica. BioInItaly 2011, il Rapporto sulle biotecnologie in Italia di Assobiotec, presentato il 4 maggio scorso a Roma, suona l’ennesima sveglia per chi ancora non avesse compreso che l’apporto che ricerca e innovazione possono fornire al benessere di un paese, è diventato ormai irrinunciabile.

Con 375 imprese censite aventi il proprio core business nel biotech, alla fine del 2010 l’Italia si posiziona in Europa terza dopo Germania e Regno Unito, vantando una crescita del fatturato del 6%, pari a 7,4 miliardi di euro. Anche gli investimenti in R&S registrano un incremento pari al 2,5% - due volte e mezzo quello della media manifatturiera – equivalente a 1,76 miliardi di euro. Il comparto continua ad essere rappresentato da una maggioranza di micro o piccole imprese (con meno di 10 addetti e comunque al di sotto della soglia dei 50 addetti), pari al 75% del totale. Centrale è la rappresentatività delle aziende red biotech (cura della salute), che sono ben 246, ma degno di nota è anche il numero di imprese green biotech (agroalimentare) e di quelle che si occupano di Genomica, Proteomica e Tecnologie Abilitanti (49 e 41, rispettivamente), mentre si contano 79 imprese la cui attività si esplica in più di un settore, con una quota sul totale che aumenta di più di tre volte, dal 6% al 21%. In effetti è proprio l’incremento delle imprese multi-specializzate a segnare una marcata tendenza. Un fenomeno di importante trasformazione di questo tessuto industriale, con un impatto innovativo sempre più diffuso su tutto il resto del sistema economico e con implicazioni importanti per quanto riguarda l’ammodernamento dei processi industriali ai fini della sostenibilità ambientale. L’attuale presenza minoritaria di imprese dedicate alle biotecnologie industriali (white biotech) - solo 21 - non deve essere pertanto guardata con preoccupazione, ma anzi letta come componente aggiuntiva di un processo di diversificazione tecnologica che è destinato a proseguire.

Ma se i dati di cui BioInItaly2011 ci informa sono così positivi, nonostante la crisi, di che cosa allora dovremmo preoccuparci, e perché lanciare tanto allarme sulla situazione italiana? Il sistema è alle corde: questa è la pura e semplice verità che ci viene trasmessa dalle relazioni di Sergio Dompè (presidente Farmindustria) e da Alessandro Sidoli (presidente Assobiotec) a commento dei dati del Rapporto. Le imprese italiane del biotech hanno saputo far ben fruttare le (poche) risorse a disposizione e la ricerca e la produttività scientifica nel biotech (espresse in termini di pubblicazioni e brevetti per ricercatore) sono assolutamente comparabili con quelli degli altri maggiori paesi europei, ma non ci sono state finora azioni di sostegno pubblico che confermassero il ruolo strategico del comparto (così come avviene, altrove, in Europa). Viene invocata, così, una politica industriale che dia certezza al sistema, che consenta piani di investimento a medio-lungo termine. Altrimenti è sempre più probabile che di tanta operosità non rimanga più traccia e che, alla lunga, dopo la “fuga dei cervelli”, prenda piede la “fuga delle imprese”, come rimarca Sidoli.

In Italia laddove si fa ricerca, i risultati si vedono e quello del biotech non è che l’ennesima conferma di una componente strutturale di tutto il sistema industriale italiano: al netto della specializzazione produttiva in settori maturi, la capacità di innovazione dell’Italia è del tutto comparabile con quella dei maggiori paesi europei. Ma il sistema è alle corde. Appunto.


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